Ecumene

Martedì, 03 Agosto 2004 21:41

I matrimoni combinati: il diritto, la consuetudine e la giovane musulmana nel Regno Unito

Vota questo articolo
(3 Voti)

Le comunità sud-asiatiche, di ogni appartenenza religiosa, approvano in generale la pratica dei matrimoni combinati. Il sistema ha probabilmente dei vantaggi, se i desideri dei futuri sposi sono rispettati e le considerazioni sulla dote non ne fanno una trasazione commerciale-due grandi “si”. E' l'aspetto negativo dei matrimoni combinati che, varie volte in questi ultimi anni, è stato sulla prima pagina dei giornali britannici e americani. Gli uomini delle famiglie d'origine pakistana (per esempio), inquieti nel vedere le loro figlie mescolarsi agli studenti in un edificio scolastico misto o preoccupati per le voci circolanti sull' “amico” di una figlia, di una sorella o di una nipote, regolano il problema e preservano “l'onore” della famiglia mandando la ragazza a sposarsi in Pakistan, generalmente contro la sua volontà e con perfetto sconosciuto.

I fatti che hanno condotto la corte di Cassazione di Edimgurgo, nel 1992, a pronunciare la sentenza di annullamento di un matrimonio che era stato concluso in Pakistan, circa dieci anni prima, ne sono un tipico esempio1. Benché di origine pakistana, la ragazza (Nasreen Nafiq di Gasgow) era cittadina bitannica e domiciliata in Scozia; prima del 1983 non era mai ritornata in Pakistan, dopo averlo lasciato all'età di sei mesi. Nel 1983, suo padre la portò in Pakistan, apparentemente per una visita; fino all'ultimo minuto la ragazza, quattordicenne, non si rese conto che i preparativi del matrimonio a cui assisteva nella casa di famiglia in Pakistan riguardavano il suo matrimonio con il cugino.

Lei si oppose al matrimonio, durante la cerimonia rifiutò categoricamente di dare il suo consenso. Malgrado ciò fu sposata a suo cugino e abbandonata in quello che per lei era un paese straniero, di cui non parlava la lingua, senza amici e soldi, totalmente dipendente dal “marito” e dalla sua famiglia, con la quale era imparentata, ma per lei sconosciuta.

Anni dopo suo “marito” ottenne un visto e la coppia emigrò in Scozia. Anche se dei bambini erano nati nel frattempo, il “matrimonio” andava male e la “sposa” era determinata a intraprendere una azione legale.

Depositò un ricorso di annullamento presso un tribunale scozzese motivandolo con il fatto che all'epoca del matrimonio era domiciliata in Scozia e sottoposta al diritto scozzese e non poteva perciò essere legalmente sposata sotto i 16 anni.

E' chiaro che scelse questa via, al posto della domanda di divorzio, per evitare il marchio che pesa sul divorzio all'interno della sua comunità. Quando un matrimonio finisce con un divorzio, ne è incolpata la donna: in un modo o nell'altro è lei che ha mancato ai suoi doveri di sposa. Nasreen Nafiq si riteneva vittima e non colpevole ed esigeva un annullamento piuttosto che un divorzio. La sua domanda fu coronata dal successo.

L'affare provocò il risentimento e l'incomprensione della comunità pakistana in Gran Bretagna e Nasreen Nafiq subì insulti e maltrattamenti.

Durante una trasmissione telelevisiva inglese, nel giugno del 19912, descrisse la cerimonia del matrimonio concluso in Pakistan. Le domandarono per tre volte se acconsentiva al matrimonio e per tre volte rispose negativamente.

Il diritto musulmano sud-asiatico è senza ambigiutà su questo punto: non c'è matrimonio senza il consenso della futura sposa adulta (post pubere). Nasreen Nafiq aveva chiaramente espresso il suo rifiuto ed essendo maggiorenne, conformente al diritto musulmano, il consenso di suo padre non poteva rimpiazzare il suo. Di conseguenza, conformemente al diritto musulmano e al diritto pakistano, il matrimonio non era valido. Il ricorso presentato presso il tribunale scozzese era legittimo considerando il diritto pakistano e musulmano.

