LA PREGHIERA DEI CRISTIANI DI ETIOPIA [1]
La preghiera è l’atto essenziale della vita cristiana [2]. Proprio come il Cristo si riceve continuamente dal Padre nella comunione dello Spirito santo, il cristiano, nella sua preghiera, consente nello Spirito santo al dono che Dio ci fa di accordarci di essere suoi “figli adottivi” (cf. Rm 8,15) e a domandare la grazia di condurre una vita che sia conforme a tale dono. Ovvero, per dirlo con la stessa tradizione etiopica: “La preghiera è quando l’uomo parla a Dio per ringraziarlo, lodarlo e riconoscere ciò che gli è dovuto, confessare il suo peccato e domandargli come piacergli” [3].
In Etiopia, come dovunque nel mondo cristiano, pregare è prima di tutto adorare Dio. Riconoscerlo come il Dio che ci ha creato, che ci ama e che ci salva (cf Mt 6, 9-10: la prima parte del Padre nostro); è lodarlo “perché eterno è il suo amore” (Sal 135)., ringraziarlo; e anche domandargli, per noi stessi o per gli altri ciò di cui abbiamo bisogno: il pane quotidiano, il perdono delle offese, la protezione contro le tentazioni e il male (cf Mt 6,11-13: fine del Padre nostro), ma anche la liberazione dalla malattia (Gc 5, 13-14), e anche dalla morte (1 Re 17, 17-24, Gv 11, 4142; At 9,40). Naturalmente, poiché “il vostro Padre dei cieli sa che avete bisogno di queste cose”, non preghiamo per “informare Dio”, ma per prendere coscienza di ciò di cui abbiamo veramente bisogno (Mt 6, 32s) e per renderci così disponibili alla grazia divina.
Preghiera e Bibbia, preghiera e dogma
Idealmente la preghiera può essere pura, cioè comunione immediata con l’amore di Dio [4]: “l’amore perfetto bandisce il timore” (1Gv 4, 18):; ma nella realtà terrena più spesso essa passa attraverso delle formule, di origine biblica come il Padre nostro o l’Ave Maria, o di composizione ecclesiastica, come il Credo (anch’esso fatto di una rapsodia di frammenti di Scrittura), o ancora nella recita di un ufficio largamente composto di testi biblici, in particolare di salmi. Bisogna insistere su questo radicamento biblico, in Etiopia come in tutto l’Oriente, perché le preghiere liturgiche non sono di fatto che una lunga meditazione sui testi della sacra Scrittura, santificata dalla tradizione della Chiesa. Citiamo a questo proposito alcune righe che possono illuminare questo principio fondamentale [5]
«L’adagio latino di Prospero di Aquitania († ca. 463), “legem credenti lex statuat supplicandi - la regola della preghiera stabilisca la regola della fede” [6], ridotta spesso allo stenografico “lex orandi est lex credendi –la regola della preghiera è la regola della fede”, sintetizza la relazione tra il culto di una comunità e il suo credo. Come preghi, così credi. Se vuoi sapere che cosa sono i cristiani, osserva ciò che fanno e dicono quando si raccolgono in chiesa per esprimere davanti a Dio e l’un l’altro ciò che pensano di lui, di loro stessi, e della loro relazione reciproca e con lui. Gerhard Delling l’ha espresso in termini attuali [7]:
La liturgia è l’autoritratto della religione. Nella liturgia sono rese visibili le radici di cui vive la religione, sono espresse le sue attese e speranze e fatte conoscere le forze che la sostengono, Sotto molti aspetti, l’essenza di una religione è più direttamente intelligibile nel suo culto che nelle affermazioni dei suoi principi fondamentali o persino nelle descrizioni dei suoi sentimenti.
Questo è ciò che i teologi chiamano “theologia prima” o teologia di primo livello, la fede espressa nella vita della Chiesa prima di farsi domande speculative sulle sue implicazioni, prima della sua formulazione in proposizioni dogmatiche risultanti dalla “theologia secunda”, o teologia di secondo livello, cioè la riflessione sistematica sul mistero vissuto nella Chiesa.»
