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Domenica, 21 Dicembre 2025 08:46

III Domenica di Avvento - Anno A In evidenza

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III Domenica di Avvento - Anno A

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Is 35,1-6.8.10

Dal libro del profeta Isaìa
 

Si rallegrino il deserto e la terra arida,
esulti e fiorisca la steppa.
Come fiore di narciso fiorisca;
sì, canti con gioia e con giubilo.
Le è data la gloria del Libano,
lo splendore del Carmelo e di Saron.
Essi vedranno la gloria del Signore,
la magnificenza del nostro Dio.
Irrobustite le mani fiacche,
rendete salde le ginocchia vacillanti.
Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete!
Ecco il vostro Dio,
giunge la vendetta,
la ricompensa divina.
Egli viene a salvarvi».
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto.
Ci sarà un sentiero e una strada
e la chiameranno via santa.
Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore
e verranno in Sion con giubilo;
felicità perenne splenderà sul loro capo;
gioia e felicità li seguiranno
e fuggiranno tristezza e pianto.


Salmo Responsoriale Sal 145

Vieni, Signore, a salvarci.

Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

 
Seconda Lettura  Gc 5,7-10
 
Dalla lettera di san Giacomo apostolo
 
Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.
 
Canto al Vangelo (Is 61,1)


Alleluia, Alleluia

Lo Spirito del Signore è sopra di me,
mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio.

Alleluia, Alleluia

 

Vangelo Mt 11,2-11

Dal Vangelo secondo Matteo
 

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

 

OMELIA
 
Giovanni il Battista attendeva da lì a poco l’irruzione dell’ira di Dio. Era convinto che questa dovesse manifestarsi nell’uomo Gesù di Nazareth, come forza capace di rimettere in ordine il mondo, di separare, di colpire, di purificare. Nei tempi di crisi, da sempre, l’umanità invoca una figura forte: un messia, un salvatore, un capo. Qualcuno che tagli, che giudichi, che ristabilisca.
Giovanni prende sul serio questa attesa. Le sue parole sono nette, taglienti come la scure di cui parla. Le troviamo all’inizio del vangelo: «La scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Colui che viene dopo di me è più potente di me… Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile» (Mt 3, 10ss.). È l’immagine religiosa di Dio: forza che separa, setaccia e giudica.
Eppure, Gesù non sembra rispondere a questa attesa. Proprio per questo Giovanni, dalla prigione, gli manda a chiedere: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?». È come se anche lui, per la prima volta, sentisse vacillare l’immagine di Dio che aveva da sempre custodito.
Gesù non risponde con una definizione, né con una dichiarazione di identità. Risponde mostrando un movimento: «I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo». Il divino, se si manifesta, lo fa così: passando attraverso la vita che rifiorisce, attraverso corpi che si rialzano, attraverso dignità che tornano a respirare.
Quando la vita può emergere, quando la dignità delle persone viene restituita, quando la creazione tutta intravvede la possibilità del suo compimento, allora qualcosa di Dio sta accadendo. Il segno non è il fuoco che distrugge, ma la vita che si riaccende.
Dio altro non è che vita emergente.
Per questo Gesù di Nazareth non appare tanto come un Dio che si fa carne, quanto un uomo che incarna ciò che è la divinità: vita portata avanti, respiro che non si arrende, fecondità che genera, umanità che giunge alla sua pienezza. E ciò che egli vive diventa anche la nostra vocazione più profonda.
Il Natale, allora, non è prima di tutto la celebrazione di qualcosa che discende dall’alto, ma la memoria che anche noi possiamo vivere “da dio”, ogni volta che dilatiamo la vita, la nostra e quella degli altri. Ogni volta che facciamo spazio alla luce dentro le pieghe dell’umano.
Forse dovremmo imparare a non attendere più la vita dall’alto, ma a riconoscere che siamo chiamati a partorirla. E se di grazia vogliamo parlare, è una grazia che prende la forma della responsabilità. Come scrive Teresa Forcades, la grazia non è tanto «un fiore da cogliere, quanto un pane da impastare».
Dio è pane da impastare, carne da incarnare, amore da donare, vita da elargire.
E così il Natale non lo celebriamo accogliendo semplicemente un bambino che ci viene consegnato dall’alto, ma scegliendo di incarnare il bene, diventando, giorno dopo giorno, più umani.

 
Paolo Scquizzato
 
Letto 1 volte Ultima modifica il Domenica, 21 Dicembre 2025 08:54
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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