Bisogna che torniamo a dare spazio al silenzio in noi. Se vogliamo che nella nostra vita ci sia resurrezione dei sensi e dei significati.
Quello che il pensiero occidentale non riesce a dire è che si possa amare Dio senza per questo dover necessariamente pensare che ci debba essere uno scopo per questo amore. Si è sempre avuta la tendenza ad aggiungerci qualcosa, fosse anche la salvezza dalla dannazione eterna.
Quando ci si accosta alla vita (penso ad un bambino che nasce, ad un seme che germina, ad un fiore che si apre alla luce del giorno...) ci si deve accostare in punta di piedi, in un atteggiamento di rispetto, di contemplazione.
In questo mondo sommerso dalle parole, ove ormai si ha difficoltà a stare ad ascoltare perché troppi sono i rumori che disturbano il nostro ascolto, ove può essere detto tutto ed il contrario di tutto, dobbiamo avere la pazienza, la fiducia, la preoccupazione di annunciare il Cristo con la parola della nostra stessa vita.
Riusciremo mai a ricollocare la persona umana al centro di ogni nostro interesse? A svestire i panni dell’homo oeconomicus per poter essere sempre e comunque uomini e donne che sanno incontrarsi e riconoscersi?
Si potrebbe ritenere che sia ben poca cosa l’abbattimento di qualche albero, di fronte allo scempio cui quotidianamente alcune potenti multinazionali sottopongono vaste zone delle foreste tropicali.
Di fronte alla croce, di fronte al silenzio, quante volte ci poniamo questa domanda: “Dov’è Dio?”. Di fronte all’ingiustizia, alla malattia, alla sofferenza, al dolore, alla morte, alle situazioni per noi assurde...
La sapienza del mondo – come la chiama l’apostolo Paolo – resta sotto lo scacco del fallimento. È una sapienza che non riesce a dire tutto sull’uomo. A dargli le risposte ultime sul senso della sua vita e della sua esistenza.
I grandi imperi sono come le torri, come le antiche mura di una città o di un limen che fu eretto per sbarrare l'avanzare di nemici. Che durino millenni o anche solo il volgere di pochi grappoli di anni...