Questo principio è una grande grazia: da sempre i testi liturgici e le preghiere hanno potuto servire da “catechismo”, perché chi le memorizza tiene a mente anche i grandi principi della fede [8]. Si comprende perciò facilmente perché la Chiesa abbia vegliato gelosamente sulla correttezza dottrinale delle preghiere, e talora ne scarti qualcuna; in Etiopia, specialmente, le formule di preghiera sono state spesso oggetto di violente dispute di carattere teologico Tuttavia là come dovunque altrove, può avvenire che lo sviluppo rigoglioso delle devozioni private, generalmente tratte dalle Scritture, conduca alcuni fedeli a “sprecare parole come i pagani” (Mt 6,7), o a rinchiudersi nella superstizione o la magia. Questo è avvenuto con le preghiere di esorcismo:
indubbiamente radicate nella Bibbia (Mc 1, 21ss; Lc 10, 17ss; At 19, 11ss... e Nm 5, 11-31!), hanno finito con lo svilupparsi come un genere letterario a parte che tende alla magia.
Un piccolo richiamo: la preghiera nei Padri del deserto di Egitto
Non è inutile risalire alla radici stesse della spiritualità etiopica: questa, lo si sa, è il risultato di un adattamento particolarmente riuscito della spiritualità dei Padri del deserto di Egitto, paese da cui il regno di Axum (allora capitale dell’Etiopia) ha ricevuto il Vangelo alla metà del sec. IV [9]. Ora, tre aspetti potrebbero caratterizzare la preghiera dei Padri del deserto: un ufficio semplice, il riferimento costante alla sacra Scrittura e il desiderio di dedicarsi alla preghiera perpetua.
Per quel che riguarda l’ufficio, i monaci del deserto di Sceti (al Nord del paese, fra la valle del Nilo e la Libia) seguivano un sistema elementare: all’inizio solo le “ore” di vespri e mattutino erano di uso universale: esse si componevano di dodici salmi ciascuna, fra i quali si osservava un tempo di preghiera silenziosa, e probabilmente di due letture della Bibbia [10]; a questo si aggiungeva l’ufficio di notte , composto di passi di sacra Scrittura, di cantici biblici (Gloria in excelsis, Cantico di Mosè, ecc.) e di altre preghiere. Inoltre la libertà grandissima propria di quel tempo consentiva tutte le variazioni: così alcuni recitavano tutto il salterio ogni giorno, altri lo facevano in due giorni ( come è attestato dal agbeyya, o “breviario” copto di oggi), ma molti si accontentavano dei due volte i dodici salmi richiesti, La questione è meno chiara riguardo ai discepoli di san Pacomio, in Alto Egitto: sembra proprio che vi si sia a lungo continuato l’uso descritto dalle Vite di san Pacomio, cioè un ufficio composto da una serie di piccole unità ognuna delle quali comprendeva una lezione della Scrittura, dopo la quale tutti si alzavano, si segnavano e recitavano il Padre nostro, poi si prostravano; dato il segnale, ci si rialzava ci si segnava e si recitava di nuovo il Padre nostro, poi ognuno pregava un momento in silenzio fino a che, dopo una breve colletta fatta a voce alta da colui che presiedeva, veniva dato il segnale di sedere di nuovo e si ricominciava il ciclo [11]. Se ne hanno tracce materiali almeno per il Monastero Bianco (quello di san Scenute a Sohag). L’ufficio si componeva di letture bibliche (generalmente di una decina di versetti) tratte da un lezionario e prese da tutta la Bibbia, e di inni vari, che erano costituiti da centoni di versetti di salmi messi l’uno accanto all’altro [12]. Più tardi l’influsso del Basso Egitto si fece più forte e i suoi usi liturgici si imposero progressivamente.
Ma l’ufficio non era che una parte, e non la più importante, della preghiera: infatti era bene inteso che, secondo il consiglio dello stesso Gesù, (Lc 18,1; 21,36...), ripreso da san Paolo (Ef 6,18: Col 4,2; 1 Ts 5,17), il monaco pregasse continuamente. Come? Una delle maniere più apprezzate, ma che richiedeva un certo allenamento, era la melete o meditazione costante della sacra Scrittura: poiché conosceva a memoria lunghi passi, o anche la totalità della Bibbia, il monaco la recitava a bassa voce anche mentre eseguiva un lavoro manuale o camminava: “assimilava” così letteralmente la Parola di Dio, di cui faceva il suo pane quotidiano e il suo nutrimento incessante.
