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Domenica, 16 Marzo 2008 16:52

Ecumenismo protestante. L'ecclesiologia della Riforma (Renzo Bertalot)

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Il XX secolo è stato definito il secolo della Chiesa e, certamente, stiamo assistendo a movimenti di pensiero, nel campo ecclesiastico, che sconvolgono le vie tradizionali. Non siamo, tuttavia, dispensati dall'interrogare il nostro passato confessionale. Il problema dell'unita' della Chiesa non è una prerogativa del nostro secolo, anche se oggi assume delle proporzioni di primaria importanza.

Ecumenismo protestante
Capitolo primo

L'ecclesiologia della Riforma

di Renzo Bertalot

Il XX secolo è stato definito il secolo della Chiesa e, certamente, stiamo assistendo a movimenti di pensiero, nel campo ecclesiastico, che sconvolgono le vie tradizionali. Non siamo, tuttavia, dispensati dall'interrogare il nostro passato confessionale. Il problema dell'unita' della Chiesa non è una prerogativa del nostro secolo, anche se oggi assume delle proporzioni di primaria importanza. Al momento della rottura del XVI secolo sono venute alla luce delle motivazioni fondamentali che continuano ad impegnarci, come protestanti, e che si riflettono sulla nostra meditazione ecumenica odierna.

La dottrina della Chiesa dei Riformatori tocca una vastità di argomenti che non possiamo esaminare in questa sede, come per esempio: l'esegesi, i ministeri, l'organizzazione, la liturgia e lo Stato.

Ci proponiamo unicamente d'interrogare uomini come Lutero, Zwinglio, Ecolampadio, Calvino, Bucero e Pietro Martire Vermigli per avvalerci delle loro indicazioni nello studio dei problemi del nostro tempo. Desideriamo conoscere il loro pensiero sulla Chiesa, considerata in una prospettiva più ampia dei singoli settori confessionali, per capire così meglio il nostro compito ecumenico.

Lutero

Non si può parlare di Lutero senza accennare alla sua dottrina dei due Regni. Il Prof. Torrance di Edimburgo ha dato un elenco assai completo delle contrapposizioni che il riformatore tedesco usa, rispettivamente, per indicare questi due Regni. Ne citiamo qualcuna a titolo di esempio: celeste-terrestre, della fede-delle opere, aion mellon-aion outos, Evangelo-Legge, del vedere-dell'udire, spirituale-corporale, eterno-secolare, Regnum Christi-Regnum Caesaris, dei cieli-mondano, Regnum gloriae-Regnum gratiae. (1) La distinzione e il rapporto tra questi due Regni sono stati oggetto di lunghe ricerche e di non pochi dissensi. Non si è sempre sicuri sulla loro linea di demarcazione. (2) La Chiesa e lo Stato sono le espressioni di questi due Regni nella nostra umanità, ma delle espressioni temporanee, destinate a sparire al momento del giudizio o quando Cristo rimetterà il suo Regno nelle mani del Padre. (3) Per Lutero questo momento poteva verificarsi ad ogni attimo. (4) Nella distinzione, operata dal riformatore, nasce l'ecclesiologia della Riforma. Egli si richiama spesso al testo del profeta Isaia 55,11: «Così è della mia Parola, uscita dalla mia bocca: essa non torna a me a vuoto, senza aver compiuto quello che io voglio, e menato a buon fine ciò per cui l'ho mandata». (5) «Tota vita et substantia ecclesiae est in verbo Dei». (6) La Chiesa è quindi quello che Dio la fa essere in un atto di creazione successiva e continua, è la risultante invisibile, ma reale, della Parola. (7) La Chiesa, inoltre, non è legata né a luoghi né a tempi particolari, essa è il corpus vivum unito al suo Capo che è la Parola stessa. “La Parola di Dio non è presente senza il popolo di Dio né il popolo di Dio senza la Parola”. (8) R. Prenter commenta, a questo punto, che nel primo caso vi sarebbe una specie di docetismo della Parola e nel secondo caso un'altra via per conoscere Dio. (9)

