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Sabato, 15 Gennaio 2005 11:13

Meditazione zen

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Meditazione Buddista

 
 Lo spirito di risveglio del buddismo, fondato sul silenzio e sulla postura del corpo, è stato introdotto in Giappone dalla Cina, nel XIII secolo dal Maestro Dogen. Il termine zen è la trascrizione del cinese Ch’an. Lo zen si propone di vedere il mondo così com’è, con lo spirito libero da ogni sentimento e da ogni pensiero. La pratica dello zen non impone dogmi, né alcun credo e deve essere trasmessa individualmente da maestro a discepolo; per coloro che lo praticano, lo zen è il ritorno allo stato normale del corpo e dello spirito. Il saggio taglia il nodo dell’egoismo con la spada tagliente della meditazione facendo nascere un sentimento di compassione e di solidarietà.

   
    Lo zen è un risveglio del corpo al silenzio e l’atteggiamento interiore non consiste nel riflettere su qualcosa e neanche nell’ interrompere ogni attività intellettuale, ma nell’assumere un atteggiamento (munenmuso) senza idee né pensieri. Il luogo dove si esercitano coloro che meditano si chiama dôjô, letteralmente Sala della Via, o un tempio, sotto la direzione di un maestro. Il legame tra maestro e discepolo è molto stretto, perché il satori, la grande esperienza, non si trasmette né con le parole né con lo scritto, ma da cuore a cuore, da spirito a spirito (i shin-den shin).

Tre sono i mezzi per vincere le difficoltà: -essere seduti (shikantasa), senza perdersi in pensieri personali
-concentrarsi sulla respirazione, senza preoccuparsi di niente altro
-il koan, enigma che non si può risolvere con il pensiero.



La posizione zen

    Il termine zazen deriva da za (sedere immobili come una montagna) e da zen (comprendere l’essenza dell’universo) e non è una semplice tecnica di meditazione, è la posizione del Bouddha quando raggiunse l’Illuminazione:  satori)

    Lo zazen è l’attualizzazione della perfezione originale che alberga in ogni uomo, sempre, e consiste nello stare seduti tenendo il proprio corpo sotto controllo.

    Prima di assumere la posizione scelta,  seduti o in movimento, ed anche al termine, occorre fare gasshô, cioè salutare con le mani giunte (realizzando così l’unione tra il materiale e lo spirituale, tra l’io ed il cosmo), con la punta delle dita all’altezza degli occhi. È un gesto universale di concentrazione e di rispetto verso ciò che si fa. In seguito dopo aver allentato i vestiti ed eventualmente anche la cintura, ci si siede al centro di un cuscino rotondo imbottito con il kpok(zafu) incrociando le gambe nella posizione del loto* o del semiloto**, con le ginocchia a contatto con il suolo, scegliendo la posizione che permette di rimanere immobili senza provare dolore. Si deve spingere il bacino all’indietro, curvando la colonna vertebrale a livello della quinta vertebra lombare. Il ventre si rilassa,il plesso solare si distende, mantenendo la schiena e la nuca dritti e la testa spinta verso il cielo. Portare all’indietro il mento, con il naso sulla stessa linea verticale dell’ombelico. Posare, appoggiata al ventre, la mano sinistra nella mano destra, con le palme rivolte verso il cielo in forma di coppa, con i pollici orizzontali, uno a contatto dell’altro; così le mani prendono la forma di un uovo, simbolo della vita. La bocca è chiusa, la lingua incollata sul davanti del palato, i denti si toccano e gli occhi, socchiusi, guardano avanti, ma senza fissare nulla in particolare.



Rinunciate al voler divenire un Buddha

    In un dôjô, vi è sempre una persona incaricata di verificare che la postura sia corretta, eventualmente correggendola con un lieve colpo sulla spalla destra con il kyôsaku, spada della saggezza. Una volta rassunta la posizione corretta, inspirare ed espirare. Prima di immobilizzarsi nella posizione stabile, inclinarsi a destra e a sinistra. Il respiro è naturale, si stabilizza da solo e non ha bisogno di essere controllato. Sempre rimanendo calmi, l’espirazione si fa più lunga, più regolare e profonda; essa proviene dal ventre, sotto l’ombelico (hara, oceano di energia). Concentrarsi sull’espirazione. Tutto ciò che costituisce la vostra personalità e le sue caratteristiche, scompare; badate soltanto a mantenere la vostra posizione e la respirazione.

    Non pensate né al bene né al male, rinunciate al desiderio di divenire un Buddha. Non odiate, e nemmeno amate i pensieri che sopravvengono, ma soprattutto non soffermatevi su di essi. A questo punto può emergere l’autentico stato dello spirito. Pensieri, emozioni, illusioni, vengono ad essere annullati dalla posizione dello zazen. Non cercate di fare più di quanto sia nelle vostre possibilità, non aspettatevi nulla da ciò che fate. Iniziate meditando 15 minuti al giorno; gradualmente aumenterete questo tempo, avendo però sempre cura di essere regolari.