Un’altra forma di preghiera, semplicissima ma assai efficace, e di cui le iscrizioni e i racconti monastici hanno conservato la traccia, è quello che in occidente si chiama le “preghiere giaculatorie”, brevi invocazioni o richieste di aiuto (“Abbi pietà di me”, “Signore, dammi la forza” ecc.); quando la stessa invocazione veniva ripetuta costantemente si chiama la preghiera “monologistos” perché si concentra su “una sola parola” [13]. In particolare queste preghiere potevano essere rivolte direttamente a Gesù (piuttosto che al “Signore” senza altra determinazione) e se ne sono trovato tracce archeologiche nei graffiti dei Kellia (il deserto delle “Celle”, un centro importante del monachesimo copto). Sistematizzate, queste invocazioni ripetute del nome di Gesù sono sfociate con il tempo in una forma di preghiera istituzionalizzata: nell’ambito della liturgia copta (egiziana) di oggi figurano sette preghiere, chiamate “psalie”, una per giorno, che fanno parte dell’ufficio del mattino: quella della domenica, per esempio, ha come ritornello: “Mio Signore Gesù, vieni in mio aiuto” [14]. Si riconosce il fondo antico dal quale, dopo un viaggio nei tempi e nello spazio, nascerà la celebre “preghiera di Gesù” insegnata alcuni secoli più tardi dai monaci russi, e in particolare diffusa dal Racconto di un pellegrino russo [15].
Questo desiderio di preghiera perpetua ha d’altronde lasciato una traccia divertente nel paterikon etiopico (versione etiopica degli apoftegmi dei Padri del deserto), in cui si può leggere: “la preghiera è la sposa del monaco” [16]. Di fatto si tratta soltanto di un errore di traduzione, perché il testo greco originale, che è conservato anche in tutte le altre lingue, era: “la preghiera è lo specchio del monaco” [17]; e già così non è troppo male!
Sostrato biblico delle preghiere etiopiche
L’uso antico della melete o meditazione continua della Scrittura, di cui abbiamo parlato, è ben presente nelle preghiere etiopiche, che talora sono soltanto un concatenamento di citazioni bibliche esplicite o implicite. Accanto a molti passaggi in cui l’ufficio consiste soltanto nel cantare dei versetti di salmi (eventualmente secondo ritmi speciali, in alternanza [18]) vi sono anche i brani di composizione ecclesiastica. Vale la pena di darne due esempi tratti dall’ufficio della prima domenica di quaresima [19].
Māzmur del mattino [20]
Alleluia. Servite il Signore con timore ed esultate per Lui con tremore (Sal 2,11). Perché eterna è la sua misericordia (Sal 135,1b). Per le generazioni delle generazioni la sua verità (Sal 99,5). Noi siamo il suo popolo (Sal 99,3c). Entrate davanti a Lui con umiltà, e con la lode confessatelo nei suoi atri (Sal 99,4). Perché eterna è la sua misericordia (Sal 135,1b). Digiuniamo un digiuno e amiamo il nostro prossimo e amiamoci gli uni gli altri [21] Perché eterna è la sua misericordia (Sal 135,1b). Onorate il sabato [22] e praticate la giustizia (Es 56,1; cf. anche Ap 22,11), perché il sabato è stato creato per l’uomo (Mc 2,27). Perché eterna è la sua misericordia (Sal 135,1b) Canterò per te la misericordia e il giudizio, canterò (salmodie) e conoscerò la via di purità (Sal 100,1). Perché eterna è la sua misericordia (Sal 135,1b). Per le generazioni delle generazioni la sua verità (Sal 99,5). Noi siamo il suo popolo, le pecore del suo pascolo (Sal 99,3c) [23].
‘Ezl del mattino[24]
Saul si avvicinava alla città di Damasco: all’improvviso un lampo brillò sopra di lui, dall’alto del cielo (At 9,3). E gli disse “Saul, fratello mio, sono stato mandato da te (At 9,17) per annunciarti e dichiararti come lo strumento che ho scelto per portare il mio nome fra le nazioni (At 9,23). Digli: egli mi ha detto: “Colui che prima perseguitava, adesso insegna la fede (Gal 1,23)”. Come [il Signore] dice nel vangelo: “Alle altre città tu annuncerai (Lc 4,43). Egli lo annunciò a Paolo dicendo: “Esercitiamoci nella giustizia (1 Tm 4.7). Non comportiamoci con astuzia e non falsifichiamo le parola del Signore (2 Cor 4,2). Onoriamo il sabato secondo la giustizia [25].