Malgrado ciò che i membri della comunità pakistana britannica si ostinavano a pensare, nel caso Nasreen Nafiq non si trattava di opporre il diritto “occidentale” al diritto musulmano o pakistano; il caso presentava una “consuetudine” che, per le modalità di compimento, violava sia il diritto musulmano e il diritto pakistano, sia il diritto scozzese o inglese, anche se per delle ragioni diverse: il matrimonio era nullo per il diritto musulmano (scuole hanafita e sciita) - la fidanzata post pubere non aveva dato il suo consenso -, era nullo per il diritto inglese o scozzese - la ragazza aveva meno di 16 anni.

L'avvocato che rappresentava Nasreen sfortunatamente scelse di basare la causa sul diritto scozzese che rende nullo il matrimonio di una ragazza che non ha compiuto16 anni.

Questa posizione mise, a torto, l'accento sul supposto conflitto tra il diritto musulmano e il dirittto “occidentale”, di conseguenza la giovane donna si attirò delle noie perché sembrava volesse volgere le spalle alla propria comunità e alla propria religione.

L'altro motivo di ricorso per nullità era che il matrimonio in questione “era nullo conformemente al diritto in vigore nel posto dove fu celebrato”. Se il caso di Nasreen Nafiq fosse stato intentato per i motivi citati, sarebbe stato chiaro che lei rivendicava i suoi diritti come donna musulmana, falsamente “sposata” secondo i riti musulmani del Pakistan; lei non rivendicava dirittti incompatibili con questa condizione. Inoltre il verdetto sarebbe servito alle ragazze e alle giovani donne pakistane ricondotte in quel paese per sposarle, sia che potessero o no provare di avere meno di 16 anni o di essere domiciliate nelle Isole britanniche al momento del matrimonio.

Infine se il caso Nasreen Nafiq fosse stato intentato conformemente al dirittto musulmano pakistano (e l'invalidità conseguente nel diritto inglese/scozzese d'un preteso matrimonio celebrato in Pakistan, ma nullo conformemente al diritto pakistano) il dibattito pubblico sul caso sarebbe stato più documentato e di maggiore valore educativo sia per le giovani donne suscettibili di ritrovarsi sposate in questo modo, sia per le loro famiglie e le loro comunità.

E' tragico che Nasreen abbia dovuto perdere dieci anni della propria giovinezza prima di ottenere il ricorso a cui aveva diritto. Molte delle giovani ragazze riportate nel sud dell'Asia per sposarsi non ritornano nel Regno Unito. I tribunali possono proteggere solo le giovani ragazze che ritornano. Nel frattempo (spesso passano anni aspettando che il marito ottenga un visto) la donna avrà avuto probabilmente dei figli (come Nasreen) e ciò le obbliga ad accettare come loro sorte ciò che non è altro che un crudele gioco del destino.

Nasreen Nafiq credeva probabilmente di non avere nessuna possibilità in Pakistan. Dal punto di vista giuridico non era vero. In pratica però è troppo aspettarsi da una ragazza giovane, educata in Inghilterre o in Scozia, che si ritrova bruscamente in un paese che le è totalmente straniero, la capacità di definire e rivendicare da sola i suoi diritti conformemente a leggi che sfuggono alla sua comprensione. Se la ragazza in questa situazione ha solo una minima idea dei suoi diritti nel contesto del diritto pakistano, ha già un bel vantaggio.

La conoscenza è una forza e l'ignoranza che le donne musulmane hanno dei loro diritti contribuisce a farne delle vittime.

Per la futura sposa post-pubere: il consenso è essenziale per la validità del matrimonio

Nel dirittto tradizionale hanafi e scita3, una ragazza maggiorenne:

  1. ha il diritto di sposarsi senza il consenso del padre o di ogni altro membro della sua famiglia; e
  2. non può essere data in matrimonio da suo padre o da ogni altro membro della sua famiglia se lei non ha dato il suo consenso al momento della conclusione del contratto di matrimonio4.

L'età maggiore è qui definita in funzione di fenomeni fisiologici e non tanto cronologici: la pubertà fisica segna l'inizio della vita adulta. Se questo fattore non è messo in dubbio, si suppone che la maggiore età è raggiunta al 15 anniversario, in caso contrario le prove date dalla donna e dai membri della sua famiglia di sesso femminile sono in pratica definitivi.

La legge del 1875 sulla maggiore età in vigore nell'Asia del Sud (Pakistan compreso) fissa l'età maggiorenne a 18 anni, nella maggior parte dei casi. Questo testo non riguarda l'età maggiorenne per i matrimoni5, che continua a essere determinata secondo la legge dello statuto personale (il diritto musulmano se le parti sono musulmane).

