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Martedì, 20 Aprile 2010 16:26

a - L’ascesi ha un senso?

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E’ estremamente delicato affrontare il tema dell’ascesi cristiana. Questa parola giunge a noi carica di un passato di ambiguità, esagerazioni e deviazioni che la rendono quantomeno sospetta ai contemporanei.

Spesso, e ben presto nella tradizione cristiana, l’ascesi si è nutrita di un modello antropologico dualista, fondamentalmente estraneo alla mentalità biblica, che ha favorito il sorgere di atteggiamenti spirituali di «fuga dal mondo», di contemptus mundi, di diffidenza nei confronti del corpo e delle realtà materiali. La riscoperta della Scrittura, la svolta antropologica e la sua de-ellenizzazione, la nascita di una teologia delle realtà terrestri, di un apprezzamento positivo del corpo e di tutte le realtà create, impongono oggi un ripensamento radicale dell’ascesi cristiana. Da un lato, infatti, questi elementi nuovi offrono l’opportunità di una purificazione ed evangelizzazione dell’ascesi, dall’altro contribuiscono a porre in crisi la necessità stessa. E certamente si deve riconoscere che la seconda metà di questo secolo segna una crisi dell’ascesi cristiana, crisi tanto più forte in quanto non verte sul come dell’ascesi (quali pratiche o metodi sono accettabili e quali no), ma sul perché, sul senso dell’ascesi stessa, dunque sulla sua necessità.

Noi abbiamo dimenticato il carattere corporeo dell’ascesi, e di fatto al cristiano è chiesta oggi dalla chiesa soltanto la coerenza morale individuale, un’obbedienza tanto necessaria quanto ovvia a comandamenti di utilità sociale. La vita cristiana si esaurisce in un certo modo di comportarsi, in un codice di buona condotta, e ormai sono passati alcuni decenni senza trasmissione del punto focale della vita cristiana, sicché l’ascesi anche solo come parola è alquanto incomprensibile. La verità è che è andata perduta la trasmissione dell’esperienza di Dio: questa, se è autentica conoscenza di Dio, non si fa solo con categorie intellettuali né solo con l’assolvimento della morale degli uomini religiosi, ma avviene con la partecipazione corporea, con la partecipazione di tutto l’essere umano. Solo in uno spazio di sequela che conglobi la carne, il corpo, è possibile la partecipazione eucaristica: altrimenti il corpo del Signore chi lo incontra? Una mente, o l’uomo intero con la sua psiche e la sua carne?

Senza ascesi si vivrà un cristianesimo ideologico e molle, pieno di buone intenzioni, ridotto a un movimento che fa riferimento a Gesù di Nazaret... La debolezza attuale della fede cristiana (non la debolezza paolina in cui si fa epifanica la potenza di Dio!) non è dovuta anche a questa dimenticanza della dimensione ascetica?

Certamente su questa crisi pesa anche, e in maniera notevole, l’atmosfera culturale dominante, la pressione esercitata dal modello consumistico della nostra società che induce bisogni e spinge alla loro immediata soddisfazione: in tale contesto è ovvio che parole come «rinuncia» o «sacrificio» non trovino spazio. Figuriamoci poi parole come «digiuno» o «veglia». Non si può non condividere in toto il giudizio di Christos Yannaras: «Nel clima odierno, per un gran numero di cristiani, l’ascesi anche solo come parola è alquanto incomprensibile. Se uno parla di digiuno e di continenza e di volontaria limitazione dei desideri individuali è sicuro che sarà accolto da ironia o da un’aria di condiscendenza»4.

L’ascesi è una necessità umana innanzitutto: chiunque scelga un fine si impone dei mezzi per raggiungerlo, escludendo tutto ciò che impedisce di raggiungere celermente tale fine ed esercitandosi in ciò che assicura la realizzazione della ricerca. Dunque l’ascesi, o disciplina, o esercizio, è un valore umano importante e necessario. Si dovrà però sempre ricordare che, essendo un mezzo, essa è sempre relativa perché non è lo scopo; d’altronde questo lo hanno sempre detto tutti i maestri spirituali. Anche Budda ammoniva: «O monaci, tutti i mezzi impiegati per ottenere un merito non hanno il valore di un sedicesimo di amore».

Proprio per questo la tradizione spirituale cristiana ha letto l’ascesi come un «combattere secondo le regole» (cf. 2Tm 2,5), ma lo scopo è la vittoria su Satana, sul male.