Poiché si sa che il clero, in ogni caso, ma anche parecchi laici ricordano volentieri questi testi a memoria, vediamo che essi attestano a loro modi la tradizione di “ruminare” la Scrittura.
Atteggiamenti della preghiera e formule correnti
Se i monaci del deserto di Egitto si sforzavano di pregare senza posa, i testi ufficiali della Chiesa ortodossa etiopica ricordano al monaci, in accordo con la Legislazione dei Re, che bisogna pregare sette volte al giorno, a causa del salmo 118, 164: “sette volte al giorno io ti lodo per i tuoi giusti giudizi”; essi precisano anche che esiste una postura prevista per la preghiera personale: in piedi, la braccia alzate, il corpo coperto e i fianchi cinti, rivolti verso l’est, cominciando e finendo con il segno della croce, umilmente e silenziosamente, con la più grande attenzione... Ci si mette anche in ginocchio o ci si prostra con la fronte a terra in certi momenti, salvo durante i tempi liturgici che vietano le prostrazioni (i 50 giorni dopo Pasqua, le domeniche e i giorni di festa, e anche dopo aver ricevuto la comunione). D’altronde non si dimenticherà di pregare anche al momento dei pasti, particolarmente in famiglia.
I testi delle preghiere più correnti sono conosciuti: si trovano nel Salterio chiamato Māzmurā Dâwit o “Salmi di Davide”, che è di fatto un libro di preghiere di formato piccolo, comodo da portare con sé [26], e contiene: i Salmi (divisi in sette sezioni, una per giorno della settimana), i quindici cantici biblici e il Cantico dei cantici [27], le preghiere iniziali (che seguono), come anche alcune invocazioni come il Kyrie eleison, e il “Egzio mäharänä Krestos” (Cristo Signore, abbi pietà di noi!”) [28]; vi si trovano anche degli uffici di devozione alla santa Vergine, come la Lode di Maria, l’uno o l’altro Säläm o “Saluto” e alcuni Mälke’ o “effige”, preghiere di devozione alle sofferenze del Redentore, ecc.
Una traduzione francese del Mälke dell’eucaristia è comparso in francese qualche anno fa [29]; questo ci dispensa dal ritornare su questo genere letterario. Il culto della Vergine Maria in Etiopia è stato molto ben presentato in francese sessant’anni fa da Geneviève Nollet [30], ed è sempre possibile riferirvisi. Quanto alle altre preghiere di devozione, vi ritorneremo certamente in altra occasione.
Le preghiere iniziali
Ecco le “preghiere perpetue” che si trovano in questo salterio [31].
(Segno di croce) [32] Io segno il mio volto e tutta la mia persona con il segno della Croce (3 x). Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, Dio unico. Credendo nella santa Trinità e a essa affidandomi, il ti rigetto, Satana, in presenza della mia santa madre che è qui, la Chiesa, che è mia testimone, (santa) Maria (di) Sion [33], per i secoli dei secoli.
Noi ti lodiamo, Signore, e ti glorifichiamo; noi ti benediciamo,Signore, e ti confessiamo. Noi ci incliniamo davanti a te, Signore, e serviamo il tuo santo Nome. Noi ci prostriamo davanti a te, tu davanti al quale ogni ginocchio si flette, tu che ogni lingua serve (Fil 2,10-11). Tu sei il Dio degli dei, il Signore dei signori e il Re dei re; tu sei il Dio di ogni carne e di tutto ciò che ha un respiro.
Noi ti invochiamo come il tuo santo Figlio ci ha insegnato, dicendo [34]: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, la tua volontà sia (fatta) sulla terra come in cielo. Dacci oggi il nostro nutrimento quotidiano, rimetti le nostre offese e le nostre colpe affinché anche noi rimettiamo a coloro che ci hanno offeso, non ci indurre in tentazione, Signore, salvaci e liberaci da ogni male. Perché tuo è il regno, la potenza e la lode per i secoli dei secoli.