La forma, la liturgia e la visibilità della Chiesa sono un problema di secondo ordine perché esse rimangono aperte all'azione critica della Parola, fanno parte dello schema di questo mondo, sono destinate a passare e vanno annoverate tra le adiaphora. (10)

La Chiesa rimane dunque nascosta ed invisibile, non nel senso che i persecutori non la troverebbero, ma nel senso che essa si cela dietro il suo culto e la sua forma terrestre, che sono, invece, riconoscibili. (11) Lutero parla, in proposito, di una duplex communio, una interna et spiritualis e l'altra externa et carnalis, da intendersi parallelamente alle nozioni di uomo interno ed esterno del vocabolario paolino. (12)

Servendosi dell'analogia sacramentale, il Torrance nota che Lutero non distingue tra il signum e la res con la stessa chiarezza con la quale egli distingue tra Regno invisibile e Regno visibile, per cui non si sa se uno debba intendere i due Regni alla luce della S. Cena, oppure intendere la S. Cena in funzione dei due Regni. (13) In questo ultimo caso non vi sarebbe, forse, stata rottura con il protestantesimo svizzero. Non si può non notare che Lutero non accenna alla Chiesa visibile né nel piccolo né nel grande catechismo. Nel suo commentario all'Apocalisse, del 1530, dice ancora che alla Chiesa bisogna credervi, perché non la si può vedere neanche se si è armati di tutti gli occhiali di questo mondo. (14) La forma della Chiesa può essere buttata quando non serve più. (15) Pare dunque che si possa affermare, come fa il Torrance, che in questa tensione tra i due Regni non v'è, per Lutero, posto per una terza realtà. Non v'è un perfectum praesens L'escatologia è più una consolazione per i pellegrini, che vivono in ansia attendendo l'ora del Regno, che un'anticipazione del futuro di Dio.

A questo punto sono necessarie due osservazioni:

1. Non si può non notare l'importanza che questa posizione avrà nel pensiero luterano successivo. La nozione di angoscia di Kierkegaard non è estranea a questa origine né tanto meno la teologia di Paul Tillich che, rifacendosi all'esistenzialismo, s 'impernia sulla nozione dell'ansia. E una nozione che difficilmente trova riscontri fuori di un contatto diretto con la fede luterana.

2. L'incapacità di Lutero di formulate una dottrina precisa della Chiesa in terra è in pieno contrasto con la sua dottrina della S. Cena, in cui parla di communicatio idiomatum e di unione ipostatica che sollevavano le proteste dei calvinisti, a causa dell'implicito insegnamento di una terza presenza del Signore, tra l'ascensione e il ritorno, e di un'identità diretta tra dono celeste e dono terrestre. (16)

E quanto si può dire dell'ecclesiologia luterana? Oppure si è fatta violenza al suo pensiero? Certo è che si possono aggiungere alcune osservazioni che tengano presente la situazione nella quale il riformatore tedesco si trovava e scriveva. Si tratta per lui di reagire, innanzi tutto, alla visibilità della Chiesa di Roma, che sembra identificare ]a forma e l'essenza della Chiesa. (17) V'era pure una reazione contro gli anabattisti che si attendevano dalla Riforma una trasformazione radicale degli individui la quale, pertanto, non si era verificata.

Ad essi Lutero rispondeva che la Chiesa va giudicata per quello che essa è in Cristo e non nella persona dei suoi membri. È comunque chiaro che contro questa esigenza di vedere, avanzata sia dai cattolici romani sia dagli anabattisti, Lutero non poteva che mettere fortemente l'accento sull'invisibilità della Chiesa. Il termine stesso di Chiesa era considerato sfortunato, inopportuno, “cieco ed oscuro” perché confondeva le idee. Il riformatore tedesco avrebbe preferito un'espressione come: “la cristianita santa”. (18)

Ci si può chiedere tuttavia se in mancanza della terminologia vi sia almeno qualche accenno concreto alla Chiesa visibile.