La legge del 1929 sulla proibizione dei matrimoni tra bambini, prevede delle sanzioni penali contro la parte che sposa un bambino e contro le persone implicate nell'organizzazione o la celebrazione di un “matrimonio tra bambini”. In base a questo testo, come è applicato attualmente in Pakistan, una donna di meno di 16 anni è una “bambina6”, questo testo però non ha nessun effetto sulla validità del matrimonio.

Nel caso di matrimonio se si tratta di un matrimonio tra bambini, che prevede sanzioni penali , questo è regolato dalla legge che probisce i matrimonitra bambini, la questione sulla validità del matrimonio stesso è regolata per i musulmani, dal diritto musulmano non codificato.

La posizione del diritto tradizionale musulmano (scuole hanafita e scita) su questo punto figura nel seguente passaggio tratto da Hidayya :

«Una donna adulta e sana di spirito può essere sposata con il suo consenso, anche se il contratto non è stato redatto o accettato dai suoi tutori... non è legale che un tutore obblighi una vergine adulta a sposarsi contro la sua volontà7».

Se la ragazza è adulta secondo il diritto musulmano, cioè se è pubere, il suo consenso è essenziale per la validità di tutto il matrimonio contratto in suo nome. Inoltre può sposarsi senza il consenso di suo padre o del suo tutore.

Il punto precedente può essere illustratro da un caso del 1940 accaduto in Peshawar riguardante il matrimonio di una ragazza di 17 anni concluso a suo nome dal nonno paterno8. La ragazza negò di aver sposato l'uomo che predendeva essere suo marito. Il nonno paterno della ragazza credeva di aver il diritto di darla in matrimonio senza tener conto dei suoi desideri e senza la sua autorizzazione formale, pioché non aveva raggiunto la maggiore età conformemente alla legge sulla maggiore età (18 anni). Dato che lei aveva 17 anni ed era pubere, era maggiore secondo la legge che regolava i matrimoni e non poteva essere sposata senza il suo consenso.

Anche se non vi è nessuna prescrizione legale nel diritto hanafi o scita che impedisca alla futura sposa di dare personalmente il suo consenso al contratto di matrimonio davanti al futuro sposo e in presenza dei testimoni e degli invitati, un tale gesto sarebbe giudicato indecente nel contesto della pratica del purdah e delle consuetudini comunitarie. In generale, la futura sposa resta in disparte, con le altre donne, e non partecipa di persona all'offerta e all'accordo del contratto. Il suo consenso è dato tramite un'altra persona (di solito un membro della famiglia di sesso maschile) che agisce in suo nome e che trasmette il consenso pubblicamente davanti ai testimoni del contratto. Durante la cerimonia i testimoni attestano che la futura sposa ha delegato il suo potere, nella dovuta forma, alla persona in questione (chiamato wali o vakil) incaricata di agire a suo nome. Nel caso del Peshawar, menzionato prima, figura un riassunto della cerimonia matrimoniale quando la futura sposa è adulta (post-pubere):

“Secondo il diritto musulmano, è assolutamente necessario che l'uomo, o qualcuno in suo nome, e che la donna, o qualcuno a suo nome, si accordino sul matrimonio durante una riunione, e l'accordo deve avvenire in presenza di due testimoni adulti. Dato che le donne sono in purdah, in questa zona del paese, il costume è di inviare, presso la donna, un membro della sua famiglia all'interno della casa, accompagnato da due testimoni. Il parente domanda alla ragazza, in presenza di testimoni, se l'autorizza a accettare il matrimonio, in suo nome, e la dote offerta dal marito. Gli elenca la dote proposta, quando la ragazza dice sì o mostra il proprio consenso in un altro modo, le tre persone escono. Il futuro marito e queste tre persone compaiono allora davanti il mollah. Il mollah domanda al ragazzo se accetta di sposare la ragazza con la dote specificata. Dice “sì”. I testimoni (che accompagnavano il wali della ragazza quando ha avuto il suo consenso) sono presenti perché in caso di dubbio, il mollah possa domandare loro se il parente in questione è autorizzato a rappresentare la ragazza. Quando le due parti hanno detto “sì”, il mollah legge il Libro e il matrimonio è concluso9”. Nel caso del Peshawar, i testimoni erano presenti al momento dello scambio dell'offerta e dell'accordo, riguardanti il contratto tra il futuro marito e il nonno della futura sposa, ma non esisteva nessuna prova che la persona che agiva in nome della futura sposa avesse avuto l'autorizzazione per farlo. La ragazza negò di aver autorizzato suo nonno a contrattare il matrimonio e a trasmettere il suo consenso al mollah e al futuro sposo; il mollah che celebrò la cerimonia “negò categoricamente di aver inviato qualcuno dalla ragazza per domandargli se acconsentisse al matrimonio”. Il tribunale stabilì che nessun matrimonio valido aveva avuto luogo.