(Ave Maria, formula etiopica [35]) O Nostra Signora Maria, salute a te con il saluto del santo angelo Gabriele. Tu sei vergine di spirito e di corpo, tu sei la madre del Signore Sabaoth, Salute a te! Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo grembo. Rallegrati, o piena di grazia, il Signore è con te. Prega e supplica il tuo Figlio diletto Gesù Cristo che ci perdoni i nostri peccati.
[Credo] Noi crediamo in un solo Dio, il Signore Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, delle cose visibili e invisibili. Noi crediamo in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio unico del Padre, che era con lui prima che il mondo fosse creato. Luce da luce, Dio da Dio in verità. Generato , non creato, eguale al Padre in divinità. Tutto fu per lui e nulla di ciò che fu non fu senza di lui, né in cielo, né sulla terra. Che per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e si è fatto uomo: Ha preso carne dallo Spirito santo e dalla santa vergine Maria. Era uomo ed è stato crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato. Ha sofferto, è morto ed è stato sepolto. È risorto il terzo giorno, come sta scritto nelle sacre Scritture. È salito al cielo nella gloria e si è assiso alla destra del Padre; tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Noi crediamo nello Spirito santo, che è Signore e dà la vita, che procede dal Padre. Lo adoriamo e lo glorifichiamo insieme al Padre e al Figlio. Crediamo in un Chiesa santa universale e apostolica. Crediamo in un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspettiamo la risurrezione dei morti e la vita che verrà per i secoli dei secoli.
Santo, santo, santo il Signore Sabaoth, il cielo e la terra sono pieni della santità della tua gloria. Noi ti adoriamo, o Cristo, con il Padre celeste e buono, e il tuo Spirito santo che dà la vita. Tu sei venuto e ci hai salvati.
Adoro il Padre, il Figlio e lo Spirito santo in una unica adorazione (3 x). Perché uno è tre e tre è uno: sono tre persone e una sola divinità. Mi prostro [36] davanti alla Nostra Signora Maria, Madre di Dio. Mi prostro davanti alla Croce di Nostro Signore Gesù Cristo, che è stata santificata dal suo sangue prezioso. La Croce, nostra potenza, la Croce, nostra forza, la Croce, nostra redenzione, la Croce, salvezza della nostra anima; i Giudei l’hanno rifiutata, ma noi vi crediamo, e chi crede nella potenza della Croce è salvo.
Gloria al Padre, gloria al Figlio e gloria allo Spirito santo (3 x). Gloria a nostra Signora Maria la Vergine, la Madre di Dio. Gloria alla Croce di nostro Signore Gesù Cristo. Che il Cristo, nella sua misericordia, si ricordi di noi, alla sua seconda venuta che non ci confonda, che ci rialzi, a gloria del suo Nome. Nostra Signora Maria, fa’ salire la nostra preghiera e intercedi per il perdono dei nostri peccati davanti al trono di nostro Signore, che ci ha fatto mangiare questo pane e ci ha fatto bere a questa coppa, che ci fornisce il pane e i vestiti, che ha sopportato pazientemente tutti i nostri peccati, che ci ha donato il suo santo Corpo e il suo Sangue prezioso, e che ci ha fatto arrivare fino a quest’ora, a lui rendiamo gloria e azione di grazie, Signore altissimo e alla sua Madre vergine e alla sua gloriosa Croce. Ringraziamento e gloria al nome del Signore, sempre e in ogni tempo e ad ogni ora.
(Sälam läki, altra preghiera mariana) “Salute a te” ti diciamo prostrandoci davanti a te, o Maria nostra madre. Ti supplichiamo: dalla bestia che ci perseguita (cf, Ap 12,7), presso di te abbiamo cercato rifugio. Per riguardo per Anna, tua madre, e Gioacchino, tuo padre, o Vergine, benedici la nostra comunità oggi.
[Preghiera di Nostra Signore Maria, la vergine Madre di Dio] l’anima mia esalta il Signore... = Magnificat: Lc 1, 46-55).
