Ecumene

Mercoledì, 13 Ottobre 2004 02:48

I. "L'uomo fortificato dall'amore si trasforma per Dio in Dio" (Michelina Tenace)

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La comprensione dell'uomo come mistero ad immagine del mistero inserito in una storia di salvezza non può prescindere dal far riferimento al suo Creatore, al suo Salvatore, al dinamismo che lo "divinizza".

Partire dalla persona...

La storia del concetto di persona (1) non è indifferente nella comprensione dell'attualità e della novità dell'antropologia. Riflette non solo le piste culturali diversamente sviluppate nel cristianesimo orientale e in quello occidentale, ma dice anche la complessità del mistero di Dio nella rivelazione all'uomo della sua verità di immagine e somiglianza. Fatica di Dio per dire l'uomo, fatica dell'uomo per capire e per non dimenticare.

"Persona", proprio perché esprime la realtà prima e ultima dell'uomo, è un concetto aperto, anche perché la sua perfetta comprensione significa la perfetta comprensione di quelle realtà di fede alle quali questo termine è applicato e da cui è derivato: la Trinità, Cristo vero Dio e vero Uomo, l'uomo redento. "Dio è incomprensibile, per questo anche la sua immagine che è nell'uomo è incomprensibile., dice Gregorio di Nissa.(2)

Il fatto che sia stata la filosofia ad assumere il discorso sull'uomo può essere capito anche come un tentativo di lasciare alla teologia, alla mistica, il mistero del trascendente nella stia apofaticità creativa, mentre altre scienze umane si assumevano l'ampio campo della conoscenza oggettuale tenendo conto del fatto che l'uomo può essere soggetto-oggetto di una conoscenza positiva. Ma questo modo di procedere ha provocato un dualismo della conoscenza: la trascendenza e la conoscibilità, ambedue riconosciute all'uomo, hanno portato a distinguere nell'essere umano ciò che è conoscibile (la natura) e ciò che è inafferrabile (la persona). Tale distinzione concretamente è andata a danno e a spese della trascendenza e della persona, limitando l'antropologia alla fenomenologia per le vie di un naturalismo che non ha bisogno di richiamare Dio nel suo discorso.

Invece, la comprensione dell'uomo come mistero ad immagine del mistero inserito in una storia di salvezza non può prescindere dal far riferimento al suo Creatore, al suo Salvatore, al dinamismo che lo "divinizza". Da qui ormai il recupero nell'antropologia del tema dell’immagine e somiglianza come chiave di interpretazione dell'ininterrotta amicizia con Dio che crea, chiama e permette all'uomo di rispondere all'amore con l'amore, partecipando con Cristo, nello Spirito Santo, alla vita della Santissima Trinità che è vita di amore. È da notare che il filone teologico legato alla mistica non ha mai interrotto la comprensione dell'uomo come soggetto di carità e di relazione con Dio. L’amore è il vero fattore della personalizzazione: progressiva e quindi della divinizzazione dell'uomo e dell'intero cosmo. Ma anche l'amore può essere ridotto alla sua fenomenologia intersoggettiva e non evocare ancora niente di divino. Infatti, per quanto fondamentale sia il rapporto io-tu, la persona non si esaurisce nemmeno in questo tipo di relazione, proprio perché la categoria dell'amore non è identica a dialogicità, intersoggettività e solidarietà sic et simpliciter. Si ama, si conosce l'altro come "in una rivelazione". L'ottica della rivelazione e della fede apre continuamente ad una oggettività che porta al superamento del cerchio chiuso dell'io e del tu, per giungere ad una comunione universale e cosmica, anticipata nella celebrazione eucaristica, promessa come risurrezione finale.