Terminate le visite nelle campagne (1527-30),Lutero si convinse della necessità di organizzare le comunità rurali e cercò, per questo scopo, l'aiuto e l'appoggio del principe, non in quanto principe, ma in quanto fratello maggiore; noi, oggi, diremmo laico qualificato. Si tratta dunque di rendere possibile la predicazione dell'Evangelo. Per il resto bisognerà rimettersi nelle mani di Dio ed affidarsi agli effetti della Parola. (19)

Lutero suggerirà l'attuazione del sistema disciplinare di Bucero, essendosi riconciliato con lui, ma la nobiltà non lo seguirà in questo passo, temendo che, dopo aver chiesto ai contadini di sottomettersi alla disciplina, non si finisca per esigere la stessa cosa dalla nobiltà. Nel 1543cercherà ancora di attuare il suo progetto e dovrà difendersi contro l'accusa infondata di concepire la sua nozione di Chiesa sullo schema dello Stato platonico. (20)

Lutero è sostanzialmente sulla via degli altri riformatori quando parla degli indizi della Chiesa. Nel suo trattato sul papato romano egli scrive: “Gli indizi esterni mediante i quali uno può rendersi conto dove questa Chiesa sia, in terra, sono: il battesimo, il sacramento e l'Evangelo”. (21) Nel trattato sul Concilio e la Chiesa aggiunge altri indizi supplementari: la disciplina o potere delle chiavi, la consacrazione al ministero, le preghiere e i rendimenti di grazie e la vita della Chiesa sotto la croce, nella persecuzione. Bisogna tenere presenti anche delle questioni di ordine come l'ora e il luogo del culto. Si può ben dire che v'è in tutto ciò l'articolo 7 della Confessione Augustana del 1530che è dovuto alla penna di Melantone: «Est autem ecclesia congregatio sanctorum in qua evangelium recte docetur et recte administrantur sacramenta».

Zwinglio

La sfida di Lutero, che non vi sia traccia della Chiesa visibile nel Nuovo Testamento, è raccolta da Zwinglio che vi vede, invece, delle comunità organizzate come quella di Corinto, nelle quali si esercita la disciplina e la scomunica. Tuttavia, la Chiesa è la città cristiana più che la parrocchia. Non bisogna dimenticare che la città ha seguito Zwinglio nella sua riforma. Il magistrato civile si occupa, pertanto, delle sanzioni disciplinari. Il riformatore svizzero insiste su questa posizione anche nei confronti degli anabattisti, i quali, invece, intendono per Chiesa la comunità dei soli convertiti e dei battezzati adulti.

Il magistrato deve ispirarsi, nell'amministrazione della giustizia, alla predicazione dei profeti per cui la città cristiana deve diventare un'immagine del Regno di Cristo verso cui tende.

Se è vero che per Lutero la causa di Dio può essere promossa solo dalla Parola e mai dallo Stato - e in questo sembra esservi una posizione irriconciliabile tra i due riformatori - è altresì vero che quando Lutero accetterà che il principe, il fratello maggiore, lo assista nell'organizzazione delle comunità rurali, la distanza tra le due posizioni sarà sensibilmente ridotta. Non bisogna d'altra parte dimenticare che, per Zwinglio, la Chiesa è la comunione di tutti i veri credenti conosciuti da Dio solo. (22)

Ecolampadio

e affermò poi a Strasburgo, insieme a Bucero, di aver sconfitto i luterani. L'importanza di Ecolampadio, per l'ecclesiologia della Riforma, consiste nel fatto di aver sostenuto con Zwinglio la necessità che la Chiesa agisca sulle coscienze per guarirle dal peccato. Tale ministero era radicalmente diverso da quello dello Stato. Questa sua particolarità fu raccolta con entusiasmo da Bucero che, dopo averla rielaborata, la passò sia a Lutero sia a Calvino. (23)

