Ecumene

Mercoledì, 02 Giugno 2010 21:34

Il sufismo, centro dell'Islam religioso (Marino Parodi)

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I sufi, detti anche “dervisci” rappresentano la parte mistica e più illuminata dell’Islam e sono attivi in tutti i campi delle arti e delle scienze nel rispetto di ogni cultura e d’ogni religione, diffondendo ovunque la buona parola della bontà e della pace.

Il sufismo,
centro dell'Islam religioso

di Marino Parodi

Il sufismo costituisce il cuore della spiritualità e della vita religiosa musulmana. Il termine designa la mistica musulmana, detta tasawwuf; parola che risale a suf, ossia “lana”. I suoi seguaci indossavano infatti un saio di lana bianca, proprio come i monaci e gli asceti cristiani dell’Oriente. Il sufi è colui o colei che pratica il tasawwuf. Al centro del sufismo vi è un’esperienza di incontro con Dio, alla quale si arriva attraverso un metodo sistematico. Il sufismo va peraltro distinto dalla pratica dell’ascesi, detta zuhd, che consiste in una rinuncia programmata, in una disciplina spirituale finalizzata a liberare la personalità dai difetti per orientarla verso la virtù.

Le origini del sufismo risalgono al primo secolo dell’era musulmana, il quale vide lo sviluppo di una tendenza marcatamente spirituale di fronte al lassismo di molti fedeli. Nascono così gli “asceti”, i “devoti”, gli “adoratori”, i “piagnoni”. Tutti costoro sono determinati a vivere la fede islamica a livello interiore e spirituale e vedono nella pratica dell’esame di coscienza e del digiuno, nella scelta della povertà e della solitudine nonché nel “distacco dal mondo” strumenti utili allo scopo. Tra tali asceti si distinguevano in particolare i “predicatori-narratori”, i quali accompagnavano i combattenti della “guerra santa” (al-jihad), partiti per conquistare nuovi popoli all’islam, a suon di letture del Corano e di esortazioni a una vita austera.

Altri, intimoriti da certe raccapriccianti descrizioni coraniche dei castighi ultraterreni riservati ai malvagi impenitenti, si davano a una esistenza ritirata e lontana dai piaceri terreni, senza con ciò arrivare al rifiuto della politica né al celibato. Proprio in ciò tali asceti si differenziano dal monachesimo cristiano, a proposito del quale il Corano esprime un giudizio dapprima positivo e in seguito drasticamente negativo, condannando il “rifiuto del mondo”, dei piaceri della vita nonché, appunto, il celibato, Il monachesimo, viene spiegato, è stato creato dai cristiani e non da Dio: si tratterebbe di una scelta di per sé più che rispettabile, ma assai distante, nei fatti, da ciò che dovrebbe essere.

L’epoca d’oro

Resta peraltro il fatto che non pochi studiosi ritengono che proprio nei contatti tra sufi e monaci cristiani sta la soluzione del non facile problema delle origini del sufismo, le quali stando ad altri risalirebbero a interpretazioni di determinati passi del Corano dalla spiritualità particolarmente intensa nonché a certe tradizioni comunque ruotanti attorno all’orbita del primo islam. Altri ancora ritengono il sufismo sempre all’interno del mondo islamico, ma a seguito di influenze esterne: iranica, indiana, neoplatonica, gnostica e soprattutto giudaico-cristiana.

L’epoca d’oro del sufismo risale ai secoli III e IV dell’Egira (tra la fine dell’800 e l’inizio del 1000 per noi cristiani) con il delinearsi sempre più netto della mistica, ma già in epoca precedente troviamo una mistica decisamente interessante: Rabi’a aI’Adawiyya, suonatrice di flauto passata a miglior vita nell’801, convertita all’islam e nota come “poetessa dell’amore”. Ella canta infatti l”’amore incondizionato” per Dio, il quale va desiderato in quanto Bene supremo, di per sé, indipendentemente da ogni ricompensa in questa vita e nell’altra.

Rabi’a rappresenta ancora il primo sufismo, al quale le tecniche della preghiera e della contemplazione sono ancora sconosciute. Esso si muove ancora attorno all’orbita del Corano. Il passaggio dall’ascetismo (zuhd) alla mistica (tasawwuf) si verifica nei secoli III e IV dell’Egira (800-900 d.C.) Nascono scuole di mistica, come quella di Baghdad, di Damasco e di Khorasan. L’evoluzione consiste nella scoperta dell’amore di Dio e nella consapevolezza della sua presenza, che, nell’itinerario della spiritualità musulmana, vengono così a prevalere sulla Legge (shari’a), sulle istituzioni e i riti islamici, compresi quelli più importanti: tutto ciò passa così in secondo piano.