 

Ordinata alla carità

 Per diventare uomo, per umanizzarsi, l’uomo deve saper dire dei «no», deve saper operare delle rinunce, scegliere, pazientare, sacrificarsi, soffrire. Ogni grande realizzazione umana, come un’amicizia, un matrimonio, una vicenda di amore, richiede l’accettazione dell’altro e dunque anche le limitazioni, le rinunce, le obbedienze che la vita con l’altro comporta. Se la vita, umanamente, è relazione, allora l’ascesi umana è determinata dall’altro e dalla vita in relazione con lui, che è lo scopo in cui si fa consistere il senso della propria vita.

In altre parole, l’ascesi è ordinata alla carità, alla sua manifestazione e al suo esercizio verso i fratelli e verso Dio. Per esercitare l’amore verso l’altro sono richiesti - non solo, ma anche - il dominio del proprio corpo, la padronanza dei sensi: occorre cioè saper esigere da noi stessi cose non piacevoli, a volte cose faticose o addirittura dolorose; la pigrizia, l’amore delle comodità, la paura dello sforzo, il rifiuto della fatica e del lavoro impediranno sempre l’assunzione di un amore efficace, reale e quotidiano5. E poi basta un’osservazione elementare: noi di fatto, che lo sappiamo o no, abbiamo atteggiamenti verso il nostro corpo che tengono conto delle relazioni che abbiamo o vogliamo stabilire: ci vestiamo in modo particolare, ci profumiamo, ci diamo una capigliatura o un volto precisi. Così l’uomo spirituale tratta il proprio corpo in vista del rapporto di agape con gli altri e con Dio. Per questo Paolo può dire: «Tratto duramente il mio corpo e lo tengo sottomesso perché non succeda che dopo aver predicato agli altri venga io stesso squalificato» (1Cor 9,27).

In un ambito di fede cristiana, l’altro di cui tener conto non è solo il prossimo, ma anche il Dio che si è rivelato in Gesù Cristo e che ci consente di partecipare alla sua vita grazie al dono dello Spirito santo. Da li nasce e prende forma l’ascesi cristiana, che appare dunque non come iniziativa autonoma dell’uomo, ma come azione che sgorga dalla ed è finalizzata alla relazione con il Signore.

Forse la crisi attuale di questa componente, un tempo così naturalmente e immediatamente sentita come parte integrante del vissuto cristiano, è connessa all’odierna aporia antropologica. L’ascesi e le sue forme mutano al mutare della cultura antropologica del tempo: oggi siamo in una fase di incertezza antropologica, che in ambito cristiano si accompagna a una profonda crisi della fede. Risposte inadeguate a tale fase di passaggio sarebbero tanto la riproposizione, tale e quale, di forme ed esercizi ascetici del passato, quanto la reazione di ripudio e di negazione in nome di un rinnovato modo di intendere il rapporto fede-mondo, non più in termini di opposizione, ma di abbraccio e di incontro. E’ un problema, quello dall’ascesi cristiana oggi, che esige discernimento, equilibrio, maturità, rifiuto delle scorciatoie e delle risposte banalizzanti; esige grande umanità e profonda fede, ferma adesione al Signore e alle esigenze dell’evangelo eterno. Occorre sempre ricordare - lo ripeto - che l’ascesi, nell’economia complessiva della vita cristiana, è mezzo e non fine: l’unico fine della vita cristiana è la carità, ed è alla carità che l’ascesi deve essere ordinata!

Tuttavia, che di quest’ultima si senta il bisogno, lo mostra soprattutto la diffusione di tecniche ascetiche di provenienza orientale, l’assunzione da parte di molti cristiani occidentali, e spesso anche di «maestri spirituali», di metodi di meditazione psicofisici e corporei che, essendo ispirati da filosofie e dottrine spirituali che professano il rapporto organico tra spirito, mente e corpo, vengono incontro al bisogno di coinvolgere l’interezza della persona nel proprio atteggiamento spirituale. Si tratta di quei fenomeni, che spesso degenerano in vero e proprio sincretismo, che hanno indotto la Congregazione per la dottrina della fede a emanare una lettera di precisazioni e distinguo su Alcuni aspetti della meditazione cristiana, rivolta ai vescovi della chiesa cattolica6.

Si tratta dunque di determinare che cos’è l’ascesi cristiana, di vedere se è essenziale al credente di oggi, e, se sì, quali sono le sue forme ed espressioni fondamentali.

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