Bucero

Già frate domenicano e seguace di Erasmo, passò nel 1518 alla Riforma tedesca. A Marburgo si prodigò affinché Lutero e Zwinglio raggiungessero un compromesso. (24) Bucero è il riformatore di Strasburgo e il suo pensiero può considerarsi una sintesi del pensiero della Riforma. (25)

Egli insegna l'esistenza di due Regni: il Regno celeste e il regno terrestre. La Chiesa, che s'identifica quasi con il Regnum Christi, è la parte sovrapponentesi dei due Regni, o la sfera in cui il Regno dei cieli è progressivamente attuato in terra. La Chiesa è anche intesa come lo sgabello, in terra, del Dio che siede nel Cielo. (26)

Al regno corporale e spirituale di Lutero, Bucero aggiunge il Regnum Christi o communio cbristiana visibilmente attuati, in terra, attraverso l'ubbidienza. Ci troviamo qui di fronte ad una svolta decisiva dell'ecclesiologia della Riforma, che permetterà a Bucero di sviluppare la sua nozione di disciplina come terzo indice della Chiesa visibile accanto alla predicazione e all'amministrazione dei sacramenti. Il Regno di Dio viene non solo audiendo (Lutero), ma ogni volta che, per la potenza dello Spirito, la Parola è tradotta in ubbidienza, in amore, in vita e in azione. (27)

In un primo tempo, i magistrati di Strasburgo avevano lo jus reformandi nella sfera religiosa, come l'imperatore nell'antichità cristiana. In seguito al suo contatto con Ecolampadio, Bucero rivendica alla Chiesa il diritto di esercitare la disciplina sui suoi membri. Egli risponde così anche al rigorismo degli anabattisti i quali rimproveravano alla Riforma di non aver trasformato la vita degli uomini. (28) Sorgono intanto i primi collaboratori del pastore, gli anziani, organizzati indipendentemente dall'autorità civile. (29) La Chiesa è considerata lo strumento visibile del suo Capo invisibile. Essa dev'essere un focolare di rigenerazione nella città e l'educatrice della società civile. Espulso da Strasburgo nel 1549, Bucero cercherà di convincere Edoardo VI ad adottare la disciplina ecclesiastica, esortandolo ad essere un nuovo Giosia per il suo popolo.

La posizione buceriana è trattata nel suo libro Von der Waren Seelsorge del 1538, che ha esercitato un'influenza incontestata su Lutero, sulla Chiesa anglicana ed ha trovato in Calvino il più deciso ed anche il più fortunato dei suoi sostenitori. (30)

Calvino

V'è un processo nel pensiero di Calvino che va da una posizione molto vicina a quella luterana, sull'invisibilità della Chiesa, ad una posizione che rielabora le tesi più suggestive del pensiero di Bucero. (31) Calvino osserva, commentando il credo apostolico, che si crede la Chiesa e non nella Chiesa. La Chiesa è dunque oggetto di fede e appartiene quindi alle cose che non si vedono. (32)

