La teologia della divinizzazione porta come parola chiave l'"essere divino": il riferimento incluso nella parola è Dio. Non qualsiasi dio, ma il Dio Tri-Uno. La divinizzazione parte da una teo-logia che è contemplazione e confessione di fede nella Trinità. Dio è il Padre: la divinizzazione sviluppa la dottrina della creazione dell'uomo ad immagine; Dio è il Figlio: la divinizzazione sviluppa il legame tra incarnazione e redenzione; Dio è lo Spirito Santo: la divinizzazione approfondisce l'aspetto dinamico, storico, escatologico, personalizzante della relazione tra uomo e Dio nella vita del cristiano inserito nella Chiesa.
La teologia della divinizzazione contiene quindi un annuncio della trasformazione ontologica e cosmologica nella progressiva "acquisizione" dello Spirito Santo secondo le parole di san Serafino di Sarov. "Senza lo Spirito Santo Dio è lontano, Cristo rimane nel passato, il vangelo è una lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l'autorità un dominio, la missione una propaganda, il culto una evocazione, l'agire umano una morale da schiavi.. Ma nello Spirito Santo il cosmo è elevato e geme nelle doglie del parto del regno, Cristo risuscitato è presente, il vangelo è potenza di vita, la Chiesa significa comunione, l'autorità un servizio, la missione una pentecoste, la liturgia è un memoriale e un’anticipazione, l'agire umano è divinizzato" (21).
Spirito: apofatismo e comunione
Pnêuma (in greco), ruah (in ebraico), spirito, è l'organo della comunione con il trascendente. Se già è difficile parlare della Santissima Trinità, quanto più dello Spirito Santo in sé. "Spirito" è meno facile da definire che "Padre" o "Figlio". Perciò si parla dello Spirito parlando delle sue manifestazioni, del suo effetto, della sua opera. Lo Spirito si manifesta, si percepisce. Ma non ci sono parole per esplicitare la sua Persona. C'è una difficoltà reale legata alla parola stessa: spirito "corrisponde a diversi significati. Prima di tutto lo Spirito Santo. Si chiamano poi spirito anche le virtù dello Spirito Santo. Spirito è anche l'angelo buono, spirito è il demonio, spirito è l’anima, spirito è l'intelligenza, spirito è il vento, spirito è l'aria" (22).
Non ci sono definizioni dogmatiche riguardo al legame tra lo Spirito Santo e l'uomo. Nonostante la tradizione cristiana non possa essere capita senza questo legame, tuttavia ha sempre preferito parlare dei frutti e dell'opera dello Spirito Santo, più che della sua Persona. È almeno quanto ha scelto di fare Ireneo, che parla di economia e di "economie", al plurale, confessando così il dogma della Trinità senza mai "definirlo".
Un' antropologia pneumatica
Lo spirito applicato all'uomo è ciò che testimonia la sua origine in Dio. Nell'uomo è l'elemento orante che grida "Abba". Perciò è il Testimone della nostra costituzione per e da una relazione. San Paolo ci ricorda che "lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che noi siamo figli" (Rm 8,16). A questa nozione della filiazione (ciò che fa Dio) corrisponde la nozione di partecipazione (ciò che siamo chiamati a fare noi) a causa dei beni grandissimi che abbiamo ricevuto affinché diventassimo "partecipi della natura divina" (2Pt 1,4). Nella filiazione, come nella partecipazione alla vita, noi siamo in quanto possediamo lo Spirito.
Lo Spirito dice all'uomo da dove viene (origine divina) e dove va, dandogli le primizie del regno. L'uomo che ospita lo Spirito è a sua volta ospite e pellegrino sulla terra (cf Eb 11,13), deve fare un passaggio, vivere la pasqua e, a seconda di come la vive, imprime in sé e nel mondo cosmico il vero volto dello Spirito. Il significato ritenuto dalla fede lega lo Spirito - attraverso il soffio di vita - alla realtà della santificazione dell'uomo, ossia alla vita e alla testimonianza dell’'amore nel mondo creato.