Riproponendo, secondo quanto facevano i primi Padri della Chiesa, di parlare dell'uomo in termini di immagine e somiglianza di Dio, la vita cristiana si può esplicitare in chiave di partecipazione alla vita divina e quindi di divinizzazione. I Padri teologi dei primi quattro secoli cercavano le risposte alle stesse domande che si facevano tutti i pensatori prima di loro, ma vi rispondevano partendo da un punto fermo e certo: il Signore Gesù Cristo è risorto, come aveva detto. Partivano da Cristo, dalla fede nella potenza della sua risurrezione. Nella riflessione dei Padri, il contesto della primitiva antropologia teologica è la salvezza, l'esperienza dell'amore, l'esperienza di essere stati chiamati a partecipare ad una vita nuova, la vita divina rivelata dal Risorto nel dono dello Spirito Santo. Come amava dire Vladimir Lossky, la storia vera è storia della luce, storia dello Spinto Santo e della libertà umana, storia dello Spirito Santo che diventa l'anima dell'anima e vita della vita delle persone che si aprono a lui e che così comunica la grazia a tutte le realtà della natura e della cultura, preparando in questo modo la Parusia, quando saremo uno nell'amore.

L'uomo immagine e somiglianza di Dio, creato per la relazione

Partendo dall'amore, l'antropologia non è più la disciplina che indaga sull'uomo soltanto, ma sulla crescita del rapporto uomo-Dio, sulla storia di questo rapporto, sulle modalità di tale rapporto, sulle sue difficoltà ecc. L'antropologia è sempre "dottrina della divinizzazione" perché esplicita la via dell'uomo verso la sua piena misura "divino-umana", verso la trasfigurazione nell'amore. La relazione o amore, ha il primato nella gerarchia dell'essere. Cogito ergo sum è l'ultimo prodotto della ragione che pensa se stessa come essere pensante. Troveremo più evangelico amo ergo sum? Forse nella sua meraviglia l'uomo può solo esclamare con gioia e riconoscenza: sono amato quindi sono, vivo nell'amore e perciò vivo. In Lui, infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo (At 17,28). La realtà dell'amore, come l'essere persona, ha il suo significato pieno solo in Dio che vive e realizza tutto il contenuto dell'amore e dell'essere persona. «Nessun uomo può dire di essere persona nel senso pieno della parola» (3), perché nessun uomo ama nel senso pieno se non in quanto partecipa alla pienezza dell'amore di Dio. Dio che ama non si accontenta solo di chiamare a sé lo schiavo che ha amato, ma scende egli stesso alla ricerca, lui, il ricco, si accosta alla nostra indigenza, si presenta da solo, dichiara il suo amore e prega che gli sia ricambiato; a un rifiuto non si ritira, non si formalizza per l'offesa; respinto, attende alla porta e fa di tutto per mostrarsi vero amante; sopporta i danni e muore (4). Questa è l'immagine dell'amore che contempliamo e secondo la quale ci "divinizziamo".

L'ideale cristiano è la perfezione della relazione

L'integrazione personale non riguarda solo l'unità corpo/anima, ma lo shalom universale. il regno di Dio è la complessità delle relazioni trasformate dall'amore.

Caratteristica e definizione della persona è la koinonia, la vita di comunione che si genera e si alimenta come vita spirituale, cammino di crescita "dall'immagine alla somiglianza», secondo un movimento trinitario di comunione: «Questi i gradi per salire al Padre: dallo Spirito al Figlio, dal Figlio al Padre» (5). L'uomo ad immagine del Dio Trino è un essere della comunione nella genesi e nel compimento della sua perfezione. La parola "comunione" dice l'unità dell'uomo totale misticamente restaurata nella Chiesa, che perciò si può chiamare koinonia: la Chiesa non è un'associazione di membri uniti da uno stesso scopo. Comunione dice di più. Dice chi è Dio, chi è l'uomo, dice la trascendenza e l'immanenza. Forse la parola più vicina a "divinizzazione" è proprio "comunione nell'amore" fino all'offerta del proprio dolore o del proprio peccato. «il dolore è sulla terra l'ultima parola dell'amore, quanto di più santo è sulla terra» (6).

Perfezione della comunione

Si racconta che una volta vennero a riferire al metropolita Filarete di Mosca (XIX sec.) che in una delle sue parrocchie un prete scandalizzava i suoi fedeli perché era un grande ubriacone. Il metropolita lo chiamò e lo sospese. Da quel momento il metropolita cominciò ad avere incubi spaventosi; vedeva delle forme nere che si torcevano, che supplicavano. Non riusciva a liberarsi da queste visioni notturne. Allora invocò nella preghiera san Sergio di Radonez, il quale gli rivelò che i suoi incubi erano a causa del prete che aveva sospeso, e non disse altro. Filarete fece venire di nuovo il prete e gli chiese di spiegare meglio com'era la sua vita. «Ecco, rispose il prete, io sono un ubriacone, e mi disprezzo a tal punto che ho avuto spesso voglia di suicidarmi; ma non l'ho fatto. Però durante la liturgia prego per le anime dei suicidi... Il metropolita fu commosso, capì che le forme nere che vedeva nei suoi incubi erano le anime dei suicidi che non avevano più nessuno che pregava per loro. Allora disse al povero prete: "torna a celebrare la liturgia, e continua a pregare come facevi; ma se puoi, bevi un po' di meno...» (7).