A questo punto risulta allora chiaro che il sufi è colui o colei, il quale o la quale vuole amare Dio al di là del timore e della speranza, con la volontà di servirlo «per suo proprio piacere», in nome di un “amore incondizionato”, con l’anelito di trovare la “vicinanza” con il Creatore, con tutta la sofferenza che comporta la lontananza da Dio, trascendente e inaccessibile, a causa della propria carnalità. Tuttavia la mistica dell’Amore (mahabba) porta a fare esperienza dell’Unione (ittihad) col proprio Creatore. Di conseguenza l’amore del sufi tende all’unione con Dio, la quale rifiuta ogni dualità ed esige che l’uomo “si annulli” in Dio e sparisca in Lui. «Il tasawwufr, insegna Tunayad, uno dei massimi maestri sufi, «consiste nel fatto che Dio fa morire l’uomo al suo “ego” per vivere in lui».

Trasformazione

A partire dal secolo XIII il sufismo vive una seria trasformazione, le cui conseguenze perdurano tuttora. Benché ancora oggi esistano “sufi indipendenti”, il sufismo diventa popolare e dà vita a “confraternite” e “ordini”, i quali raggruppano donne e uomini motivati da una sincera ricerca di eternità e di Dio nonché disposti a porsi sotto la guida di un maestro onde percorrere una via spirituale assai impegnativa. Le confraternite (tariqa, ossia “sentiero” o “cammino”) sono caratterizzate da legami comunitari, nonché dalla “iniziazione”, requisito indispensabile per l’ammissione.

A capo di ogni confraternita è preposto un superiore generale, il quale resta tale per tutta la vita e risiede presso la tomba del fondatore, dal quale ha ricevuto una particolare benedizione, che è poi una sorta di carisma trasmesso col bacio della mano. A lui solo spetta l’autorità di ammettere l’investitura in virtù della quale si entra a far parte della confraternita. Quando la confraternita si ramifica, viene nominato un superiore locale. Ogni confraternita è chiamata a crearsi una propria “catena” di predecessori , la quale va da Allah all’Angelo Gabriele, da questi al Profeta, dal Profeta al Santo Fondatore e da questi alla serie degli shaykh (sceicchi) per giungere allo shaykh attuale.

L”iniziazione”, la quale segna l’entrata nella comunità, a seguito di una serie di digiuni, preghiere e istruzioni, prevede il giuramento di obbedienza, di custodire i segreti della confraternita, di mostrarsi solidale nei confronti dei confratelli, la recita della shahada (professione di fede musulmana) e degli attributi divini, l’istruzione, da parte dello shaykh, circa i doveri dei confratelli, la recitazione di varie preghiere nonché una peculiare liturgia, l’una e l’altra finalizzate a indurre uno stato di trance, il bacio di pace e, infine, la consegna delle insegne. I membri della confraternita sono vincolati all’osservanza di determinate pratiche ascetiche, quali il digiuno in certi periodi e il silenzio, nonché, spesso ma non sempre, al celibato. Essi portano inoltre determinati segni esterni (tonaca, cintura, turbante, rosario al collo e alla mano).

La comunità è suddivisa in “apprendisti” (già iniziati), “compagni” (i quali già hanno ricevuto i gradi”) e “maestri” (ossia i capi delle varie confraternite). I membri di ogni confraternita si riuniscono spesso, a scadenze fisse, e talvolta è permesso a chiunque partecipare ai loro incontri, i quali sono estremamente suggestivi e, come accennato, capaci di indurre spesso quelle che la psicologia avanzata chiama peak experiences nonché altered states of consciousness («stati modificati di coscienza»). Trattasi di stati di coscienza particolarmente elevati, in cui esperienze mistiche a carattere particolarmente intenso e fenomeni medianici si manifestano con una certa frequenza. La musica e le danze giocano in tale contesto un ruolo importante.

Sviluppo e diramazioni

É stato osservato che, come del resto si verifica puntualmente in tali contesti, tali incontri rivelano spesso un alto potenziale terapeutico: il rilassamento e il conseguente stato di benessere psicofisico che ne derivano sono non di rado notevoli. D’altra parte, è interessante rilevare che, man mano che si procede nella “via”, si ottiene accesso a una conoscenza sempre più profonda dei segreti iniziatici. Dell’accennato potenziale terapeutico si sono accorte alcune recenti scuole di psicologia particolarmente avanzate, le quali hanno appreso determinate tecniche sufi integrandole nei loro percorsi. Basterà citare il caso dell’ormai celeberrimo “ennegramma”, complesso sistema di lettura e di orientamento della personalità basato su nove tipologie.

