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Lunedì, 04 Febbraio 2008 02:58

Francesco e la contemplazione

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di Enzo Bianchi

della comunità di Bose

Innanzitutto mi urge ricordare a tutti che Francesco, come negli stessi anni faceva Domenico con l’ordo praedicatorum, non ha dato origine a una vita religiosa con un fine specifico: egli appartiene ancora, lo si voglia o no, alla grande tradizione della vita religiosa che non ha una funzione concreta da realizzare (predicare, insegnare, fare la carità), ma che intende solo tentare di vivere radicalmente il vangelo.

L’inizio della regola recita perentoriamente e Francesco dirà, ogni volta che parla del suo progetto, che la vita e la regola dei frati minori è «osservare il santo vangelo vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità» (Rb 1,2), è «seguire l’insegnamento e le tracce del Signore» (Rnb 1,2), è custodire «le parole, la vita, l’insegnamento e il santo vangelo» di Gesù (Rnb 22,43).

La vita francescana non è dunque una forma di vita religiosa diaconale, con una funzione, un’azione specifica, un assolvimento dei bisogni del tempo: è sequela radicale concreta, quotidiana del Signore Gesù, è «vita del vangelo di Gesù Cristo» (Rnb, prol. 2).

Io oso dire di più: il progetto di Francesco voleva essere un ritorno alla freschezza del monachesimo primitivo, e certamente la forma vitae in esso contenuta è molto più monastica delle grandi e potenti comunità benedettine e cistercensi del XIII secolo, contemporanee a Francesco (ma non così all’inizio delle loro fondazioni)11.

Detto questo, che precisa l’alveo, lo spazio della vocazione francescana, non è difficile definire la contemplazione di Francesco. Francesco, nei suoi scritti, non usa mai la parola «contemplativo», forse perché giudicata da lui carica dell’ambiguità datale da un certo monachesimo; ma non per questo dobbiamo dire o pensare che in lui non ci sia nessuna attenzione alla contemplazione: se questa è come noi l’abbiamo definita, se è innanzitutto conoscenza di Cristo, allora Francesco di questa conoscenza è talmente imbevuto da apparire colui che da Cristo povero e crocifisso è stato riplasmato a sua immagine fino a essere «il somigliantissimo».

Non è certamente un caso che l’espressione contemplatio e i suoi termini parenti non appaiano se non una sola volta nelle Admonitiones, per dire che gli apostoli «oculis spiritualibus contemplantes, credevano che [Gesù] era Dio» (Adm. 1,20), mentre per indicare l’autentica contemplazione cristiana compare più volte la terminologia della conoscenza: cognitio (Adm. 5,6; Pater noster 2), cognoscemento (Pregh. dav. croc. 3) e soprattutto cognoscere (Adm. 1,15; 5,2; Rb 23,7.8; ecc.).

Innanzitutto Francesco ha un’assiduità forte, intensa con le sante Scritture contenenti le «odorifera verba ... Domini nostri Jesu Christi qui est Verbum Patris» e nel contempo «verba Spiritus sancti, quae spiritus et vita sunt» (Ep. ad fid., prol. 4.6; cf. Gv 6,63). Sono proprio queste parole che sempre proclamano i nomi di Dio12e se sono contenute nelle sacre Scritture sono da venerare sempre e dovunque (Test. 14; Ep. tot. Ord. missa 43-47; Ep. ad cust. 8; Ep. ad fratres cler. 1).

