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Mercoledì, 01 Settembre 2010 16:56

Un colloquio ebraico-cristiano. I passi del Messia (Marco Morselli)

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I passi del Messia è un volume che presenta dieci autori (nove ebrei e uno che avrebbe desiderato convertirsi all'ebraismo) che si sono occupati del cristianesimo. Molti pensano che i cristiani siano interessati all'ebraismo e che invece non sia vero il contrario. Ebbene non è così.

I passi del Messia
Per una teologia ebraica del cristianesimo

di Marco Morselli *

I passi del Messia1 è un volume che presenta dieci autori (nove ebrei e uno che avrebbe desiderato convertirsi all'ebraismo) che si sono occupati del cristianesimo. Molti pensano che i cristiani siano interessati all'ebraismo e che invece non sia vero il contrario. Ebbene non è così. Abbiamo qui importanti autori ebrei che hanno incominciato ad occuparsi del cristianesimo ancor prima che il dialogo ebraico-cristiano avesse inizio. Questi autori sono: Elia Benamozegh, Aimé Pallière, Joseph Klausner, Jules Isaac, Israel Zoller, Franz Rosenzweig, Gershom Scholem, André Chouraqui, Léon Askénazi, Jacob Taubes.

Le due parole-chiave del libro sono teshuvà e tiqqun. Teshuvà vuol dire ritorno, conversione, pentimento, risposta, mentre tiqqun un termine cabalistico che indica la riparazione. Non è scopo di questo libro dimostrare agli ebrei che Gesù è il Messia né dimostrare ai cristiani che invece non lo è. Si prende come punto di partenza il fatto che ormai dopo diciannove secoli su questo punto ebrei e cristiani hanno posizioni differenti. Come scriviamo nel secondo capoverso della Introduzione:

«È opinione diffusa che il maggior problema del rapporto tra ebrei e cristiani sia costituito da Gesù. Come speriamo di poter mostrare nel corso del libro non è così. La questione di Gesù, se sia o no il Messia, se quindi il Messia sia già venuto o debba ancora venire potrà essere affrontata solo dopo che molti altri punti siano stati chiariti e il principale di questi punti riguarda la Torah. Rabbì Yeshua ben Yosef (=Gesù) è venuto ad abolirla o a diffonderla nella sua pienezza?».

Questa domanda trova risposta a p. 137 con la citazione di Mt 5,17-19:

«Non pensiate che io sia venuto ad abolire la Legge e i Profeti. Non sono venuto ad abolirli ma ad osservarli nella loro pienezza. In verità vi dico: fInché non siano passati i cieli e la terra neppure una yod o un segno di lettura della Torah saranno cancellati, fino al compimento di tutte le cose. Perciò chi scioglierà la più piccola delle mitzvòt [i 613 comandamenti per gli ebrei e i 7 comandamenti per i noachidi] e insegnerà così agli uomini, sarà il più piccolo nel Regno dei cieli, chi invece le farà e le insegnerà sarà considerato grande nel Regno dei cieli».

Benamozegh affrontava il suo studio del cristianesimo avendo in mente questa cronologia dello Zohar (Il Libro dello Splendore):

«Nel seicentesimo anno del sesto millennio [corrispondente all'anno 1840] le porte della conoscenza della Torah si apriranno dall'alto, simultaneamente alle porte della conoscenza dal basso».

Quindi ci sarebbe stato un enorme sviluppo delle conoscenze in generale, delle conoscenze scientifiche (si pensi ai grandissimi progressi in tutti i campi a partire dalla seconda. metà del XIX sec.) e contemporaneamente ci sarebbe stato un diventare essoterico di quello che è esoterico. Rav Benamozegh era un ebreo cabalista ed ortodosso (e anche questo va sottolineato, perché generalmente si pensa che siano gli ebrei riformati ad essere più aperti al dialogo degli ebre ortodossi) che nutriva un grandissimo interesse per il cristianesimo. Ecco cosa scrive in Morale ebraica e morale cristiana:

«Mille generazioni si sono riparate sotto il suo tetto ospitale, mille sofferenze, mille dolori vi hanno trovato un sollievo quasi divine mille virtù si sono sparse per il mondo comunicando dappertutto il coraggio di fare il bene e il terrore di fare il male, mille geni hanno chinato la fronte davanti ad essa [la morale cristiana]. Inchiniamoci anche noi davanti a questo capolavoro di un pugno di ebrei, davanti a questo grande ramo di Israele innestato sul tronco dei gentili. Vi riconosciamo l'impronta dell'ebraismo, lo spirito dei patriarchi, dei profeti e dei rabbini».