Spirito di Dio, spirito dell'uomo
La parola spirito assume due significati complementari e legati fra loro. Nella tricotomia, secondo la quale l'uomo risulta composto di corpo, anima e spirito (cf 1Ts 5,23), lo spirito indica ciò che, pur appartenendo all'umano, si può aprire al divino e permette nell'uomo intero l'azione dello Spirito Santo stesso per una conformità data dalla creazione tra lo spirito dell'uomo e lo Spirito divino. Lo spirito rappresenta tutto l'uomo e ne riflette l'identità. Già in san Paolo le parole "carne" e "spirito" hanno un significato globale; "carne" indica la creatura intera, nella sua fragilità e precarietà, come anche la creatura che tende a chiudersi in se stessa. Proprio perché rappresenta la creatura come unità di se stessa, si può dire di un'intelligenza che è "carnale", anche dell'intelligenza più astratta e acuta. Lo spirito indicherà quindi, all'opposto, l'atteggiamento della creatura che come unità si apre allo Spirito Santo, quando lo Spirito Santo afferra tutta la creatura, tramite l'apertura dello spirito, facendo sì che il corpo stesso possa essere un "corpo spirituale", ossia una realtà di totale trasparenza e manifestazione dello Spirito Santo.
Il tralcio e la vite
Si possono introdurre varie sfumature per dire il contatto fra spirito e Spirito. Quando lo si fa, lo scopo è quello di affermare nell'uomo la realtà del dono fattogli dalla creazione di essere immagine di Dio, dono gratuito di cui l'uomo può disporre liberamente, anche per staccarsi da Dio. Perciò non c'è identità tra spirito e Spirito. Lo Spirito è Dio e, come tale, come Persona, distinto dall'uomo. Avendo ricevuto lo Spirito di Dio, l'uomo lo possiede come spirito umano non estraneo, non confuso con Dio, ma ad immagine e somiglianza di Dio Spirito. In che cosa consiste la somiglianza del nostro spirito con lo Spirito? Nel vivere della stessa vita, della stessa "sostanza". Lo Spirito è comunione, vita, santità, amore. Quando l'uomo vive secondo tale spirito, il suo spirito e quello di Dio sono "un solo spirito" (cf Ef 4,4). "Tutto ciò che tocca lo Spirito Santo diventa santificato" (23).
C'è una pagina della Scrittura che potrebbe aiutare a capire la distinzione e l'unione fra spirito e Spirito. In Gv 15, il Signore afferma di essere la vite, mentre noi siamo i tralci. Se si potesse guardare cosa avviene all'interno di un tralcio, si vedrebbe che la linfa che lo alimenta è la stessa che costituisce la vite. Ma il tralcio è indipendente dalla vite: può staccarsi e, se si stacca dalla vite, per un po' di tempo continua a dar segni di vita, fa germinare persino qualche foglia. Ma l'uva (la vita eterna) non ci sarà mai, perché il succo che sta nel tralcio, senza diretto legame con la vite, non porta frutto. Perciò san Paolo insiste tanto sulla verifica dei frutti dello Spirito, perché sono i frutti dello spirito dell'uomo che si realizza come frutto dell'unione con lo Spirito Santo. Il tralcio caduto in terra, per non morire, deve essere reinnestato sulla vite. Allora può riprendere vita, proprio per la sua conformità costitutiva con la natura della vite.
Questa pagina del vangelo è la base dell'antropologia che considera lo Spirito come dono gratuito di sé che Dio ci fa, ed è perciò principio di vita eterna, ma soltanto nella libera adesione da parte dell'uomo alla relazione con Dio. "Egli è santo, santo per natura: perché noi, se siamo santi anche, lo siamo tuttavia non per natura, ma per partecipazione, per esercizio e per preghiera" (24).
Colui che è stato formato ad immagine di Dio, è stato fatto vivo per la comunicazione dello Spirito Santo e della conformazione a lui nella santità e nella vita. "Questo soffio che Mosè dice essere stato donato all'uomo da Dio, Cristo dopo la risurrezione lo ha rinnovato in noi quando ha soffiato sugli apostoli dicendo: ricevete lo Spirito Santo, affinché, riformati secondo la prima immagine, noi diventassimo conformi al Creatore per la comunicazione dello Spirito Santo" (25).
Lo spirito che Dio ci ha dato con la creazione, Cristo ce lo ridona in pienezza. Il Verbo è la vita. Lo Spirito è vivificante. Lo Spirito è Colui che dà la vita sempre: agisce in ogni momento, rimanda sempre al Figlio, rivela il Figlio mentre rimane nascosto, in eterna kenosis, in attesa della piena manifestazione di Cristo, in attesa che gli uomini si manifestino come figli. Allora anche lo Spirito si manifesterà a noi come Persona della comunione del Padre con il Figlio e di noi con il Padre e con il Figlio. Come Persona consustanziale al Padre e al Figlio, lo Spirito è per noi dono-persona affinché viviamo dentro ad una relazione costante, ininterrotta. Lo Spirito è quindi in noi la relazione pura, come capacità e come attualità, come memoria della relazione che sta all'origine ed alla fine, come ciò che fa la nostra identità, ciò che non cambia, ciò che rimane di noi. L'io più profondo di noi è l'io eterno. E lo spirito. Paradossalmente, possiamo affermare che noi siamo epifania dello Spirito: quando il nostro spirito si unisce allo Spirito, noi viviamo l'applicazione salvifica del dogma della divinoumanità. "L’unifìcazione totale ha per scopo di rianimare l'homoîosis o somiglianza divina. Tale sarà l'opera dell'Amore ipostasiato. L'uomo riceve per grazia ciò che Dio ha per natura; questo al fine di diventare per grazia ciò che Dio è per natura, ossia ogni Carità, perché Dio è amore" (26).