Il peccato è la falsificazione della relazione

La cosa più grande che ha luogo tra Dio e l'anima è amare ed essere amato (8). Il peccato è, all'opposto, l'esercizio della libertà contro la relazione. Infatti, se nella grande adesione dell'amore, la natura dell'uomo trova ciò che desidera e raggiunge la spontaneità, la libertà., viceversa, nel rifiuto dell'amore, la persona vive la falsificazione di sé, della sua libertà e unità (9). «La nostra volontà tende a dominare, non ad unificare tutto; il nostro intelletto, invece di conoscere Colui che esiste e tutto unisce in sé, si dà tutto alle controversie arbitrarie su una moltitudine infinita di soggetti; la nostra anima sensibile, infine, invece di rinnovare, spiritualizzandola, la materia, non tende che a goderne irragionevolmente, sfrenatamente» (10). Le strutture di peccato dicono quanta concretezza ci sia nella relazione che in negativo crea un mondo, una cultura contro lo sviluppo della persona. Ora, «solo una vita e una cultura che nulla escludono e nella loro integralità albergano un grado superiore di unità, assieme al massimo sviluppo della libera pluralità, possono dare una vera e solida soddisfazione a tutte le esigenze del sentimento, del pensiero e della volontà degli uomini ed essere così cultura veramente umana universale o ecumenica, dove è chiaro che assieme e proprio in seguito alla sua integralità questa cultura sarà più che umana e introdurrà gli uomini in comunione attuale con il mondo divino» (11).

L'essere umano è "unità dialogale e spirituale"

Nel recente Catechismo della Chiesa Cattolica si legge: "L'uomo nella creazione occupa un posto unico [...] nella sua natura unisce il mondo spirituale e il mondo materiale; è creato maschio e femmina; Dio l'ha stabilito nella sua amicizia» (n. 355). Da questa unità di familiarità uomo-Dio ne consegue che la crescita dell'uomo e la sua divinizzazione sono espresse come "armonia": «L’armonia interiore della persona umana, l'armonia tra l'uomo e la donna; infine l'armonia tra la prima coppia e tutta la creazione» (ibid., n. 376). L'impostazione dell'antropologia è totalmente biblico-patristica e non più filosofica. «Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina lo creò» (Gen 1,27). L'interpretazione di questa frase, che mette a fondamento dell'antropologia la Sacra Scrittura così come la intendevano i Padri, segna la novità di un discorso sull'uomo che lo proietta in un dinamismo di unificazione: la novità del messaggio cristiano è la visione unificatrice della vita, pur nell'accettazione delle sue antinomie. L'unità viene esplicitata in vari modi: come unicità (l'uomo nella creazione occupa un posto unico che tuttavia lo unisce al resto delle creature); come immagine di Dio è stabilito in una relazione particolare che unisce creatura e Creatore; come persona unisce in sé lo spirituale e il materiale; come uomo e donna porta l'impronta della vocazione all'amore, alla comunione, alla fecondità, vocazione ad accogliere nell'amore ogni diversità, che aspira all'unità perfetta nel dono disinteressato di sé ad immagine del sacrificio di Dio stesso per noi. Persona può significare "unità dialogale spirituale". Unità: una persona secondo il dinamismo del cosmo, dell'anima e dello spirito. Unità dialogale perché costitutivamente divina e umana. Unità dialogale spirituale perché eternamente viva nell'amore in comunione con Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. «Nell'essere composto, psicosomatico, che è l'uomo, la perfezione non può consistere in una reciproca opposizione dello spirito e del corpo, ma in una profonda armonia tra di loro, nella salvaguardia del primato dello spirito» (12). L'antropologia dell'immagine e somiglianza parte dalla persona ed esplicita il cammino della divinizzazione in termini dì sempre più vera "personalizzazione".