Secondo Benamozegh il cristianesimo è uscito dall'ebraismo, nel duplice senso che ha avuto nell'ebraismo la sua origine ma anche che in seguito se ne è allontanato. Ma il filo, anzi il qav, che li unisce non si è spezzato. E questo consente di ripercorrere la stessa strada, ma in direzione opposta:

«Allo stesso modo in cui gli ebrei fondatori del cristianesimo sono passati di là, a nostro avviso, nel fondarlo, niente di più naturale che altri ebrei vi passino a loro volta e quest'ultimo passaggio prova il primo. Ma è come un ponte gettato sull'abisso, sul quale si può passare ma anche ritornare».

Ecco che quindi Benamozegh riteneva possibile una riforma della cristianità attraverso un vero e proprio percorso di teshuvà, compiuto il quale

«il cristianesimo si spoglierà di tutto ciò che ha di contrario all'ebraismo, deporrà le vesti prese in prestito, i brandelli di paganesimo che lo hanno reso irriconoscibile ai suoi genitori, che lo fecero espellere dalla casa paterna, che produssero e perpetuarono il divorzio, l'inimicizia, la lotta fratricida tra ebraismo e cristianesimo di cui il mondo piange ancora».

In questo contesto Benamozegh ha anche presagito il ritorno degli Esseni, un secolo prima della scoperta dei rotoli di Qumran:

«Questo sottrarsi degli Esseni cabalisti dalla scena del mondo non fu che una eclissi temporanea, un ritiramento nelle più segrete latebre dell' ebraismo, un nascondimento precario a guisa di quei fiumi che a un tratto avvallando e sprofondandosi nelle viscere della terra si aprono una via sotterranea per miglia non poche, onde erompere di nuovo alla superficie del globo e l'antico corso seguire alla luce del sole».

Aimé Pallière, un ragazzo francese di 17 anni, molto religioso e che si sentiva particolarmente attirato verso il seminario, un giorno di settembre del 1885 si stava godendo gli ultimi giorni di vacanza prima della ripresa delle lezioni, quando passa davanti alla Sinagoga. Vede molta gente radunata, ha notizia che è un giorno di festa, entra nel Tempio e rimane sbalordito, perché conosceva gli ebrei dalle illustrazioni della Bibbia di Gustave Dorè, e quegli ebrei di diciannove secoli prima se li trova lì davanti, avvolti nei loro scialli da preghiera. Apre un libro di preghiere e vede delle strane note musicali (le lettere ebraiche). Con il fervore di un teen-ager il giorno dopo va a comprare un libro di grammatica ebraica, inizia a studiare le feste e i riti ebraici e l'anno dopo si ripresenta in Sinagoga molto più informato sui riti di Kippur.

Decide di diventare ebreo. Va a trovare vari Rabbini, viene poi indirizzato a Rav Benamozegh di Livorno. Benamozegh gli propone la via del noachismo. L'alleanza noachide è l'alleanza stipulata dal Santo, benedetto Egli sia, con tutta l'umanità. Coloro che osservano i suoi 7 precetti, una morale essenziale, avranno parte al mondo a venire.

Un altro personaggio del volume I passi del Messia è Joseph Klausner. Amos Oz racconta in Una storia di amore e di tenebra di ogni volta che, attraversando insieme ai genitori una Gerusalemme immersa nel riposo sabbatico, andava a trovare il suo prozio. Mentre entrava nella casa di questo grande. studioso, il piccolo Amos rimaneva colpito

«dal silenzio spettrale che alitava da abissi di pensiero e di dottrina, dal mormorio di sillabe morte, dalle litanie di pensieri segreti di autori defunti, dalla gelida carezza di antiche autorità».

Venticinquemila volumi in ebraico, aramaico, siriaco, greco, sanscrito, latino, arabo tra i quali lo studioso passava le sue giornate, a volte senza uscire dalla sua stanza neppure per prendere i pasti o dormire.

E’ Klausner a scrivere il primo libro in ebraico, pubblicato in Israele su Yeshù ha-Nosrì Gesù il Nazareno:

«Nel Codice di Gesù vi è una sublimità, chiarezza ed originalità che non hanno un parallelo in nessun codice ebraico e non vi è neppure un parallelo per l'arte notevole delle sue parabole, l'acutezza dei suoi proverbi. I suoi energici epigrammi riescono mirabilmente a fare delle sue idee etiche un possesso del popolo. Se arriverà il giorno in cui tale Codice sarà liberato dall'involucro di miracoli e misticismo, il libro di etica di Yeshù sarà uno dei tesori scelti della letteratura di Israele per tutti i tempi».