Secondo lo Strohl, Calvino parte dalla Confessione Augustana aggiungendovi la correzione seguente: la Chiesa è la comunità dei santi nella quale l'Evangelo è rettamente insegnato ed ascoltato, e rettamente si amministrano i sacramenti. (33) Poi, d'accordo con Zwinglio, egli ritiene giusto che la città s'ispiri, nella sua amministrazione, alla predicazione della legge divina. Nell'edizione della sua Istituzione, del 1539,Calvino afferma che la Chiesa non è soltanto generata dalla Parola, ma è anche l'organo mediante il quale veniamo alla Parola. Con “les ordonnances” del 1541,quindi in seguito alla forte influenza di Bucero subita a Strasburgo, la Chiesa è intesa come un'istituzione voluta da Dio, indipendente dallo Stato per quanto riguarda predicazione, cura d'anime, disciplina, insegnamento ed assistenza. I ministri, nella Chiesa, sono degli strumenti di Dio, non dei luogotenenti. La disciplina diventa un mezzo indispensabile della cura d'anime per la guarigione dei peccatori: una giurisdizione spirituale, parallela, ma non in contraddizione con quella temporale. (34) Nell'edizione definitiva della sua Istituzione (1559), il prestigio della Chiesa visibile è ancor più aumentato. Il titolo di madre, fino allora riservato alla Chiesa invisibile, passa alla Chiesa visibile, che ci nutre nel suo seno e ci cura fino alla morte. (35) Calvino non fa tuttavia della disciplina un indizio particolare della Chiesa; non segue cioè Bucero fino a questo punto. (36) È ben vero, però, che se ne manca la formulazione precisa, la sostanza rimane la stessa. Per Calvino infatti la mancanza della disciplina comporta il dissolvimento della Chiesa. Si tratta di una “briglia”, di uno “sperone”e di una “verga” di cui la Chiesa non può privarsi. (37) Con essa si riprendono in pubblico i “peccati pubblici”, cioè commessi apertamente, e si riprendono in privato i peccati di “seconda classe”, quelli commessi di nascosto dagli “ipocriti”. (38) È necessario, a volte, infliggere delle pene come l'allontanamento dalla S. Cena, la scomunica e il digiuno. (39)

È molto importante notare che la Riforma ha trovato, come sua specifica concezione ecclesiologica, tra Roma e gli anabattisti, una nozione di Chiesa centrata sulla disciplina oltreché sulla predicazione e sui sacramenti. Si potrebbe, forse, dire che la formulazione delle confessioni di fede non è altro che l'esercizio della disciplina nel campo del pensiero.

Ritornando in modo particolare a Calvino, il Torrance nota ancora che, per il riformatore ginevrino, la nuova creazione ha una realtà ontologica qui ed ora nella Chiesa. È compito della disciplina, per la potenza della Parola e dello Spirito, di rendere la vera facies della Chiesa visibile sulla terra. (40)

Pietro Martire Vermigli

Quando era ancora monaco agostiniano ricevette il dottorato in teologia dall'Università di Padova. Ebbe dei contatti con Valdes, a Napoli, e fu visitatore dell'ordine. Passato alla Riforma fu nominato da Bucero professore di teologia a Strasburgo. Dal 1547 al 1553 fu professore ad Oxford. Calvino l'ammirò per la completezza della sua dottrina sulla S. Cena. (41)

I luterani del tempo si trovarono d'accordo con Bucero e gli zwingliani con Pietro Martire, ma i due riformatori nutrivano le stesse idee e sostenevano le stesse posizioni. Pietro Martire Vermigli divenne amico e collaboratore di Bucero tanto da poter dire di lui: “Un uomo della mia stessa mente”. (42)

La Riforma inglese riconobbe, nel pensiero del Vermigli, l'espressione più genuina della sua fede cristiana. (43) Egli è tuttavia oggi poco conosciuto, ma, data la sua posizione mediatrice, non mancherà certamente di essere riscoperto. Rileviamo, intanto, alcune indicazioni della sua ecclesiologia.

Cristo è unito ai suoi eletti per lo Spirito, per grazia, in modo tale che sono “carne della sua carne ed ossa delle sue ossa”. (44) V'è nella Chiesa una doppia comunione: una interna con Dio, in Spirito e per fede, ed una esterna con i membri di Chiesa. La caratteristica del pensiero del Vermigli è di aver messo l'accento sul rapporto tra Chiesa e Spirito Santo. Lo Spirito Santo è il principio formativo della Chiesa o la sua “radice celeste”. (45) I tre segni della presenza dello Spirito nella comunità cristiana sono la “dottrina”, l'“amministrazione dei sacramenti” e la “cura della disciplina”. “E chiamato segno ciò che, oltre alla forma offerta ai nostri sensi, porta qualcos'altro alla nostra conoscenza”. (46) Nella dottrina della Chiesa si tratta di Spirito e di segno. Quello che ci è offerto, al di là del segno, cioè oltre la vita e l'attività terrestre della Chiesa, è il “mistero” del suo Capo, mistero al quale essa partecipa secondo l'analogia sacramentale.