*Loto: le ginocchia toccano il suolo, le gambe si incrociano all’altezza dei polpacci. Il piede sinistro riposa sulla coscia destra ed il piede destro sulla coscia sinistra, le piante dei piedi sono girate verso l’alto.

** Semiloto: le due ginocchia toccano il suolo. Una delle gambe, compreso il piede, riposa distesa sul polpaccio dell’altra gamba.

Il koan

Il koan (al di là del pensiero concepibile) è un aiuto allo zazen; non rappresenta un vero oggetto di meditazione, perché per sua natura, si basa su di un paradosso.

    Suo scopo quello di sconcertare l’intelletto e di distruggere le fondamenta del processo mentale.. Si tratta di una breve formula che diventa il punto focale della concentrazione durante la meditazione e la cui soluzione condurrà al risveglio (satori). Scuotendo la coscienza ordinaria dell’uomo, costringe il praticante ad andare fino all’estremo della concentrazione mentale; egli si trova sempre più destabilizzato e disperato.

    Questa frattura, permette l’esperienza del vuoto. In una prospettiva buddista, si debbono cogliere gli aspetti positivi e negativi per liberare ciò che di più profondo c’è nell’uomo.

*Alcuni koan:

Quale era il tuo volto prima della nascita dei tuoi genitori?

Le due mani battuta l’una contro l’altra formano un suono: Ma qual è il suono di una mano?

L’asino guarda il pozzo,il pozzo guarda l’asino. Non fuggire.



L’abbandono dell’ego


    Per poter porsi di fronte alla grandezza, non dobbiamo forse ridiventare poveri svuotandosi di se stessi? Il koan Mu (il nulla)  è addestramento alla grande morte, al compimento del Mu, in vista dell’Illuminazione, del satori. In generale, è questa la prima barriera da superare, l’abbandono dell’ego. Siete esortati a divenire tutt’uno con il koan. Ė uno stato di coscienza caratterizzato dall’abbandono dei nostri abituali punti di riferimento. Oltre al koan Mu, ne esistono circa 700.

    Nella scuola Rinzai, il maestro zen colpisce con il bastone l’allievo che non risolve il koan, e porta la sua mente allo sfinimento, facendolo riflettere incessantemente sul koan.

    La scuola Zen Sôto considera il koan come un granello che si svilupperà senza sforzo nello spirito. Tra le due scuole non esiste una differenza fondamentale: l’una mette l’accento sul koan, l’altra sullo zazen.

    Camminare meditando (kin-hin): per alcuni si tratta di una tecnica da preferire alla posizione seduta ed in ogni caso può essere un ottimo complemento della posizione immobile. Non è uno sgranchirsi le gambe dopo l’immobilità, è una esperienza di zazen in movimento.

    All’interno o all’esterno del dôjô, si deve camminare lentamente: camminate coscienti che è da ciascun passo che fate che dipende tutto il cammino, che esso è la sola realtà e deve essere perfetto. Camminate seguendo una linea retta con un atteggiamento corporeo simile a quello dello zazen, con il mento rientrato,dorso e nuca diritti, occhi semichiusi, le mani all’altezza dello sterno, la mano sinistra chiusa intorno al pollice, la mano destra posta sopra di essa.



Il semi-sorriso come via verso il risveglio


    Ė opportuno accordare la respirazione al ritmo del cammino. Si comincia facendo avanzare il piede destro il cui tallone tocca per primo il suolo, poi la pianta del piede, ed infine le dita.

    Siate coscienti del contatto dei vostri piedi con la terra. Una particolare importanza va data all’appoggio sull’alluce: l’espirazione rafforza la sensazione di stabilità. Il corpo si rilassa alla fine dell’espirazione e avanza di mezzo passo al momento dell’ inspirazione. Far passare il peso del corpo da una gamba all’altra. Il cammino continua in sincronismo perfetto tra respirazione e movimento. Il ritmo, lento nel sôto e più rapido nel Rinzaï dipende dalle diverse scuole. Thich Nhat Hanh consiglia si accompagnare il cammino meditativo con un mezzo sorriso quello che si vede nelle statue di Budda. Per la tradizione zen, il mezzo sorriso è considerato una via verso il risveglio. Ideale dopo una meditazione seduta, kin-hin è anche una meditazione completa, che si consiglia di praticare di tanto in tanto, durante la giornata.

 

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Letto 6246 volte Ultima modifica il Venerdì, 05 Novembre 2010 11:51

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