La concezione dell'uomo, della sua creazione e del suo destino, è inseparabile dalla teologia dello Spirito Santo. L’uomo è per creazione terra vivificata dall'alito divino. Tutta la creazione vive dello stesso principio. Perciò attraverso lo Spirito possiamo essere sicuri di poter gustare come anticipo il regno di Dio, già in questa creazione, e tale gusto è possibile quando il rapporto dell'uomo con il creato, con la vita come tale, viene vissuto come un rapporto nello Spirito: tutto è trasfigurato quando l'uomo diventa "spirituale". Lo Spirito ristabilisce ogni relazione nella verità, perché è in sostanza la relazione stessa.
Spirito come noûs: conoscenza e amore
Nelle sfumature terminologiche che hanno aiutato a unire ed a distinguere lo spirito dell'uomo e lo Spinto Santo, ci sono da ricordare almeno due feconde tradizioni, delle quali ciascuna avvicina lo spirito ad un aspetto dell'uomo che lo rende "immagine somigliante" al Dio Spirito: il noûs e il cuore.
Quando si dice spirito nel linguaggio comune si pensa alla testa, all’intelligenza; ma la parola ruah che esprime lo spirito in ebraico, è il soffio della vita, e questo rimane il riferimento più sicuro per capire lo spirito. Ciò di cui abbiamo bisogno oggi, dopo una lunga storia di intellettualismo fallito che ci voleva assimilare a Dio tramite la ragione illuminata, è pensare l'uomo in rapporto alla vita, un uomo vivificato nella relazione, un uomo unificato dal di dentro. Il noûs, diverso da mens, ratio, intellectus, nella visione tricotomica (corpo, anima, spirito) rappresenta lo spirito ma come spiritus agostiniano, l'apex mentis dei teologi medievali, l'uomo interiore di Taulero, ciò che nell'uomo è deiforme. "Il noûs, "occhio dell'intendimento", è il depositario nell'anima dell'eikòn (icona immagine) di Dio, l'ostensorio segreto della sua immagine trina: l'effige del Figlio impressa col sigillo dello Spinto Santo, unzione del Padre. Si può dunque dire che il noûs è l'organo di apprendimento della conoscenza-intuizione carismatica e non un semplice prolungamento della ragione discorsiva" (27). La tradizione che ha sviluppato l'identità tra spirito e noûs ha sottolineato che l’intelligenza che si è allontanata da Dio è la stessa che accoglie Dio e reintegra l'uomo nella somiglianza divina. Il noûs si può considerare nella struttura della persona elemento di divinizzazione, in quanto nel cristianesimo l'amore è anche razionalità. Si può parlare perciò di "gnosi pneumatica", perché il noûs-spirito fa sì che la conoscenza sia spirituale, quindi sia amore. A dire il vero, per tutta la tradizione mistica cristiana, l’amore e la conoscenza non erano mai separati: il vero amore di Dio si identifica con la conoscenza e questa è "perfezione della Sapienza" (28).
La stessa Lot-Borodine fa notare che da quest'alta considerazione per il noûs che raggiunge Dio (per via della conoscenza-amore) si può capire la stima che la Chiesa greca ha sempre avuto per i contemplativi, considerandoli al di sopra del controllo della ragione dogmatizzante della chiesa. Si può capire anche il primato dell'apofatismo sul catafatismo, in quanto la ragione discorsiva e logica è meno della ragione intuitiva e visionaria. Interessante anche che Lot-Borodine parli di orazione "mentale" del Nome di Gesù (29). La preghiera è comunque una vita del noûs nella relazione con Dio, per cui l'attività del noûs orante è il rovescio positivo dell'attività dell'intelletto razionale che ha introdotto il peccato. Ci sarà quindi sempre un legame tra noûs, preghiera e conversione, non a caso detta metanoia (da noûs). Se la causa del peccato è legata ad un disordine iniziale della parte ragionevole, la deificazione è legata allo sforzo ascetico del noûs che si trasforma in conoscenza-amore e visione. "Il cammino procede per: purificazione, illuminazione, unione trasformante, deificazione partecipata o théosis... Già da quaggiù la visione ontologica è data ai cuori puri... Ma vedere Dio significa conoscerlo tramite una intellezione sovrarazionale, al di sopra di ogni conoscenza, significa penetrare in lui tramite l'intuizione d'amore; contemplazione-possesso che fa partecipare lo spirito creato, non all'incomunicabile essenza divina, ma alle sue energie che da essa procedono manifestandola. E per vivere tale partecipazione, bisogna aver purificato prima l'essere intero di cui "il cuore intelligente" rimane il centro" (30). "Il "cuore intelligente" è la punta estrema del noûs trasfigurato" (31).
