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Giovedì, 10 Marzo 2016 10:30

L'Esilio

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L'Esilio

p. Franco Gioannetti     

AMBIENTAZIONE STORICA

- Situazione internazionale: È il tempo che va dalla morte del re Giosia (609) fino alla distruzione di Gerusalemme e alla deportazione del popolo verso l'esilio di Babilonia (587). Il quadro della politica internazionale è completamente cambiato: le due grandi potenze mondiali, Assiria e Egitto, hanno perduto l'egemonia coloniale. Si profila all'orizzonte una terza potenza, terribile e che incute spavento: Babilonia. Nell'anno 612, Babilonia distrusse la capitale dell'Assiria, Ninive. Fu uno choc internazionale. II piccolo popolo di Giuda vedeva di buon occhio il cambiamento e cercava di dare il suo contributo (a suo proprio vantaggio). Il re Giosia, nell'anno 609, inviò il suo esercito per impedire il passaggio del Faraone di Egitto, Nekaò, che si recava a dare aiuto agli ultimi resti delle forze dell'Assiria (un tempo nemica, ma adesso amica, a causa della minaccia di Babilonia), rifugiate nel nord della Siria. Giosia fu sconfitto e perse la vita in battaglia (lutto nazionale). Le forze alleate dell'Egitto e dell'Assiria furono sgominate e annientate a partire dall'anno 609; il cammino dell'avanzata di Babilonia era aperto.

- Ripercussione della situazione internazionale sul piano nazionale: Due erano le correnti politiche del governo di Giuda: alcuni erano a favore di Babilonia, altri a favore dell'Egitto. Per cui, tre mesi dopo la morte di Giosia (che era a favore di Babilonia), il Faraone d'Egitto riuscì a deporre dal trono il successore

Gioacaz, anch'esso favorevole a Babilonia, e a mettete al suo posto un nuovo re, Gioacchino (609-598), favorevole all'Egitto. Adesso, era Babilonia il grande pericolo! Con la vittoria dì Babilonia su Nekao, nell'anno 605, Giuda diventò vassallo Babilonia.

- Situazione nazionale: La morte inattesa e prematura del giovane re Giosia, condottiero amato dal popolo, fu un duro colpo che soffocò le speranze nel cuore di molti. La riforma incominciata (vedi capp. 4 e 6) non andò avanti. Ebbe inizio la decadenza. Il trono era occupato da re inetti. Nella generale incertezza, ciascuno si difendeva come meglio poteva e dilagava la più nefasta ingiustizia. Si cercava sicurezza nelle alleanze militari con l'Egitto; era la politica dello struzzo, che nascondeva o ignorava il pericolo dicendo: «Va tutto bene! Va tutto bene!» Mentre tutto andava male. (Ger, 6, 14). Si parlava solo di felicità per nascondere le piaghe del terrore (cf. 8, 11). E si tentava rifugiarsi in una politica fiacca e falsa, sotto il manto protettore della religione ufficiale. Si pensava di trovare la fonte della sicurezza nel fedele adempimento della liturgia, con tutte le sue feste e cerimonie: «Siamo salvi!» (7, 10). E non era difficile trovare profeti e sacerdoti che legittimassero un processo del genere e che rassicurassero i capi circa le soluzioni da loro suggerire per superare la crisi (8, 10). La religione diventò così, un «vero oppio del popolo» che credeva in questi falsi profeti quando dicevano: «Vi sarà dato tutto il bene! Non vi succederà alcun male!» (23, 17). Ma non si combatte un esercito con vuoti, con cerimonie senza vita e con promesse senza garanzia. La disgrazia si avvicina inesorabilmente. La religione era strumentalizzata per difendere gli interessi dei gruppi.

L'esìlio dei Giudei a Babilonia si divide in tre tappe: nel 597 Nabucodonosor deporta tutti i notabili del paese; nel 587 Naduzardan deporta gli artigiani e distrugge Gerusalemme e il Tempio; nel 582 l'ultima deportazione per rappresaglia. Pare che queste deportazioni non fossero estremamente crudeli e che esistesse un certo rispetto per i costumi e la religiosità degli esiliati.