Preghiere brevi e “rosario” etiopico
Vale la pena di ricordare anche una preghiera privata di devozione che presenta qualche analogia con il “rosario” occidentale, o con altre forme di preghiera conosciute altrove: i monaci sono tenuti a recitarla. La sua origine va senza dubbio ricercata nella preghiera monologistos dei Padre del deserto, di cui abbiamo parlato prima, ma essa ha preso qui un aspetto abbastanza particolare, molto lontana dalla semplicità primitiva, come vedremo.
Il “rosario” etiopico [37], chiamiamolo così, comprende 41 nodi [38]; c’è un punto di partenza e un grano diverso dopo il 12° per indicare il luogo dove si cominciano le preghiere da ripetere 7 o 12 volte.
L’esercizio completo, da farsi 7 volte al giorno, è abbastanza complesso e comprende la recita (a) Padre nostro + Ave Maria (formula etiopica, si veda sopra), 7 o 12 volte; (b) Sälam läki (“Pace a te”) + Magnificat (Lc 1, 46-55), 7 volte; (c) “Cristo Signore, abbi pietà di noi!”, 41 volte: (e) “Kyrie eleison”, 41 volte; (f) “Yélohié” [39], 41 volte; (g) (eventualmente) “Ricordati di noi, Signore, nel tuo Regno” (cf. Lc 23,42), 41 volte; (h) “Dio di ..., abbi pietà di noi” (intercalando il nome di un santo), 41 volte; (i) “San ..., vieni in nostro aiuto” (intercalando il nome di un angelo). In tempo di digiuno, una prostrazione dovrebbe, in principio, accompagnare ogni invocazione.
Note
[1] La “tradizione etiopica” si estende su due paesi, l’Etiopia e l’Eritrea, e su due Chiese tradizionali ortodosse che, dal 1993 sono distinte; dal punto di vista religioso, la loro tradizione è comune, come lo è stata anche per lungo tempo la loro storia. Per brevità parleremo sempre di “tradizione etiopica”.
[2] Matta el-Maskine, L’expérience de Dieu dans la vie de prière (= Spiritualité orientale, n° 71), Abbaye de Bellefontaine, 1997 (cf. Cap. 1).
[3] La législation des Rois, inizio del cap. 14, consacrato al « La preghiera ». Quest’opera è stata composta in Egitto alla metà del sec. XIII, in arabo, dal celebre canonista Al-Safî ibn al’Assâl, da cui il suo nome arabo di Raccolta di Al-Safî. Tradotto in ge’ez (la lingua letteraria e liturgica di Etiopia), è servito , fino alla fine dell’Impero di Etiopia (1974), come punto di riferimento sia per il diritto civile, sia per il diritto ecclesiastico del paese.
[4] Matta el-Maskine cf n. 2) cap. 3 §3.
[5] Robert F. Taft, A partire dalla liturgia. Perché è la liturgia che fa la Chiesa, Lipa, 2004, p.312 s.
[6] Apparso intorno al 430-440 nell’Indiculus dello Pseudo Celestino (Mansi, 4,461), che è attualmente attribuito a Prospero d’Aquitania.
[7] Worship in the New Testamewnt, Londre, 1961, p XI.
[8] Questo vale non soltanto per le preghiere “elementari” (e dunque fondamentali!) come il Padre nostro, ma anche di testi ricchi come le anafore: così quella di san Basilio (da cui la Chiesa latina ha derivato la “preghiera eucaristica n° 4) costituisce una delle più belle catechesi che esista sulla storia della salvezza. Nelle Chiese copta ed etiopica l’anafora è cantata a piena voce dal celebrante, in modo che i fedeli ne conoscono a volte alcuni passi a memoria.
[9] Cf Ugo Zanetti, “monaci ed eremiti: dai Padri del deserto di Egitto a quelli dell’Etiopia contemporanea” in Le ciel dans les civilisation orientales (= Acta orientalia Belgica, XII), Bruxelles, 1999, pp. 89-104.
[10] La storia della liturgia delle ore a Sceti è stata ben tracciata dal padre Taft, Heures, pp.67-71.
[11] Cf Taft, Heures, pp. 71-74.
[12] In particolare, gli inni chiamati hermeniai erano caratteristici della liturgia del Monastero Bianco. Il loro principio era semplicissimo: si raccolgono versetti di salmi che contengano la stessa parola, per esempio “re”, “cielo”, “prete”, ecc. e li si cantano di seguito (nell’ordine del salterio) formando così delle rapsodie di versetti salmici che non hanno altro nesso che la parola in questione.