Il cuore, luogo dello Spirito
Nell'antropologia si cerca di indicare un centro che dica la grandezza della creatura: il noûs dice la centralità e la grandezza in termini di intelligenza. Ma si potrebbe dire la grandezza in termini di forza fisica, di ardore combattivo. Questi sono gli eroi, super-uomini dotati comunque della virtù di unificare tutto intorno ad un agire, come i pensatori sono dotati della virtù di unificare tutto intorno ad un pensiero.
Ma nel modo di vedere biblico, l'uomo è grande per la conoscenza (certo, il Sapiente è grande), o per l'ardore (un Re come Davide è grande), a condizione che visione e ardore siano dell'uomo intero. Negli autori della Filocalia si trovano sempre insieme queste sfumature dell'antropologia. C'è un'antropologia più legata all'intelletto, quella, ad esempio, di Evagrio Pontico che, come intellettuale di Costantinopoli, anche una volta diventato monaco rimane un intellettuale e continua a dare il primo posto all'intelligenza. Invece, in molti altri autori, ad esempio nelle omelie attribuite a Macario l'Egiziano (lo Pseudo Macario), la più grande importanza è attribuita al cuore, secondo un linguaggio propriamente biblico per cui, in base alla vita spirituale, l'intelletto è destinato a scendere nel cuore, e la fatica dell'asceta è di unire l'intelletto al cuore: la radice vivificante dell’intelletto è il cuore, santuario chiuso, tempio, dimora dello Spirito Santo, di Dio. Dove c'è carità, lì c'è Dio. L'intelletto è una luce iniziale che pian piano si disperde; bisogna che scenda nel santuario chiuso dove ci sono solo le candele accese, come in una chiesa. La luce di queste candele, in questo santuario, rivela l'immagine di Dio e riporta l'uomo alla somiglianza.
La tradizione che ha sviluppato la vicinanza tra spirito e cuore voleva sottolineare l'aspetto unificante della vita dello Spirito nell'uomo: il cuore è il centro, il paradiso dell'unione con Dio che avviene tramite l'amore e che unisce nella persona tutte le facoltà. Cuore non significa sentimento (come amore non significa sentimento), ma un reale dinamismo centrale della persona capace di raccogliere, unificarsi, aprirsi ad un Altro e di unirvisi. "È l'Amore concepito come estasi dello spirito che tocca la riunificazione totale dell'essere. Unificazione che è già una unione trasformante. Perché il noûs, organo di intellezione divino modo diventa il cuore puro, centro ontologico di tutta la vita soprannaturale" (32).
L'amore è intelligenza che conosce e rende simili a Dio. "L'amore di Dio, unico bene dell'anima, possiede per definizione delle proprietà conoscitive di un ordine superiore, di un ordine a parte, l'ordine pneumatico. Tale amore è conoscenza immediata al di sopra di ogni conoscenza e questo perché ricrea l'unità originaria dell'essere, rendendolo simile a Dio. Viene così rinnovata e approfondita la conoscenza secundum dilectionem di sant'Ireneo. Conoscenza non per amore soltanto, ma conoscenza nell'atto di amore, o conoscenza illuminata e illuminante" (33). Infatti "la carità è lo stato superiore dell'anima ragionevole". "Ogni carne si realizzerà nella gioia, grazie alla somiglianza [...] con l'archetipo divino. Ma la carità soltanto può portare alla perfezione lo spirito rendendolo come Dio, cioè deificarlo. Tutto il pathos dell'energia erotica consiste in questo" (35).
