Esperienze Formative

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 62

Lunedì, 20 Dicembre 2004 01:20

Vocazione di Abramo

Vota questo articolo
(8 Voti)

Genesi 12, 1- 9


1 Il Signore disse ad Abram:
“Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria

e dalla casa di tuo padre,
verso il paes eche io ti indicherò.
2 Farò dite un grande popolo
e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome
e diventerai una benedizione.
3Benedirò coloro che ti benediranno
e coloro che ti malediranno maledirò
e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”.

 


4 Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran.
5 Abram dunque prese la moglie Sarai, e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso il paese di Canaan. Arrivarono al paese di Canaan
6 e Abram attraversò il paese fino alla località di Sichem, presso la Quercia di More. Nel paese si trovavano allora i Cananei.

7 Il Signore apparve ad Abram e gli disse: “Alla tua discendenza io darò questo paese”. Allora Abram costruì in quel posto un altare al Signore che gli era apparso.
8 Di là passò sulle montagne a oriente di Betel e piantò la tenda, avendo Betel ad occidente e Ai ad oriente. Lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore.
9 Poi Abram levò la tenda per accamparsi nel Negheb.


Il coraggio della benedizione

La storia narrata nei capitoli 1-11 del libro della Genesi ha il sapore di un fallimento totale. Un popolo di dispersi, dopo la vicenda della torre di Babele, si allontana sempre più dai frutti della benedizione di Dio. Tutto questo costituisce la premessa di un nuovo inizio, che sarà pura grazia, dono assoluto. Qualcosa di completamente nuovo appare sullo scenario della storia umana. Il nuovo destinatario della promessa è un uomo, Abram. Di lui conosciamo l’albero genealogico, descritto nella seconda parte del capitolo
11. Abram è figlio di Terach e ha due fratelli: Nacor e Aran (v. 26). Due notazioni ci informano di una certa “fragilità” nel nucleo famigliare di Abram: Aran muore quando il padre era ancora vivente, dopo aver generato Lot. Ancora più pesante è l’altra notizia che riguarda direttamente il protagonista di questa nuova fase della promessa di Dio: la moglie di Abram, Sarai, è sterile e non ha figli. Queste notizie destano una certa meraviglia se consideriamo che, proprio su questa situazione, si riversa tutta l’abbondanza della benedizione divina affinché si diffonda nella discendenza di Abram. La promessa a lungo attesa sembra già destinata al fallimento nel grembo di una donna sterile.

Dopo l’assenza, nelle pagine precedenti della narrazione, del segno della vita e della speranza, nei primi 3 versi del capitolo 12 il termine “benedizione” ritorna per ben cinque volte. Come un torrente che scorre nascosto nelle viscere della terra, invisibile in superficie ma visibile nelle profondità, la benedizione di Dio riemerge abbondante. Se nei primi capitoli del libro della Genesi era l’umanità intera ad essere destinataria del favore divino, qui il discorso cambia radicalmente. Uno solo è riempito di benedizione, mentre l’umanità continua a vagare lontano dalle sorgenti della vita. Abramo diventa così il mediatore della benedizione per tutti i suoi discendenti. L’ingresso nella storia della salvezza passa ora attraverso la porta stretta dell’adesione personale. È un passaggio veramente intenso quello dei primi versi del capitolo
12. l’assenza di benedizione si trasforma in abbondanza, parte da una persona e si dilata fino a raggiungere tutte le famiglie della Terra(v.3). Tutto questo avviene nel segno di una povertà paradossale.L’eletto, infatti, il destinatario della promessa per tutti i popoli,colui che è chiamato ad essere il capostipite di un’umanità nuova, ha una moglie sterile.

Davanti a questa promessa, che offre un dono ricchissimo ad una situazione che sembra vanificarlo immediatamente, è importante riflettere sull’atteggiamento di Abram.

Nessuna parola esce dalla sua bocca come risposta, nessuna domande di chiarimento od obiezione. Un’irruzione così intensa della benedizione di Dio nella storia dell’uomo ha bisogno di spazio, tutto lo spazio di una vita interamente coinvolta nell’adesione a quel dono. Davvero non è importante come e dove si realizzerà la promessa: certamente si compirà. La forza del dono è così grande che sussiste in ogni situazione, pur che la libertà dell’uomo le conceda spazio, accogliendola. In patria o in terre lontane, nella forza della stabilità e dell’ambito famigliare oppure nella debolezza di un continuo e debole peregrinare, nella malattia o nella salute, attraverso i momenti di gioia e gli spazi della sofferenza, la salvezza di Dio si compie mescolandosi alla libera storia di ogni persona.

“Allora Abrampartì” (v.4); con queste parole l’autore sacro descrive la risposta del chiamato alle parole intense di Dio. È un silenzio pieno di vita e speranza, il coraggio umile di cui aveva bisogno la benedizione di Dio per tornare ad irrigare, sulla terra, gli aridi campi dell’umano fallimento. Analogamente il testo, proseguendo nella narrazione, descrive la seconda risposta di Abram alle parole del suoSignore: “Allora Abram costruì in quel posto un altare” (v. 7).È importante che il destinatario della promessa segni visibilmente le tappe del suo cammino. La concretezza di quell’altare esprime la convinzione che, fino a quel punto, l’esperienza di vita ha dato ragione al rischio coraggioso di esporsi a nuovi sentieri.