Dal racconto dell'avvenimento fatto da Nareen Nafiq, durante una intervista televisiva, appare chiaramente che lei sia stata maritata in età adulta (cioè da donna pubera); se fosse stata maritata in età minore (cioè ragazza non pubere) la questione del suo consenso non si sarebbe mai posta, perché il consenso del padre o del nonno paterno in sua assenza impegna la tutelata minore al matrimonio10. Nel corso della cerimonia di matrimonio, il padre di Nasreen andò a trovarla nel luogo in cui si trovava, in compagnia di altre donne, e almeno tre volte le domandò ufficialmente il consenso al matrimonio. Lei ha dichiarato di averlo negato categoricamente ogni volta. E anche se il padre proseguì con la cerimonia non c'era per il diritto msulmano e per quello pakistano nessun matrimonio.

Il consenso della donna può essere implicito se è vergine. Non ci si aspetta che una vergine timida e pudica, interrogata in merito al suo consenso al matrimonio risponda direttamente. Girare gli occhi, coprirsi il viso, sorridere, piangere un po' possono essere considerati come dei segni di consenso. Altrimenti detto, la futura sposa non deve pronunciare verbalmente il suo consenso; il consenso è implicito in assenza di un rifiuto verbale al matrimonio. Ma il rifiuto categotico espresso durante la procedura è definitivo: non c'è matrimonio senza il consenso della futura sposa adulta (pubere).

E' il caso di Nasreen Nafiq: lei ha chiaramente manifestato il suo rifiuto al matrimonio, e visto che era maggiorenne per il diritto musulmano, il consenso di suo padre non poteva valere al posto del suo, essenziale per validare ogni matrimonio di cui sarebbe stata parte.

Conclusione

Poiché la cerimonia in Pakistan, come descritta da Nasreen Nafiq, non equivaleva a un matrimonio valido per il diritto pakistano, aveva diritto a un giudizio di nullità nel Regno Unito a causa del fatto che il preteso matrimonio non lo era secondo la legge in vigore là dove è stato celebrato, così come aveva diritto a una sentenza del tribunale pakistano che stabilisse la sua condizione di donna non sposata. E' spiacevole che gli avvocati non abbiano scelto questa via che avrebbe riaffermato i diritti che il diritto musulmano concede alle donne (...) e il caso è stato presentato come un confronto tra il diritto musulmano e il diritto “occidentale” causato da una donna “liberata”, “occidentalizzata”, che aveva abbandonato la sua comunità e la sua religione.

E' inutile far notare che è difficile per una ragazza lottare contro la pressione familiare e rifiutare un matrimonio, che in effetti le è imposto. Difficile che questa situazione avvenga per una ragazza da sposare nel Regno Unito, lo è ancora di più quando una ragazza inglese, scozzese o americana si ritrova in Pakistan, sul punto di essere sposata. Ma - come l'ha mostrato Nasreen Nafiq - alcune giovani donne hanno la personalità ed il coraggio che occorre per intraprendere una tale azione rivendicando i diritti che hanno nell'ambito del diritto musulmano e del diritto pakistano - e in quello britannico.

(traduzione dall'inglese a cura di Maria Domenica Ferrari)

Alcune notizie aggiuntive
a cura di Maria Domenica Ferrari

La consuetudine del matrimonio combinato resta molto più forte del diritto: la corte suprema pakistana ha stabilito, lo scorso mese di gennaio (2004), che è legale per una donna sposarsi senza l'autorizzazione di un parente maschile. Nel 1997 l'alta corte di Lahore aveva sentenziato non valido il matrimonio celebrato senza il permesso del wali.