Gli anabattisti

L'ecclesiologia degli anabattisti potrebbe essere un argomento a parte. Si dovrebbe, infatti, ricercare la loro intenzione al di là dell'immediato aspetto pratico del loro movimento troppo spesso tormentato da guerre e persecuzioni. In fondo, un'ecclesiologia vera e propria è contraria all'aspettativa anabattista. Volevano il Regno, non la Chiesa. Non intendevano riformare la Chiesa, ma si preparavano alla venuta del Regno. (47)

Eppure hanno avuto una parte importante nella Riforma e nella sua ecclesiologia, perché i Riformatori hanno dovuto apertamente pronunciarsi contro le posizioni anabattiste. Ricordiamo l'impulsività di Lutero nella guerra dei contadini. (48) Bucero ha cercato, inoltre, di guadagnarli alle sue idee volendo evitare loro la condanna a morte. (49) Sono questi contatti che convinsero Bucero della necessità della disciplina ecclesiastica. Il suo libro Von der Waren Seelsorge rappresenta appunto la formulazione di questo suo pensiero che ebbe un'influenza fondamentale su tutta la Riforma. Con l'esercizio della disciplina, s'intendeva appunto rispondere alle accuse degli anabattisti i quali non vedevano delle vite veramente trasformate dalla predicazione riformata. In reazione ancora agli anabattisti, i riformatori precisarono che le qualità della Chiesa non dipendono dalle qualità dei suoi membri. Non dimentichiamo, infine, l'osservazione di Calvino che se Paolo aveva riconosciuto come chiese le comunità di Corinto e della Galazia, non si doveva accettare il rigorismo anabattista . (50)

Questi sono i grandi tratti della funzione catalizzatrice dell'anabattismo in rapporto all'ecclesiologia riformata, funzione di una importanza fondamentale, se teniamo presente che nei paesi in cui la vita della Chiesa è stata riformata senza una netta distinzione e reazione all'anabattismo, non v'è stata una sempre chiara ed evidente distinzione tra Chiesa e Regno, tra giustificazione e santificazione e sono mancate, in genere, le confessioni di fede.

Karl Barth parla degli anabattisti come dei precursori del modernismo protestante. (51)

L'aspetto ecumenico più caratteristico dell'ecclesiologia luterana è dato dalla nozione di Chiesa invisibile. La comunità dei credenti si trova sempre al di là dei singoli corpi ecclesiastici visibili, siano essi quelli di Roma o quelli di Wittemberg. Anche nei tempi più oscuri del papato vi è stata la presenza di una vera Chiesa conosciuta da Dio soltanto.

Calvino prende le mosse dalla concezione luterana della Chiesa invisibile. La forma della Chiesa può certo venir interrotta, (52) ma se il ministero della Parola è onorato e così pure l'amministrazione dei sacramenti, dobbiamo ritenere che ciò produca i suoi buoni effetti e preservi l'unità della Chiesa Universale nonostante gli empi. Vi sono, perciò, indizi della vera Chiesa in tutte le chiese protestanti evangeliche anche se episcopali. (53)

Bucero e Pietro Martire Vermigli sono stati i pratici dell'ecumenismo al tempo della Riforma. Ovunque si sono presentati come degli ambasciatori di riconciliazione senza compromettere il messaggio che avevano ricevuto. La disciplina ecclesiastica di Bucero ha influenzato tutti i riformatori. Il Vermigli ha raccolto il consenso della teologia anglosassone. Nel suo pensiero si sono riconosciuti sia gli anglicani sia gli scozzesi. L'analogia sacramentale l'ha portato a distinguere con chiarezza il rapporto tra segno e realtà significata, tra Chiesa visibile e Chiesa invisibile.