[13] Cf. Lucien Regnault, “La prière continuelle “monologistos” dans la littèrature apophtegmatique », in Irenikon, 47 (1974), pp.467-493.
[14] Cf. Emmanuel Lanne, «La “prière de Jésus ” dans la tradition égyptienne », in Irenikon, 50 (1977) pp.163.203.
[15] Questo racconto, lo si sa, racconta la storia di un laico russo che avrebbe passato la sua vita da pellegrino, camminando di luogo in luogo e praticando costantemente la preghiera vocale, la lettura della Bibbia e l’assistenza agli uffici ogni volta che ne aveva la possibilità.
[16] Cf. Louis Leloir, Désert et communion, p. 168 e n. 23( =Spiritualité orientale, 26).
[17] Cf. l’apoftegma n° 96 (Regnault 1096) = collezione sistematica XXI/12 : Jean-Claude Guy, Les Apophtègmes des Pères, 3 (= Sources chrétiennes, 498), p.202. Avviene che il testo etiopico è stato tradotto a partire dall’arabo, e che in arabo “donna” e “specchio” si scrivono in maniera quasi eguale, il che ha sviato il traduttore.
[18] Ma anche quando si canta a versetti alternati fra due cori, non c’è somiglianza con la maniera che è propria del monachesimo occidentale.
[19] Chiamata “domenica dell’incontro (del digiuno)”. Testi in Velat, Carême, p. [3 + = 287] e [5 + = 289]. I riferimenti biblici figurano fra parentesi, mentre le “reminiscenze scritturali” sono in corsivo e accompagnate da una nota. Il salterio etiopico segue la Settanta (LXX) e si distacca talora dall’ebraico, anche nella divisione dei salmi. Diamo la doppia referenza solo per i libri dei Re, che presentano una reale difficoltà di corrispondenza.
[20] Di per sé “mäzmur” significa “salmo”, ma qui designa un inno del “māwāddes” (“colui che dice la lode, glorificatore), uno degli uffici del mattino.
[21] Frase costituita di reminiscenza scritturali: “digiuniamo un digiuno”: cf. 3 Re 20, 9 LXX = 1Re 21,9 ebr. (“digiunate un digiuno”) e 2 Re 12, 16 LXX = 2 Sam 12,16 (Davide digiunò un digiuno”, tradotto dalla Bibbia di Gerusalemme “Davide digiunò severamente”). Il comandamento di amare il prossimo figura in Mt 5, 43, che cita Lv 19, 18, e il “comandamento dell’amore” in Gv 13,34.
[22] Altra reminiscenza: la Bibbia non dice “onorare il sabato”, ma “santificare il (giorno di) sabato” (Ez 20,20 e 44,24; Ne 13,22; Ger 17,22. 24. 27). Il problema del rispetto del sabato ha dato luogo in Etiopia ad ardenti controversie, di cui l’ufficio di questa domenica di ingresso in quaresima conserva delle tracce: ricordiamo soltanto che in etiopico la domenica si chiama “il sabato dei cristiani”.
[23] Si sarà notato da un lato il ritornello (Sal 135,1), e dall’altro i diversi versetti del salmo 99, alcuni dei quali ripetuti.
[24] Questo testo contiene alcune frasi di raccordo che non provengono dalla Bibbia: le abbiamo messe in corsivo.
[25] Cf. la nota 22 per “onorare il sabato” e Es 56,1 per “praticare la giustizia”.
[26] L’edizione corrente, solidamente rilegata, misura cm. 13 X 9,50, con uno spessore di cm, 3,50: questo libriccino si infila facilmente il tasca e non pochi cristiani lo hanno sempre con sé. Lo stesso per i salteri manoscritti, usati fino a poco tempo fa; anch’essi erano di piccolo formato, e si trasportavano in un astuccio di pelle munito di una cinghia (chiamata “dimora”, Mahdär), che si poteva portare a tracolla.
[27] Può sorprendere di vedere il Cantico dei cantici trattato come i salmi e i cantici biblici, di fatto, questo libro biblico figura regolarmente fra i salmi manoscritti etiopici, così che attesta il suo largo uso come libro di preghiera da secoli. Esso è utilizzato soprattutto il sabato santo e i sabati del Tempo del fiore (Fritsch, Lit. Year, n° 398).