Non è raro che le donne che si sposano senza il consenso della famiglia vengano poi uccise.

Secondo i dati forniti dall'associazione Human Right Watch nel 2002 sono state uccise 461 donne, da maschi della famiglia, per motivi “d'onore”, soprattutto nella provincia del Sindh. Il Pakistan è probabilmente il paese al mondo in cui vi è il maggior numero di delitti d'onore (karo-kari).

Recentemente il presidente Musharraf ha ribadito la condanna di questa pratica e la ferma volontà di affrontare il problema. Il presidente già alla fine di novembre aveva provocato scalpore perché aveva chiesto alla polizia locale di trovare i colpevoli dell'assassinio di una giovane ragazza, della regione del Punjab, che si era sposata con un uomo di una diversa tribù.

Nella maggior parte dei casi questi delitti non vengono denunciati, e sono catalogati come suicidi o incidenti.

Note
  1. Daily Telegraph, 2 ott. 1992, The Scotsman, 2 ott. 1992
  2. On the Other Hand” Channel 4, 15 giugno 1991
  3.  I musulmani dell'Asia Sud seguono per la maggior parte la scuola giuridica hanafita, vi è anche una importante minoranza scita. La scuola shafiita è presente nel subcontinente indiano. Anche se la scuola shafiita tradizionale nega il diritto a una vergine, anche se maggiorenne, di sposarsi senza il consenso del padre, e permette a un padre di costringere la figlia vergine, anche se maggiorenne, a sposarsi contro la sua volontà, il diritto shafiita applicato nel subcontinente è stato reinterpretato dai tribunali sud-asiatici in modo da adattarlo alle scuole hanafite e scite. Vedi Lucy Carroll, “Marriage Guardianship and Minor's Marriage in Islamic Law” Islamic & Comparative Law Quarterly, 7 1987, p. 279-299.
  4. Il matrimonio nel diritto musulmano è prima di tutto un contratto, concluso da una offerta ed un accordo enunciati nel medesimo incontro; nel diritto sunnita, il contratto deve essere redatto in presenza di testimoni. Né l'accordo a una proposta di matrimonio dato prima della cerimonia né l'accettazione di una proposta di matrimonio data dopo la cerimonia possono compensare l'assenza del consenso durante la cerimonia stessa. Senza lo scambio reciproco dei consensi, in conformità con il diritto non c'è contratto perciò matrimonio.
  5. L'articolo 2 della legge sulla maggiore età dice che: “niente di ciò che figura nel presente testo riguarda la capacità di agire nei seguenti ambiti: il matrimonio, la dote, il divorzio e l'adozione”.
  6. In India e Bangladesh per la legge è una bambina chi a meno di 18 anni.
  7. Al-Maghinani, Hidaya trad. H. Hamilton, Ed. Grady, p. 34.
  8. Mst. Ghulam Kubra Bibi contre Mohammad Shafi Mohammad Din, AIR, 1940 Peshawar 2; Mir Ahmad, J.
  9. Ibid p 3. Vedi anche Mst. Bibi Ahmad-un-Nisa Begum contre Ali Akbar Shah, AIR 1942 Peshawar 19.
  10. Con il diritto da parte del bambino di denunciare il matrimonio raggiunta la maggiore età (pubertà). Questo diritto tradizionale è esposto in termini molto chiari in Asia del Sud; vedi l'articolo 2 (VII) dell'Atto sulla dissoluzione dei matrimoni musulmani, 1939; Vedi anche Lucy Carroll, “Muslim Family Law in South Asia: The Right to avoid an Arranged Marriage Contracted During Minority”, Journal of the Indian Law Institute, 23 (1981), p. 129-180.

Dato che Nasreen non aveva 16 anni (minore secondo la clausola d'opzione dell'Atto sulla dissoluzione dei matrimoni musulmani, così com'è applicata in Pakistan) al momento del suo matrimonio, e anche se lei avesse acconsentito al matrimonio, avrebbe potuto ricorrere in base a questa disposizione prima dei 18 anni o se fosse stata capace di evitare o di resistere ai rapporti sessuali dopo i 16 anni. Da notare, che la consumazione del matrimonio (a qualsiasi età e quale che sia la durata) non può validare un matrimonio nullo dall'inizio per la mancanza di consenso della futura sposa.

Letto 6355 volte Ultima modifica il Domenica, 26 Giugno 2011 13:13
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search