Essere riformati ed essere ecumenici significa saper prolungare queste linee direttive nel nostro presente.

Note

1. T. F. TORRANCE, Kingdom and Church, A Study in the Theology of the Reformation, Oliver and Boyd, Edimburgo 1956, p. 24.

2. Idem.

3. Ibidem, p. 31.

4. Ibidem, p. 55.

H. STROHL, La Pensée de ta Réforme, Delachaux et Niestlé, Neuchâtel 1951, p. 178.

6. Cfr. T. F. TORRANCE, op. cit., p. 57.

7. H. STROHL, op. cit., p. 174.

8 Cfr. T. F. TORRANCE, op. cit. p. 57.

9. A. V., La Sainte Eglise Universelle, Delachaux et Niestlé, Neuchâtel, p. 119.

10. T. F. TORRANCE, op. cit., p. 63.

11. A. V., op. cit., p. 114.

12. T. F. TORRANCE, op. cit., p. 60.

13. Ibidem, p. 61.

14. H. STROHL, op. cit., p. 181.

15. T. F. TORRANCE, op. cit., p. 63.

16. Ibidem, pp. 143ss; K. BARTH, Parole de Dieu et Parole humaine, Jesers, Parigi, p. 252.

17. T. F. TORRANCE, op. cit.,p. 64.

18. H. TH. KERR curatore, A Compend of Luther’s Theology, The Westminster Press, Filadelfia 1943, p. 125.

19. H. STROHL, op. cit., pp. 186ss.

20. Ibidem, p.208; Giovanni Miegge, Lutero, Claudiana, Torre Pellice 1946, p. 321.

21. H. TH. KERR curatore, op. cit., p. 126.

22. H. STROHL, op. cit.,pp. 189ss.

23. Ibidem, p. 193.

24. Twentieth Century Encyclopedia of Religious Knowledge, Baker Book House, Grand Rapid, Michigan, 1955,voce: Bucer Martin.

25. H. STROHL, op. cit., p. 195.

26. T. F. TORRANCE, op. cit.,pp. 76ss.

27. Cfr. Ibidem, p. 87.

28. Twentieth Century Enc..., cit., voce cit.

29. H. STROHL, op. cit.,pp. 195-197.

30. Ibidem, pp. 202 e 208.

31. Ibidem, p. 219.

32. G. CALVINO, Inst. Christ., IV, 1, 1.

33. Ibidem, IV, 1, 9.

34. Ibidem, IV, 2; H. STROHL, op. cit., pp. 209-221.

35. H. STROHL, op. cit., pp. 222ss.

36. F. WENDEL, Calvin, Sources et évolution de sa Pensée Religieuse, Presses Universitaires de France, Parigi 1950, p. 228.

CALVINO, op. cit.,IV, 1, 21.

38. Ibidem, IV, 12, 3; Matt. 18, 15; 1Tim. 5, 20.

39. G. CALVINO, op. cit.,IV, 12, 6.

40. T. F. TORRANCE, op. cit.,p. 150.

41. J. C. MCLELLAND, The visible Word of God, Oliver and Boyd, Edimborgo 1957, p. 279.

42. Ibidem, p. 280.

43. Ibidem, prefazione di T, F, TORRANCE p. IV.

44. Cfr. Ibidem, p. 123.

45. Ibidem, p. 124.

46. Ibidem, p. 136.

47. Ibidem, p. 123.

48. G. PISCEL, Il Regno degli Anabattisti, Doxa, Roma s.d. p. 42.

49. Twentieth Century Enc..., cit., voce cit.

50. H. STROHL, op. cit., pp. 197 e 218. F. WENDEL, op. cit., p. 225.

51. K. BARTH, Dogmatique, I, 1 ++, ed. fr. Labor et Fides, Ginevra 1953.

52. A. LECERF, Etudes Calvinistes, , Delachaux et Niestlé, Neuchâtel 1949, p. 62.

53. G. CALVINO, op. cit.,IV, 1, 16.

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
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