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Domenica, 20 Novembre 2011 18:04

Dio

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da: Lo Spirito Santo nella vita cristiana

di Enzo Bianchi

priore della comunità di Bose

 

La vita spirituale vuole essere un'esperienza di Dio, del Dio che, incontrato, conosciuto, amato, diventa colui che plasma tutta la vita del cristiano e le dà senso. Ma essendo Dio «colui che non si può vedere senza morire», recita l'adagio biblico (cf. Es 33,20), «colui che nessuno ha mai visto», ribadisce il Nuovo Testamento (cf. Gv 1,18; 1Gv 4,12.20), come si può fare esperienza di lui?

Ebbene, il credente conosce un'esperienza che trascende la sua stessa intelligenza e che riguarda il suo cuore, il suo volere e operare, un'esperienza che egli traduce con parole umane: sento, credo che Dio è presente. Queste parole a volte, in certe ore, sono talmente aderenti ai sentimenti di chi crede da sembrare narrazioni, racconti di ciò che uno ha visto, sono piene di autorevolezza, paiono affidabili; altre volte, pronunciate in ore di aridità, sono così deboli da permettere lo spazio al dubbio. E tuttavia chi passa attraverso queste terre a volte lussureggianti, a volte desertiche, continua a credere, ad aderire, a sentire un legame con il Dio vivente e si sente testimone della presenza o dell'assenza di Dio, ascoltatore della sua voce o del suo silenzio...

L'uomo è un essere quaerens, un cercatore, e in questa sua disposizione è anche capace di «Deum quaerere», di cercare Dio, non fosse altro perché l'alterità radicale significata dalla morte sta sovrana nella sua ricerca di senso. Tuttavia nel cristianesimo è Dio che viene verso l'uomo, che cerca l'uomo e gli propone l'avventura dell'alleanza, l'esperienza spirituale in cui è lui, attraverso lo Spirito, a farsi sentire vicino e vivente.

«Dio nessuno l'ha mai visto, ma il Figlio unigenito che è rivolto verso il seno del Padre ce ne ha fatto la narrazione (exeghésato)» (Gv 1,18), ed è grazie a questa spiegazione, a questa iconizzazione storica, umana, vivente (cf. Col 1,15) che noi possiamo andare a Dio (cf. Gv 14,6). Sì, Dio resta sempre colui che chiama per primo l'uomo a sé e lo attira mediante Gesù il Messia (cf. Gv 6,44 e 65), il Figlio, dicendogli: «Tu sei il mio Figlio amato» (Mc 1,11) e attendendo la risposta-gemito che grida: «Abba!» (riconoscimento di Dio quale Padre) e che nell'amore e nella libertà gli dice: «Eccomi, sono pronto a fare la tua volontà!» (cf. Sal 40,8 e Eb 10,7).

Questo incontro tra Dio e l'uomo è possibile solo grazie alla potenza dello Spirito santo, perché Dio è Spirito (Gv 4,24) ed è lui che rende il cristiano dimora di Dio, capace di incontrarlo, di accoglierlo7. Non solo: lo Spirito che viene nel credente dà lui stesso inizio alla vita spirituale generando l'uomo a figlio di Dio. Quella parola detta dalla voce del Padre e portata dallo Spirito santo su Gesù immerso nel Giordano è ridetta nuovamente al cristiano nascente: ecco la vita filiale, ecco la vita fraterna con Gesù, ecco la vita dello Spirito in noi... Certo, questa nuova creazione che avviene nel battesimo deve essere poi assunta dal cristiano, il quale nella vita incessantemente deve acconsentire al coerente sviluppo della grazia santificante; potremmo dire che il cristiano deve predisporre tutto in sé per una coerente acquisizione dello Spirito santo.

Tuttavia occorre vigilare, soprattutto nei nostri giorni, perché l'incontro con il Dio che viene sia incontro con il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Dio Padre del nostro Signore Gesù Cristo, Parola fatta carne, il Dio che nello Spirito santo ci salva e ci concede in dono la sua stessa vita, la vita divina.

Ciò che si persegue nella vita spirituale dev'essere infatti l'incontro con il Dio vivente, tre volte santo, cioè Altro. Vita spirituale «cristiana», dunque: non la ricerca di una fusione impersonale con Dio, ma vita segnata dall'alleanza quale incontro di alterità. C'è molta voracità religiosa oggi, anche nella chiesa: si ricerca più la religione che la fede, si vorrebbe un Dio immediatamente accessibile, disponibile nelle sue operazioni, e si rigetta l'arte dell'incontro e della comunicazione nella differenza, nell'alterità, con accettazione delle distinzioni e della distanza. Si rigetta in sostanza la santità di Dio. Questo atteggiamento regressivo e narcisistico cerca unioni fusionali, rapporti sensoriali, desiderio di una unità panica e impersonale... No, va ribadito con forza che nella spiritualità cristiana la via non è quella della divinizzazione facile e impersonale, ma un lungo cammino che va dall'essere generati per grazia quali nuove creature al diventare figli nel Figlio di Dio attraverso una sequela vissuta nella storia, nella comunità dei credenti, nella compagnia degli uomini, un andare a Dio guidati dallo Spirito santo. Questa tentazione non è in definitiva un'attualizzazione della seduzione impersonalista, l'errore di Sabellio?

Ma va denunciata anche un'altra possibile devianza, oggi, in questo cammino di vita spirituale: quella del cercare Dio confidando in metodi di iniziazione, in pratiche meccaniche, in esercizi e discipline: tutta la ricerca e l'acquisizione di tecniche meditative e ascetiche orientali, questo proliferare di scuole che assicurano un risultato spirituale devono renderci vigilanti. Certo, nella vita spirituale sono necessari anche metodi, esercizi, ascesi, ma chi salva, chi porta alla comunione con Dio è lo Spirito santo, è la grazia, non ciò che proviene dall'uomo! L'orgoglio umano porta a pensare la vita spirituale come una vita in cui noi restiamo i protagonisti, una vita segnata dalle nostre opzioni, dai nostri progressi, dalle nostre contraddizioni e cadute... Ma nella spiritualità cristiana risuoneranno sempre l'esclamazione: «E per grazia che siete stati salvati» (Ef 2,8) e le parole: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché ... facciate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15,16). Dunque occorre guardarsi anche dalla tentazione pelagiana8.

 

 

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