Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue della vostra lotta contro il peccato e avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli: Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio.
È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? Se siete senza correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete bastardi, non figli! Del resto, noi abbiamo avuto come correttori i nostri padri secondo la carne e li abbiamo rispettati; non ci sottometteremo perciò molto di più al Padre degli spiriti, per avere la vita? Costoro infatti ci correggevano per pochi giorni, come sembrava loro; Dio invece lo fa per il nostro bene, allo scopo di renderci partecipi della sua santità. Certo, ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. Perciò rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia infiacchite e raddrizzate le vie storte per i vostri passi, perché il piede zoppicante non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire”.
MEDITATIO
Vivere con perseveranza
Il brano della lettera agli Ebrei che stiamo considerando, ci permette di passare rapidamente dalla storia del popolodi Dio alla nostra storia personale. Il capitolo precedente (Eb 11) ha descritto l’esempio di tutti coloro che nell’Antico Testamento hanno vissuto nella fede, trovando una forza di vita ed una speranza davvero grandiose. Ora, accanto al tema della fede, l’autore aggiunge una riflessione sulla perseveranza, guardando all’esempio di Gesù stesso.
Il brano inizia offrendoci le immagini di una competizione. Una corsa che deve trovare il cristiano ben allenato e pronto. Poi cambia l’immagine portata come esempio, e troviamo quella di un padre che corregge il figlio per educarlo. Gli ultimi versi (v. 12 e13) ci riportano nuovamente ad un clima più sportivo o agonistico, invitandoci a raddrizzare le vie storte.
Questo breve sguardo generale ci ha reso più familiare il brano della lettera. Ora sappiamo cosa ci attenderi leggendo il testo: delle immagini che ci spiegano come educare la nostra fede alla perseveranza, e quale sia al riguardo l’esempio di Gesù.
La frase con cui si apre il nostro brano, è tutta centrata sulla figura di Gesù e sul ruolo che riveste nel piano di salvezza che Dio compie per il mondo. A lui sono invitati aguardare i cristiani che stanno sostenendo la loro faticosa“competizione”, considerando che “non avete ancora resistito fino al sangue” (v. 4). Gesù però è ben diverso da tutti gli esempi portati in precedenza, tratti dall’Antico Testamento.Lui è “autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2), non solo è all’origine di essa, ma è anche il modello ideale nel cammino della salvezza che ogni cristiano è chiamato ad attuare nella fede. Gesù porta a compimento il processo della salvezza che è iniziato con la grande solidarietà vissuta nei confronti della persona umana, fino all’espressione suprema della morte in croce.
L’esempio di Gesù ci fa comprendere come il Padre intenda garantire che il cammino di fede conduca alla salvezza eterna. Per garantire questo Gesù attua una scelta fedele,condividendo totalmente il destino storico umano, segnato dalla morte.
È importante sottolineare bene questa riflessione proposta dalla lettera. La prendiamo come chiave di lettura per tutto quello che leggeremo in seguito: per capire l’immagine del padre che corregge il figlio e imparare come si raddrizzano le vie storte. Se affermiamo che con questa solidarietà radicale Gesù ci ha manifestato l’amore del Padre e ci dice quale sia stato il suo intervento decisivo nella nostra storia, tutto il resto va interpretato di conseguenza. L’esempio della pedagogia tra padre e figlio che stiamo per affrontare va letto senza dimenticare questo dato.
Anticipiamo la conclusione: Dio non è padre perché castiga i suoi figli e le sofferenze non sono in nessun modo segno di predilezione. Non possiamo mai attribuire a Dio le sventure, le disgrazie, le sofferenze o le tribolazioni che colpiscono i credenti.
Vediamo dunque cosa ci dice l’immagine che occupa i versi da 5 a 11. L’antica pedagogia prevedeva il ricorso a sistemi preventivi e punitivi drastici e rigorosi, tra cui l’uso di percosse con verghe e bastoni. Dentro questa cornice l’autore della lettera cerca di dare una spiegazione alle prove e sofferenze dei cristiani. Dio sarebbe come un padre che corregge per amore, avendo di fronte la salvezza e il bene dei suoi figli.
Quindi il tempo della sofferenza è il preludio ad un traguardo dai frutti eccezionali. Il ragionamento “fila”dentro la logica di questa pedagogia antica, ed è accettabile nella misura in cui ci parla di un Padre che vuole la salvezza dei suoi figli e che opera perché la sofferenza non interrompa questo cammino, perché si raddrizzino le vie storte (cfr. Eb 12, 12-13).Assolutizzare però il paragone, conducendolo alle estreme conseguenze di un Dio pronto a sferzare i figli per farli crescere bene, ci porterebbe ad un volto di Dio diverso da quello manifestato in Cristo Gesù. Proprio la radicale solidarietà che Gesù ha vissuto con il cammino sofferto dell’uomo, è la risorsa di cui il cristiano dispone per rinfrancare le mani cadenti e le ginocchia infiacchite, per raddrizzare le vie storte e percorrerle con passo deciso e fermo.
A questo punto, rileggi con attenzione il brano biblico ed applicalo a te, al tuo vivere.
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