Gesù era ebreo, ma i suoi seguaci non lo furono. Ma è effettivamente così? Tendiamo a sottovalutare la forza del movimento messianico del primo secolo, che era grandissima. Molto spesso non ci si rende conto che tra il 66 e il 135 su Israele si è abbattuta una vera e propria Shoà. In percentuale sono scomparsi i nove decimi degli ebrei viventi prima delle Guerre romane. Quindi, se nel sec. I c'è stato un enorme slancio messianico, nel sec. II si tratta solo di sopravvivere, di salvare gli scampati allo sterminio rinchiudendosi all'interno dei quattro cubiti dell’Halakhà Contemporaneamente i goyim entrati sempre più numerosi nell'Alleanza, iniziano a fare da padroni di casa, a spadroneggiare. I più non hanno neppure oggi la consapevolezza raggiunta da Karl Barth nella Dogmatica ecclesiale:

«Tutta la comunità pagano-cristiana di tutti i tempi è ospite nella Casa di Israele. Accolta nella sua elezione e vocazione [di Israele], essa vive in comunità con il suo Re [d'Israele]. Come potrebbe andare in missione presso Israele? Cosa avremmo da insegnargli che egli non sappia già e che non dovremmo piuttosto imparare da lui?».

L'ipotesi di lavoro del volume I passi del Messia è che non già la conversione degli ebrei come per secoli, e in parte ancora adesso, i cristiani hanno pensato e sperato, ma la teshuvà dei cristiani costituisca il preludio della venuta o del ritorno del Messia di Israele e dell'umanità. Sulla differenza tra la venuta e il ritorno vorrei dare la parola alla nonna di Amos Oz:

«Da piccolo mia nonna mi spiegò con parole semplici la differenza tra ebrei e cristiani: "I cristiani credono che il Messia sia già arrivato e che un giorno tornerà, gli ebrei credono che debba ancora arrivare, che lo farà presto. Questi due modi di vedere hanno causato spargimenti di sangue, persecuzioni, discriminazioni ed odio. E per che cosa?", si domandava mia nonna e suggeriva: "Invece di versare sangue potremmo stare a vedere che cosa succede. Se il Messia arriverà e dirà: "Shalom, è bello rivedervi!", gli ebrei dovranno ammettere di essersi sbagliati, ma se dirà: "Piacere di conoscervi!", saranno i cristiani a chiedere scusa agli ebrei. E fino ad allora: vivi e lascia vivere"».

Veniamo ora a Israel Zoller. Egli era stato Rabbino a Trieste, dove erano passati 150.000 ebrei in fuga dall'Europa centrale e orientale (molti di loro bambini e adolescenti senza genitori), e lui li aveva accolti ed aiutati a partire per la Palestina. In seguito, sarà nominato Rabbino-capo di Roma Quando Roma venne occupata dai tedeschi, Zoller, che era di madrelingua tedesca e sapeva bene cosa stava succedendo nel resto dell'Europa sotto i nazisti, disse che bisognava chiudere la Comunità, distruggere i registri, distribuire i soldi ai poveri e nascondersi.

I presidenti della Comunità romana e dell'Unione delle Comunità italiane non ritennero che quelle indicazioni andassero seguite. Zoller decise di non aspettare l'arrivo delle SS nel suo studio o nella sua abitazione e si nascose. Dopo la liberazione, vi furono delle persone che iniziarono ad attaccarlo con l'accusa di aver abbandonato la Comunità nel momento di maggior pericolo.

In quel contesto nacque la sua decisione di entrare nella Chiesa. Perché Zoller lo ha fatto? Sofia Cavalletti, che è stata sua allieva per undici anni con contatti quasi quotidiani, mi ha confidato che Zoller riteneva che la conversione dall'ebraismo al cristianesimo fosse impossibile. Era una conferma della mia tesi: gli ebrei non devono convertirsi neppure da un punto di vista cristiano, neppure l'ipotesi che Gesù sia il Messia comporta per gli ebrei la conversione. Zoller rappresentava il caso più difficile per la mia tesi, perché, nell'età dell'assimilazione, di ebrei convertiti ce ne sono stati tantissimi, ma generalmente non avevano ricevuto una educazione ebraica e molti iniziarono a scoprire l'ebraismo solo attraverso il cristianesimo. Zoller, invece, la cultura ebraica ce l'aveva, eccome! Ecco la testimonianza di Sofia Cavalletti:

«Stavamo uscendo dal Biblico e Zolli mi diceva che non accettava di parlare di conversione a proposito del passaggio dall'ebraismo al cristianesimo. L'ebraismo non è il male dal quale ci si deve liberare».

Quindi «il Rabbino che si è convertito» riteneva semplicemente che la conversione dall'ebraismo al cristianesimo fosse impossibile!

La domanda è allora: perché Zoller s'è fatto battezzare?