La pasqua e l’incarnazione, unico sfondo per dire l'uomo

Secondo la tradizione del Nuovo Testamento, la linea di san Paolo e quella di San Giovanni costituiscono due diversi approcci all'antropologia (a partire da Cristo) e quindi due percezioni, non diverse, ma complementari, della divinizzazione. Per san Paolo e la teologia paolina, l'economia del cristianesimo è la conversione, la guarigione dei peccati. L'antropologia si esplicita a partire dal peccato. Per la teologia giovannea lo sguardo meravigliato della fede è rivolto alla vita divina comunicata agli uomini in Gesù Cristo. Mentre per San Paolo al centro della nostra redenzione sta la Passione, per san Giovanni al centro del mistero della salvezza c'è l'incarnazione. Questa distinzione potrebbe riflettere lo sfondo della doppia impostazione di Dire l’uomo: il primo volume è più centrato sulla pasqua e il secondo segue gli sviluppi di legame tra incarnazione e divinizzazione. Basta però non assolutizzare le distinzioni e tener presente che per "dire l'uomo" si devono considerare insieme i due misteri: in san Paolo il mistero della croce è legato alla "nuova creatura" (cf Ef 2,16; 4,24), come anche la vita comunicataci dal Verbo incarnato di cui parla Giovanni presuppone sacrificio dell'Agnello (cf Gv 1,29) per il perdono dei nostri peccati (cf 1Gv2,2). La luce che viene nel mondo è per illuminare le tenebre e chi si trova nell'ombra della morte. Soprattutto viene affermato in ambedue le "teologie" che, riguardo a Cristo, è la risurrezione che segna la novità antropologica, per cui viene ribadito continuamente che l'uomo non si definisce per quello che è, ma per quello che diverrà attraverso il sinergismo fra la grazia e la sua libertà.

Il concetto di divinizzazione emerge dall’antichità pagana

Non si può dire che nell'antichità pagana ci fosse una reale antropologia della divinizzazione: la riflessione andava dall'esaltazione della grandezza dell'uomo come essere dotato di ragione alla disperazione sublimata attraverso l'arte della tragedia, dove veniva descritta l'umiliata condizione umana fra libertà e morte. Dalla convinzione che l'uomo fosse della "razza degli dei" non si poteva trarre nessuna conclusione antropologica dinamica, se non quella espressa nella tragedia: l'uomo, pur essendo della razza degli dei, non deve cercare di diventare come Zeus (13). Motivo principale di tale divieto è il possesso esclusivo della divinità da parte degli dei, divinità minacciata se condivisa. L'ordine del mondo è l'ordine secondo gli dèi e l'uomo non vi può cambiare nulla.

La via della divinizzazione, quando è esplicitata, è di tipo "Gnostico": la parentela con gli dei, per non essere mortifera e portare un po' di felicità all'uomo, si deve esercitare nel l'ambito dell'attività intellettuale che coglie la realtà dell'Idea nell'ombra della vita di quaggiù e fa così gustare la dolcezza della vita divina. «Tale è la fine felice per coloro che possiedono la conoscenza: divenire come dèi» (14). C'è quindi per l'uomo una via di divinizzazione sempre percorribile e che non irrita gli dei: la via della conoscenza mitica, filosofica o mistica. La "divinizzazione", come termine e come realtà, esiste in altre religioni. Ma nel cristianesimo ha un significato specifico che esclude intanto ogni connotazione segnata da una mentalità politeista e mitologica. Né la rivalità con gli dei, nè l'esaltazione dell'attività intellettuale costituiscono lo sfondo della dottrina della divinizzazione sviluppata dai pensatori cristiani. Il tema della divinizzazione è presente nella Sacra Scrittura, ma sarebbe inesatto vedere una vicinanza fra le affermazioni bibliche e le teorie pagane per il semplice fatto che anche nella Sacra Scrittura si racconta che l'uomo è punito per aver voluto essere "come Dio". Il divieto dell'Antico Testamento non riguarda tanto il diventare come Dio, ma il "come" di tale processo. Se l'uomo è creato ad immagine di Dio, questo significa fra l'altro che è creato per "essere dio al modo di Dio".