[28] Questa ultima invocazione ritorna specialmente alla messa, fra il Padre nostro e la comunione, quando è cantata in modo molto solenne, in alternanza fra il prete e il popolo.
[29] Cf. Emmanuel Fritsch, C.S.Sp., «Une Hymne eucharistique éthiopien: le Malk’ a Qwerban ou “Portrait de l’Eucharistie”», in Irénikon 75 (2002), pp 195-229.
[30] Nollet, Culte.
[31] Nell’estratto che segue le indicazioni in corsivo e fra virgolette rendono (eventualmente in parafrasi) un titolo presente nel libretto etiopico; invece, quelle che sono fra parentesi sono aggiunte da noi per comodità dei lettori. Il nome etiopico significa “preghiere perpetue” (alla lettera: “preghiere di sempre”); esse corrispondono a ciò che i liturgisti chiamano volentieri “preghiere iniziali”. (3 x) = da ripetere tre volte.
[32] Questo si fa con le dita incrociate, l’indice alzato e il medio per quanto possibile perpendicolare a esso. Le dita incrociate evocano la Croce di Cristo, e l’indice alzato ricorda la formula cristologica di san Cirillo d’Alessandria, “Una sola natura del Verbo di Dio incarnato”, alla quale le “antiche Chiese orientali” tengono fermamente, contro l’espressione di Calcedonia. Si sa che in partenza si trattava di una questione di vocabolario, la cui soluzione teorica raggiunta molto recentemente non è ancora veramente riconosciuta sul posto.
[33] Si tratta della chiesa santa Maria di Sion, ad Axum, la “madre”delle chiese di Etiopia, come anche della stessa Maria.
[34] Il Padre nostro che segue presenta qualche differenza rispetto alla formula abituale. Ciò è dovuto a problemi di traduzione del testo greco originale, preso dal vangelo di Matteo, in etiopico. Da un lato il “pane” è divenuto “nutrimento”, cosa abbastanza normale in un paese in cui si mangia l’injera (a base di farina di tehh, una pianta locale al posto del pane, e il ”come noi perdoniamo è divenuto “affinché noi perdoniamo”, in accordo con tutte le fonti bibliche e liturgiche etiopiche.
[35] Si parte dai versetti biblici conosciuti (Lc 1.28 e 42), ma sono stati diversamente arricchiti.
[36] La parola “prostrarsi davanti (a qualcuno)” significa anche “adorare (qualcuno)”; abbiamo tradotto “adorare” nella linea precedente, ma qui e più avanti si deve evidentemente tradurre “prostrarsi”, nel senso di “venerare”. Questa ambiguità, che è già presente nel Nuovo Testamento, ha provocato un tempo discussioni in Etiopia a proposito del “culto” che si poteva dare o non dare a Maria, poiché va da sé che non si tratta mai di “adorare” né Maria né i santi, ma soltanto di venerarli e di chiedere la loro intercessione. Per esprimere questa differenza, l’insegnamento della Chiesa in Etiopia distingue la prosternazione di adorazione (amleko, riservata a Dio) dalla posternazione di venerazione (akberot, parola che significa “gentilezza” nella lingua corrente).
[37] Lo si chiama in lingua classica mädgämiyâ (“strumento per recitare”), o in lingua moderna mäqwettäryâ (“strumento per contare”). Quest’ultima parola può paragonarsi al greco kombològion (letteralmente “conta dei nodi”), e al russo чëmкu čëkti (che evoca anche un contare).
[38] Il numero 41 ricorda, si dice, i 39 colpi di flagello subiti da Cristo, più la corona di spine e il colpo di lancia. Negli uffici delle Chiese copte ed etiopiche, il Kyrue eleisoni è ordinariamente ripetuto 41 volte, Esistono anche dei rosari con 64 nodi, “secondo l’età della Madonna”, o con 33 nodi, “secondo l’età di Cristo”.
[39] L’invocazione di Cristo in croce, tradotta con Éloï nelle bibbie francesi.
(da Irenikon, 2008, n, 4. p. 491)
(continua) seconda parte