La promessa della terra e della discendenza, i due contenuti fondamentali nelle attese del popolo di Dio, esigono l’adesione concreta dell’uomo,.È una vita che cambia, l’inizio di un pellegrinaggio sempre segnato dalla debolezza, dalla fragilità, dal rischio. Questa esistenza che si trasforma, incamminandosi verso nuovi orizzonti, lascia spazio alla presenza del Creatore, diventa capace di condividere il cammino di Dio tra le vicende degli uomini. Un’onnipotenza nuova, caratterizzata da un amore viscerale ed esteso a tutte le famiglie della terra, inizia a manifestarsi sul volto di Dio. Passiamo ora a considerare, più da vicino, cosa dice il testo. Il brano inizia con l’affermazione che “Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole”. La frase può essere letta in due modi, uno positivo, l’altro come prima indicazione di gravi problemi. La comprensione che abbiamo solitamente del libro della Genesi, prevede tre momenti: situazioni di paradiso — caduta — conseguente del peccato. Inquest’ottica, che legge il verso in modo positivo, la frase descriverebbe un momento di paradiso e di armonia, poi turbato dalle scelte errate dell’uomo. Un’altra interpretazione vede invece l’originaria unicità come un male. Gli uomini sarebbero stati animati dall’”unico disegno” di ribellione contro Dio, decidendo di salire verso il cielo per esautorare anche le regioni celesti. Il fatto che tutta le terra avesse un’unica lingua, verrebbe a indicare l’esistenza di una realtà dominante, totalitaria, che tutti sottomette ad un unico modo di pensare, giudicare ed agire. La parola unica è quella del più forte che si impone, come d’altra parte annota anche il Libro della Genesi riferendo di Nimrod che“cominciò ad essere potente sulla terra” (v.8).

Ora, seguendo questa seconda interpretazione, che risulta di maggiore interesse,comprendiamo come all’interno di questa egemonia di potere nasca la decisione di raggiungere il cielo, per imporvi lo stesso impero che regna sulla terra. Al traguardo di questa dominazione è asservita anche la tecnica (la costruzione di una torre) e tra le linee ci è dato di intendere altre conseguenze della decisione, come l’uso degli schiavi. Erano quest’ultimi, infatti, ad occuparsi della fabbricazione dei mattoni per la costruzione delle città. Qui l’opera cui è asservito l’uomo ha inoltre un nome che esprime conevidenza l’intenzione di chi edifica: “Babele”, che significa “porta degli dei”.

Un racconto edificante della tradizione ebraica ricorda che quando nei cantieri di Babele un operaio trovava la morte cadendo da un’impalcatura, nessuno se ne dava pensiero, ma si versavano lacrime quando si spezzava un mattine. L’uomo del potere unico diventa schiavo del prodotto delle proprie mani,la dignità è soggiogata all’interesse, al profitto, alla produzione, al guadagno dei potenti ed alla realizzazione dei loro progetti che sfidano il cielo. Il peccato di Babele è pertanto la negazione dell’alterità, della differenza creatrice,dell’accoglienza promuovente. L’illusione è quella di sempre: onnipotenza ed eternità. Il potere vuole trasformare i giorni futuri in una passerella ove l’illusione possa scorrere garantita e inviolabile.

Queste sono le premesse che ci permettono di comprendere chiaramente perché a Babele diventa impossibile il dialogo. La ragione sta tutta da una parte, la diversità non è ammessa, il diritto è quello del più forte. Restiamo allora dentro la chiave di lettura che abbiamo preferito: l’unicità della lingua come un male. Questo ci permette di comprendere che l’intervento di Dio è un atto di bontà e di misericordia. La “sola lingua e le stesse parole”, che caratterizzavano il genere umano, non erano per dialogare, ma per dominare la terra e sfidare il cielo. Dio disperde gli uomini e difende l’alterità, la differenza creatrice e feconda, il dialogo. Tale lettura trova conferma nel secondo capitolo del libro degli Atti degli Apostoli, che appare come il contrario di quanto successo al capitolo 6 della Genesi: come se fosse “l’anti-Babele”. Il racconto della Pentecoste descrive l’unità dei popoli come frutto dell’azione dello Spirito di Dio. Inoltre, la comunione generata dallo Spirito, nasce nella differenza delle culture e delle lingue. Gli apostoli non parlano una lingua unica che tutti comprendono, ma è  reso possibile a tutti comprendere, nella propria lingua natia, quanto annunciato dagli apostoli.

L’intervento diDio, sia nella città di Babele che nel cenacolo della Pentecoste, genera lo spazio in cui è nuovamente possibile il dialogo, all’interno della comunione e del rispetto e non attorno ad un unico centro di potere, sotto il perno delirante di vecchie e nuove egemonie, sia civili sia religiose.

 

Clicca qui per andare all'INDICE di questo TEMA: Esperienze on line di Lectio Divina

Letto 8680 volte Ultima modifica il Mercoledì, 26 Febbraio 2014 16:01

Altro in questa categoria: « MARTA E MARIA Ebrei 12, 1-13 »

Search