A noi non è pervenuta nessuna testimonianza che ci narri la materialità del rapporto di Francesco con le sacre Scritture, se egli frequentasse la lectio divina, ma al di là del metodo preciso codificato nel secolo XI, non può essere altrimenti. Il suo incontro con la Parola di Dio avveniva certamente nella liturgia, ma anche in un contatto diretto con le Scritture che prevedeva lettura, meditazione, orazione, contemplazione... Certo, va detto che per Francesco l’incontro con la Parola era nudo, che la Parola era accolta con pura fede, con semplicità, senza ricorso a riflessioni intellettuali sottili: un ascolto bramato, ma per diventare subito obbedienza. La custodia della Parola di Dio nel cuore e la memorizzazione intensa, vera ruminatio continua delle parole sante, permetteranno a Francesco non solo di citare le Scritture nei suoi scritti ricchissimi di riferimenti e allusioni bibliche, ma addirittura di collegarle, di raccoglierle, di intrecciarle con molta sapienza spirituale in composizioni salmodiche come l’Ufficio della Passione. Solo un uomo che abbia nelle sue viscere la Scrittura può permettersi, in un tempo in cui non ci sono libri di concordanze, di estrarre da essa versetti che si richiamano e sono sviluppo l’uno dell’altro13.

Occorrerebbe evitare di presentare Francesco, come lui stesso amava, quale «simplex et idiota», perché questo non corrisponde alla verità: Francesco non possedeva certamente una conoscenza accademica delle Scritture, ma una conoscenza penetrante, pneumatica, dovuta ad assiduità, sì! Questo appare innegabile a tutti gli esegeti dei suoi scritti. Il rapporto di Francesco con le Scritture è simile a quello dei padri del deserto: esse sono ordinate solo a una crescente conoscenza del Signore, ordinate alla crescita dell’amore per Dio, soprattutto all’amore e alla contemplazione di Gesù povero e crocifisso. Per questo non ci sono nei suoi scritti commenti lunghi o raffinati, ma si lascia che la Scrittura parli, e ogni comprensione deve derivare dal principio «Scriptura sui ipsius interpres...

Nella Regula non bullata e nelle Admonitiones troviamo lunghe sezioni frutto del principio «divina eloquia cum legente crescunt», mai però come esercizio intellettuale: infatti l’accento cade sull’ascolto e sull’obbedienza «verbo et exemplo» (Adm. 7,4). Scrive infatti con grande severità Francesco: «Sono uccisi dalla lettera quelli che desiderano sapere parole solo per essere ritenuti più sapienti degli altri ... e quelli che non vogliono seguire lo spirito della divina Scrittura ma desiderano sapere solo parole e spiegarle agli altri» (Adm. 7,2-3).

Quanto poi alla preghiera, basti semplicemente confessare che guardando Francesco si ha l’impressione di cogliere un uomo diventato lui stesso preghiera. Le regole sono parche di esortazioni alla preghiera per i frati, perché in quel secolo la preghiera intensa era supposta come necessità per tutti i cristiani e ad essa non si muove- vano contestazioni se non sul come farla, tuttavia due passi della Regula bullata sono più che sufficienti per verificarne il significato: Francesco chiede che tutte le cose temporali siano ordinate al mantenimento dello spirito di orazione e di devozione e non possano mai estinguerlo (Rb 5,2-3), e avverte ed esorta nel Signore a «desiderare sopra ogni cosa di possedere Io Spirito del Signore e la sua santa operazione e di pregare sempre con cuore puro» (Rb 10,10-11). Non ci possono essere dubbi: il primato assoluto nella vita del frate minore spetta al Signore e tutto dev’essere ordinato in vista della comunione con lui, che si attua attraverso la preghiera continua e la conoscenza che viene dalle Scritture.

Ma questa non è solo la regola data da Francesco, questa è la sua forma vitae vissuta fino alla fine, questo è il suo exemplum ben testimoniato dalla preghiera dell’Absorbeat, vera epiclesi di contemplazione cristiana autentica, di esperienza di Dio attraverso il metabolismo dell’amore. Tommaso da Celano testimonia che Francesco «meditava continuamente le parole del Signore» (1 Cel. 84), ma proprio per questo la sua regola poté essere ed è il vangelo, la «sequentia sancti evangelii» concretamente vissuta nella sua carne e nel suo cuore.

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Letto 3349 volte Ultima modifica il Venerdì, 21 Ottobre 2011 19:52

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