Egli proveniva dalla Galizia, ossia da uno dei principali centri del sabbatianesimo e del frankismo. Scholem parla del Klaus (luogo di studio e di preghiera) di Brodiy nell'ultimo capitolo de Le grandi correnti della mistica ebraica: «Era una serra paradisiaca nella quale l'albero della vita [il titolo principale della Qabbalà luriana] fioriva e dava i suoi fruttÌ». Nel paragrafo precedente, dopo aver parlato dell'avvento e del crollo del sabbatianesimo, scrive: «L'elemento messianico delle idee di Luria era esploso e non si poteva così facilmente ignorarlo».

Sconvolto dagli avvenimenti della Shoà, indignato nei confronti della Comunità ebraica di Roma, Zoller decide di attuare il suo piano: liberare la Shekhinà dall'esilio di Roma (detto in termini frankisti). Zoller incontra il rettore del Pontificio Istituto Biblico, padre Bea, un gesuita tedesco che sentiva molto la responsabilità di quello che stava avvenendo in Europa. In questo mondo sconvolto Bea intravede la possibilità della conversione del Rabbino Capo. Ma anche Zoller vuole convertire p. Bea: pianta il seme della teshuvà all’interno del suo animo.

P. Bea andava da lui per avere spiegazioni di punti difficili del Vetus Testamentum e si è trovato di fronte la tradizione·vivente di Israele. Quando Zoller è andato ad insegnare alla Gregoriana, per la prima volta dalla sua fondazione in quella prestigiosa sede accademica si è sentito il canto della Torà. Sarà proprio p. Bea, divenuto cardinale, a portare a buon fine il compito (affidatogli da Giovanni XXIII) di far approvare la Dichiarazione conciliare sulle religioni non cristiane Nostra aetate, che, com'è noto, al n. 4, riguarda il rapporto con l'ebraismo.

Concludo riportando un brano da Il re dei Khazari di Jehuda ha-Levi, che Franz Rosenzweig cita ne La stella della redenzione. Rosenzweig stava per convertirsi al cristianesimo, ma voleva farlo da ebreo e non da pagano, e quindi passa l'ultimo Kippur in una piccola sinagoga di Berlino. Il risultato di quella giornata di digiuno e di preghiera è che la conversione non è più possibile. E Rosenzweig inizia a scrivere quell' opera straordinaria che è La stella della redenzione, che ha avuto giustamente fortuna negli ambienti del dialogo ebraico-cristiano, perché prevede una complementarietà tra ebraismo e cristianesimo: cioè il superamento della vecchia tesi che il cristianesimo è il completamento dell'ebraismo (dopodiché l'ebraismo diventa inutile in quanto incompleto). La verità si scinde in due parti ed entrambe sono necessarie:c’è una possibilità di collaborazione tra ebrei e cristiani per il tiqqun del mondo.

Ecco la pagina sul seme tratta dal Il re di Khazari:

«Il Signore ha su di noi il suo piano segreto, un piano come quello che ha su di un seme di grano che cade nella terra e apparentemente si muta in acqua e fango e di lui non resta nulla da cui l'occhio possa riconoscerlo; e tuttavia è lui che al contrario trasforma acqua e terra nella propria sostanza e man mano scompone i loro elementi e trasformandoli li assimila nella propria materia e così produce corteccia e foglie; e quando il suo interno midollo è preparato a che in esso possa entrare il modello di un seme di un tempo e che esso si evolva fino ad assumere una nuova corporeità, allora l'albero produce un frutto uguale a quello di cui un giorno il seme proveniva. Così l'insegnamento di Mosè attira a sé tutta la posterità trasformandola nella verità, sebbene apparentemente ciascuno lo rigetti. E quei popoli sono prodromi e preparazione del Messia che noi attendiamo: Egli sarà il frutto e tutti diverranno il suo frutto e lo confesseranno e l'albero sarà un unico albero. Allora glorificheranno e onoreranno la radice che prima disprezzavano, come dice Isaia [cap. 53]».

È l'annuncio del ritorno dei popoli che camminano nella storia e pensano di poter dominare il mondo. I discepoli di Yeshua già iniziano a riconoscere il servo disprezzato e misconosciuto di D.

Possano essi aiutare i discepoli di Muhammad a fare altrettanto e a non seguirli in quelli che sono stati i loro errori: l'insegnamento del disprezzo e la teologia della sostituzione.

È questa la mia preghiera per l'illuminazione dei cristiani.

 

Nota

  1. M. Morselli, I passi del Messia. Per una teologia ebraica del cristianesimo, Marietti, Genova Milano 2007 e 2008.

* Filosofo - Roma.

Letto 10060 volte Ultima modifica il Mercoledì, 01 Settembre 2010 18:29
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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