"L'uomo deve vivere secondo lo spirito, il composto umano deve divenire tutto spirituale, acquistare la somiglianza [...] L"'unione dello spirito con il cuore", la "discesa dello spirito nel cuore", lo "spirito che custodisce il cuore", queste espressioni ritornano continuamente nella letteratura ascetica della Chiesa d'oriente. Senza il cuore, centro di tutte le attività, lo spirito è impotente. Senza lo spirito, il cuore rimane cieco, privo di direzione. Bisogna dunque trovare un rapporto armonico tra lo spirito e il cuore per organizzare, per edificare la persona nella grazia, perché la via dell'unione non è un processo incosciente [...]. Nel suo cammino di unione con Dio, l'uomo riunisce nel suo amore il cosmo disgiunto dal peccato affinché sia finalmente trasfigurato dalla grazia"(36). Nel profondo del cuore non c'è solo un "inconscio biografico" sempre pronto ad esplodere. Un'antropologia che accetta che il centro dell'uomo sia il cuore non può più definire la religione come nevrosi, secondo quanto sosteneva Freud: la nevrosi piuttosto proviene dall'assenza del senso religioso, come patologia che deriverebbe dall'assenza di cuore.
Vale la pena rileggere questa pressante esortazione di sant'Agostino: "Tornate al vostro cuore! Dove andate così lontano se non a cercare da voi stessi la vostra perdita? Dove andate su questa via così solitaria? Smarrirete la retta via vagabondando così. Tornate. Dove? Tornate al Signore. Affrettati, torna rapidamente al tuo cuore tu che come esule hai vagato lontano: non conosci te stesso e vuoi conoscere Colui che ti ha fatto? Torna, torna al tuo cuore... Dice infatti l'Apostolo...Siano illuminati gli occhi del vostro cuore (Ef 1,18). Torna al tuo cuore: vedrai allora l'idea che ti sei fatta di Dio, perché nel tuo cuore è l'immagine di Dio. Nell'intimo dell'uomo abita Cristo, nell’intimo di sé l'uomo rinnova l'immagine di Dio e nell'immagine riconosce il suo Creatore"(37).
La divinizzazione in poche parole
Gregorio Nazianzeno, per rispondere a coloro che contestavano la divinità dello Spirito Santo, si mette a far l'elenco delle parole che nella Sacra Scrittura si riferiscono allo Spirito e dice di fremere alla ricchezza di tali parole. E poi conclude: "Ho pensato che il meglio è di lasciare le immagini e le ombre che sono ingannatrici e tanto lontane dalla verità [...] e di attenermi a poche parole, di prendere per guida lo Spirito e di custodire fino alla fine l'illuminazione che ho ricevuto da lui e che è una vera compagna, ed intanto di continuare il mio cammino in questa vita" (38). La dottrina della divinizzazione si potrebbe limitare a queste poche parole.
"Il fine della vita cristiana è l'acquisizione dello Spirito Santo" (39).
"È lui il Cristo che ha preso la nostra carne e ci ha donato lo Spirito divino..."(40).
"Affrettati a diventare partecipe dello Spirito Santo" (41).
"Questo Spirito è Dio e ci procura tutti i beni [...] Spirito divino che è precisamente l'Amore" (42).
Michelina Tenace
Note
(21) Ignace IV, Patriarche D'Antioche, La résurrection et l'homme d'aujourd'hui, Paris 1981, pp. 36-37.
(22) Giovanni Damasceno, De fide orthodossa, lib. 1, cap. XIII.
(23) Cirillo di Gerusalemme, Cat. Myst., V, 7.
(24) Cirillo di Gerusalemme, Cat. Myst., V, 20.
(25) Cirillo di Alessandria, Thesaurus, PG 75, 584.
(26) M. Lot-Borodine, op. cit., p. 143.
(27) Ibid., p. 44.
(28) Cf. Massimo il Confessore, Quaest. ad Thalas., Prol., PG 90, 257.
(29) M. Lot-Borodine, op. cit., p. 182.
(30) Ibid., p. 68.
(31) Ibid., p. 179.
(32) Cf. ibid., p. 157.
(33) Ibid., p. 151.
(34) Massimo il Confessore, De Carit., 1,4.
(35) M. Lot-Borodine, op. cit., p. 145.
(36) V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d'Oriente, Bologna 1985, p. 194.
(37) Tractatus in evangelium Johannis, 18,10.
(38) Gregorio Nazianzeno, Orationes 27-31, SC 250 (1978), pp. 335-339 e 341-343.
(39) I. Gorainoff, Séraphim de Sarov, Abbaye de Bellefontaine 1973, p. 182.
(40) Syméon le Nouveau Théologien, Hymnes, vol. III, SC 196 (1973), XLIV, vv. 342-346.
(41) Guillaume de Saint-Thierry, Le miroir de la foi, SC 301 (1982), p. 191.
(42) Syméon le Nouveau Théologien, Hymnes, vol. II, SC 174 (1971), XXIV, vv. 359-367.