“Voglio farlo io il pastore !" A dirlo era, oltre 50 fa, una bimbetta bionda, terza di nove figli di una famiglia evangelica molto osservante. La proposta del servizio religioso il padre l'aveva fatta al fratello maggiore. E invece aveva risposto lei, la bambina, subito zittita con una frase che poi avrebbe sentito troppo spesso ripetere: "Ma tu non puoi, tu sei una donna". Era rimasta delusa e stupita, senza capire. Ma lungo la strada che sarebbe stata lunga e difficile, non perse né l'entusiasmo, né la determinazione. Poco a poco capì che cosa significava non essere maschio. Ma non cessò mai né di sperare né di prepararsi. E finalmente nel '77 ce l'ha fatta. Da allora Giuliana Gandolfo è stata pastora a Torino della comunità valdese di Via Nomaglio e secondo pastore della comunità di corso Vittorio, forse la più importante in Italia ricoprendo incarichi culturali e pastorali che si estendevano anche alle altre comunità piemontesi. Ma la lotta per realizzare la vocazione al servizio pastorale è appena iniziata. "Prima non mi volevano perché ero donna, poi perché ero sposata, poi perché ero separata".
Il problema del sacerdozio femminile continua. La Chiesa cattolica ha di recente ribadito che le donne non possono diventare sacerdoti. Tuttavia la discussione teologica e scritturale sul problema non è chiusa e forse non lo sarà mai. Anche le chiese evangeliche hanno dibattuto a lungo prima di consentire alle donne di diventare pastore. Tuttora permangono opinioni contrastanti. Però l'esperienza è stata avviata. La prima ordinazione femminile risale al 1930 nella Chiesa riformata di Francia, la più aperta al problema; poi, via via, seguirono le altre. "Nel '50, ricordava la signora Gandolfo, fu consentito alle donne di accedere agli studi teologici. Fu per me una grande gioia. Lasciai subito perdere la facoltà di lettere dove studiavo da un anno e andai a Roma alla facoltà valdese di teologia. Mi trovai con altre due ragazze, ma solo io finii gli studi". Terminata la teologia, tutto restò però come prima. "Cominciai allora ad aiutare la comunità torinese come assistente di chiesa. Facevo molte delle cose che fanno i pastori, ma non potevo essere pastore. Inoltre questa attività era legata al nubilato" Sarà quindi costretta a lasciarla quando dopo qualche anno si sposerà con uno psichiatra, anch'egli valdese. Comincia allora a collaborare con il marito in attività assistenziali ed ecumeniche. Alleva i due figli e soprattutto legge molto: " Cercavo di utilizzare la mia posizione di casalinga per continuare a studiare in tutti i campi. Mi occupavo di psicologia per seguire mio marito, ma ricordo di aver anche studiato tutti i documenti del Vaticano II".. Intanto il Sinodo valdese aveva tolto la clausola che impediva alle donne di diventare pastore. Ma nel frattempo la signora Gandolfo e il marito avevano deciso di separarsi. Questo fatto costituiva un nuovo problema. Si temeva che la posizione della signora potesse creare difficoltà e si voleva essere prudenti. "Restai dunque ancora in lista di attesa. Prima non potevo diventare pastore perché avevo marito. Poi perché non lo avevo più...".
Nel '76 le cose cominciano finalmente a muoversi. La signora riprende la sua attività di assistente presso la Chiesa valdese e l'anno dopo viene consacrata pastore. "Ce ne ho messo di tempo per arrivare...ma forse per questo amo molto fare il pastore". Mentre lo dice si commuove un poco, come si era commossa ricordando che la vocazione le era nata dentro da sempre in quella sua famiglia numerosa che il padre, predicatore laico locale, radunava mattina e sera intorno alla Bibbia. "Cominciava lui per primo la preghiera, poi noi figli, uno a uno, dicevamo qualcosa, compresi i più piccoli. Anche solo un Amen. Terminava mia madre con la recita del Padre Nostro". È naturale domandarle quali ostacoli abbia incontrato nell'esercizio del suo ministero, qualcuno legato al suo essere donna: "ho trovato assai più difficoltà a diventare pastore che a fare il pastore", risponde, "Solo qualche rara volta ho avvertito un po' di resistenza. Per il resto, se avessi il doppio del tempo che ho lo riempirei tutto nell'attività pastorale. Mi cercano molto soprattutto le donne. Proprio per discutere i problemi che stanno loro più a cuore: il loro posto nella famiglia e nella società, il loro ruolo di madri. Il fatto che io stessa abbia avuto dei problemi sembra rendermi più adatta ai loro occhi. Me lo ripetono spesso."
Qual è il contributo specifico che gli evangelici possono portare all'incontro ecumenico che tanto l'ha coinvolta ed appassionata?
"Ancora e sempre quello di un richiamo costante a una ricerca biblica seria, a un confronto continuo della teologia e della pratica ecclesiale con la Scrittura. Dietro le spalle abbiamo la separazione, ma di fronte dobbiamo avere l'unità. Per questo, secondo me, bisogna prima cercare di essere se stessi, ma poi cercare di superare se stessi. Leggere la Bibbia insieme, protestanti e cattolici, e meditarla in spirito di umiltà reciproca perché il Cristo ci rinnovi". "Tutti abbiamo tante colpe di cui farci perdonare. Ho fatto esperienza diretta che quando si è cominciata una via di ricerca biblica insieme non si può più tornare indietro".
Lavora appassionatamente per e tra i giovani e con loro continua l'attività di carattere ecumenico che ha cominciato anni prima. La sua tesi "La rivalutazione di Lutero nella recente indagine cattolica" le apre contatti con gli ambienti aperti all'ecumenismo ancora prima del Concilio. Insieme al marito ha fondato a Torino il primo gruppo ecumenico cercando di smuovere le acque fra i valdesi.
La pastora Giuliana Gandolfo, nata a Trieste il 1° Giugno 1930, ha cessato la sua vita terrena il 17 maggio 2005. Il suo fegato, i suoi reni, le sue cornee e la cute sono state donate per i trapianti. Il moderatore della Tavola valdese. Gianni Genre, ha detto: "Quello di Giuliana è stato il suo ultimo gesto di amore per il prossimo, la conclusione di una vita che ha trascorso sempre con grande impegno legato al suo ruolo di pastora ma anche di donna". Solo l'anno scorso, al Sinodo era stato ricordato l'anniversario della sua laurea in Facoltà ,che era la prima laurea di una donna. Di lei Erika Tommassone nel ricordarla con un articolo: "Una scelta forte che ha aperto una nuova strada, dice, vorrei ricordare Giuliana predicatrice della parola, catechista, traduttrice, madre e nonna, come l'ho conosciuta: la Giuliana competente, combattiva, fragile, scomoda, ironica; Giuliana che al pranzo delle diacone e delle pastore al Sinodo, ride, argomenta, piange, si arrabbia, ascolta, parla di teologia. Tutti questi aspetti non ce li ha nascosti dietro una facciata, si muoveva nella chiesa con tutta se stessa. Oggi concretamente continuiamo il nostro cammino senza di lei, private concretamente della sua persona, ma non senza di lei, del patrimonio di testimonianza di cui è stata portatrice". Sergio Ribet su Riforma, a conclusione del ricordo della sua vocazione pastorale colta e creativa ha detto: "Penso che la sua unica consolazione sia stata, anzi è, in vita e in morte, in Cristo". Grazie Giuliana.
Gino Dentico
fonti: Jesus n. 4 di aprile 1981; Riforma maggio 2005
(tratto da ECO, n. 6, dicembre-gennaio 2006, p. 4)