L'aspetto "passivo" (l'impronta, il dono dato) dell'essere immagine non verrà mai negato né ritirato. Ma nell'esercizio della libertà l'uomo può perdere la somiglianza. Tutta la drammaticità della condizione umana riguarda infine la libertà. La stessa libertà che ci fa simili a Dio può essere esercitata per diventare simili a qualcos'altro. La venuta di Dio in mezzo a noi ci rivelerà un modo divino di esercitare la libertà: l'obbedienza di amore che ristabilisce la partecipazione reciproca. Dio partecipa alla vita dell'uomo affinché l'uomo partecipi della vita divina. Sembra quindi completamente opposta la lettura della difficoltà legata per l'uomo al fatto di essere della "razza degli dei" e quindi anche la soluzione da prospettare: se nel mondo greco è negata la libertà, nel mondo biblico è richiesta una libertà responsabile orientata a Dio.

Un tema patristico: l'uomo è divino perché Dio è umano

Malgrado l'ambiguità che veicola il termine divinizzazione, i Padri lo utilizzano dandogli un significato soteriologico: la realtà della divinizzazione dice la nostra salvezza inserita nel dinamismo della storia come craazione-peccato-redenzione. «Dio si è fatto uomo affinché l'uomo diventasse Dio» perché tale, «ad immagine e somiglianza di Dio», è stato creato. Il peccato però non permette che l'uomo sia tale. Il pensiero cristiano si sviluppa a partire da Cristo e non si scosta da Cristo per afferrare e discernere l'originalità o la continuità che Cristo rappresenta rispetto a ciò che il pensiero umano ha detto finora sull'uomo. La spiegazione, ad esempio, della creazione ad immagine, non potrebbe da sé costituire l'antropologia cristiana. Essere immagine di Dio è un sogno, una proiezione ancora più tragica di quella greca, se l'uomo è incapace di conoscere Dio per quello che Egli è. Ogni uomo può sperimentare di certo la sua lontananza da queste parole, ma non ogni uomo ne può vivere la verifica. Allora? Che verità contiene un'affermazione che può essere vissuta solo come parodia nell'abuso del peccato? Perciò, per quanto importante sia l'affermazione biblica della creazione ad immagine, essa non fonda l'antropologia cristiana. L'antropologia che parte dalla persona, parte da Cristo. E da Cristo si apre una visione positiva dell'uomo che ne abbraccia la complessità nel divenire: il tema dell'adozione a figli nel Figlio (cf Gal 3,26; 4,5); il tema della conformità a Cristo in tutto (cf Mt 5,44-48); il tema della creazione ad immagine (cf Gen 1,26-27) del Figlio.

In questo modo si concepisce il tema della divinizzazione, tema aperto per eccellenza, teologicamente inesauribile perché sfiora il mistero in tutte le sue sfumature.

Michelina Tenace

Note

(1) Cf quanto già scritto in L'antropologia tra filosofia e teologia, in Aa.Vv. "Lezioni sulla divinoumanità", Roma 1995, pp. 367-395.
(2) Gregorio di Nissa, De hominis opificio, 11, tr. it. L'uomo, Roma 1982.
(3) N. Berdjaev, De l'esclavage à la liberté, Paris 1946, p. 22.
(4) Nicola Cabasilas, De vita in Christo, VI, A,I .
(5) Ireneo, Adv. haer. V, 36, 2.
(6) Cf L. M. Martinez, Lo Spirito Santo, Roma 1964, p. 413.
(7) Dal romanzo di Leskov.
(8) Callistos Cataphygiotes, De vita contemplativa, PG 147, 860.
(9) O. Clément, Riflessioni sull'uomo, tr. it. Milano 1991, p. 35.
(10) V. Solov'ev, I fondamenti spirituali della vita, tr. it. Torino 1949, p. 70.
(11) V. Solov'ev, I principi filosofici del sapere integrale, in Id., Sulla Divinoumanità e altri scritti, Milano 1971, pp. 51-52.
(12)  Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano, Roma 1992, p. 267.
(13) Pindaro, Istmiche, 5, 14.
(14) Hermes Trismegistus, Corpus hermeticum, I. Poimandres, 26, ed. e trad. Nock-Festugière, t. 1, Paris 1945, p. 16.

 

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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