Attualmente si contano circa una cinquantina di confraternite sufi nel mondo musulmano: diverse di queste hanno diramazioni in vari Paesi occidentali (compresa l’Italia). Il numero dei membri si aggira attorno ai cinquanta milioni, mentre il numero dei simpatizzanti raggiunge una quota tre volte maggiore. Non mancano neppure “schegge impazzite”, per così dire, di questo grandioso movimento spirituale: trattasi di eccentrici personaggi, viventi soprattutto in Asia centrale, in Pakistan, Iran e Afghanistan, i quali, da soli, o in gruppo, per lo più dediti al nomadismo, svolgono la funzione del predicatore ambulante, del guaritore, del veggente e altro ancora, tutto ciò secondo modalità che a noi occidentali non possono che apparire stravaganti (sarebbe peraltro assolutamente superficiale e ingiusto bollare in blocco tali pittoreschi ed eccentrici personaggi come ciarlatani della più bell’acqua o poveri squinternati).

«Il sufi è nel mondo, ma non è del mondo. Vive una vita comune, soffre, lavora, paga le tasse, ha il passaporto e soprattutto viaggia moltissimo col corpo e con la mente, nei secoli, nei libri e nelle opere d’arte, Tuttavia non è conquistato dalle vanità mondane, non è stato preso al laccio da sistemi di governo, o politici, o finanziari o consumistici, non è limitato da concetti di patria o di confini, da colori della pelle o diatribe antiche. Tutto passa, ma poi possediamo un’anima divina, goccia di quell’oceano senza fine che è Dio», scrive Gabriel Mandel, peculiare e poliedrica figura di scienziato e di intellettuale a un tempo, esponente di spicco del sufismo a livello mondiale, trapiantato in Italia da tantissimi anni, nel suo libro La via al sufismo (Bompiani 2004, pp. 205, € 9,00).

I rapporti con l’"ortodossia"

Come accade tutt’altro che raramente quando una scuola o tradizione mistica nasce all’interno di una religione istituzionalizzata, il rapporto tra sufismo e “ortodossia” islamica non è certo stato facile. Non mancarono i maestri sufi giustiziati a causa delle idee che diffondevano. Tra costoro non mancano personaggi di grande rilievo: è il caso di Junyad al’Baghdadi, uno dei principali esponenti della scuola di Baghdad, decapitato e messo al rogo nel 922. È facile capire il motivo della tensione se si tiene presente che, in definitiva, lo scopo principale del sufismo consiste nel trovare l’amore di Dio e nel farne esperienza. Tale unione mistica va in sostanza al di là di ogni religione organizzata e dei suoi riti.

Lo stato mistico rappresenta lo stadio più elevato che l’uomo possa raggiungere: ivi pervenuto, egli è liberato da ogni impurità e vive in una condizione di estasi, poiché è «mosso e abitato da Dio». Tuttavia vi è di più e dell’altro: ad accentuare la divergenza di prospettiva e di visione della vita contribuisce in maniera marcata la natura stessa del Corano, per così dire. Innanzitutto, Allah si impone nel Corano in virtù della propria maestà e trascendenza. Non a caso, in questo testo sacro dell’islam si parla assai poco dell’amore di Dio per l’uomo e dell’amore dell’uomo per Dio, benché qua e là l’uno e l’altro tema ricorrano. Essere musulmano significa non a caso a Lui sottomettersi e ubbidire a Lui, alla Sua volontà così come la esprime la Legge.

Più che la relazione tra padre e figlio (a differenza del Cristianesimo) il rapporto tra Allah e il fedele ricorda quella tra padrone e servo. E ancora, l’islam non si presenta nel complesso come una religione mistica o ascetica: agli esseri umani propone una Legge, una visione totale del mondo, che assicura al credente la felicità terrena e insieme quella ultraterrena. I musulmani sono inviati a godere di tutti i doni e i piaceri messi a disposizione dalla vita, pur con moderazione e in ottemperanza della Legge islamica. Il sufismo sposta lo sguardo per proporre un’altra prospettiva: l’aldilà comincia già, in qualche misura, qua e ora. Al di là di ogni divergenza, il sufismo, tuttora vitale, non ha peraltro mai cessato di esercitare un ruolo notevole in tutto il pianeta islam, in particolare sui piano delle arti, delle scienze e della cultura a livello generale.

 (Da Vita Pastorale, n.11, 2008)

 

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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