DESCRIZIONE

La distruzione, di Gerusalemme con l'esilio costituisce umanamente parlando la fine di Israele. Tutte le sue certezze sono crollate. Ti trono di David è stato distrutto. Il Tempio, abitazione di Jahvè incendiato. Gerusalemme, la città santa, è stata distrutta.

Un cumulo di domande opprime il cuore angustiato del popolo. Dove sta ora la parola di Jhavè? Dove le promesse al trono, alla città e al tempio ?

La crisi di fede è giustificata, ma solo Geremìa comprende il piano di Dio: la situazione della nazione era per Iui una prova evidente che il popolo aveva smesso di servire Dio. L'ingiustizia era istallata nel potere, a cominciare dal re stesso. Geremia arrivò persino a dubitare che ci fosse un solo uomo, a Gerusalemme, capace di praticare la giustizia. Secondo lui, la causa di tutto era l'abbandono di Dio. Invece di servire all'unico Dio, che voleva la giustizia, ognuno andava dietro al suo Dio particolare. C'erano tanti "dei" quante erano le città di Giuda e tanti altari consacrati agli idoli, quante erano le strade di Gerusalemme.

In una situazione del genere, a nulla serviva la politica dello struzzo, non bastava fuggire ogni responsabilità e cercare in una una religiosità senza senso, o nelle alleanze militari ambigue. Bisognava attaccare il male alla radice, poiché la fuga non risolve mai niente.

"Praticate la giustizia fin dall'aurora, liberate l'oppresso dalle mani dell'oppressore, affinché la mia ira non divampi come il fuoco e diventi un incendio inestinguibile". Ogni altra soluzione sarebbe stata come un innesto su un ramo secco.

Il culto e il Tempio così come sono rispettivamente compiuti e vissuti dimostrano la falsità e la ricerca di "dei minori" e quindi Geremia conclude che Dio non abita più a Gerusalemme. Dio si allontana dall'uomo quando questi pecca, ma il popolo sapeva di peccare e sapeva che avendo stretto l'alleanza con Dio ora oggetto di un amore senza pari, ma anche di un'ira senza pari. I castighi divini anche se tremendi sono prove di sollecitudine per le"dure cervici", il castigo è anzi tutto un richiamo, un invito alla penitenza. Israele non conosce più Dio e nel suo ateismo pratico va ricercata la causa del suo disordine morale. Il falso zelo religioso è soltanto una facciata che fa orrore a Dio più della stessa empietà.

Una disgregazione sociale e morale storicamente ha sempre incoraggiato l'invasione da parte dei popoli vicini.

Il popolo non è abbandonato difronte alla crisi, Ezechiele e poi un discepolo di Isaia svelano che l'esilio ha lo scopo di purificare il popolo dalle deviazioni della sua fede.

Le istituzioni non portano più il popolo a Dio. Perché il popolo possa nuovamente incentrarsi con Dio è necessario che si veda abbandonato che gli vengano meno tutte queste sicurezze. Per questo l'esilio: in cui terra, città, trono e Tempio scompaiono.

Accanto a questo aspetto di giudizio, i profeti svelano al popolo un significato positivo, di salvezza, in occasione dell'esilio, infatti, il popolo riflette sul passato o questa riflessione lo porta ad acquistare coscienza del proprio peccato, a riconoscerlo, ad accettarlo e a confessarlo.

Questo è il primo passo verso la conversione ( Ger. 3,25).

Una conversione che il popolo sa bene che deve essere opera di Jahvè: " Facci tornare a te,

Jahvè e noi ritorneremo" (lam. .$,21; Ger. 3-4 ). Perché Jahvè non aspetta, lui è quello che

fa il primo passo in cerca dell'esiliato per ristabilire l'alleanza con lui.

In tal modo, grazie alla conversione del popolo, mosso da Jahvè, l'esilio si trasforma in un

nuovo inizio più glorioso ancora dell'antico.

Jahvè non è più nel tempio ma con il suo popolo, l'esilio sboccherà in una nuova vita, sarà

come una nuova creazione, come una risurrezione dai morti.

Con l'esilio Israele acquista una nuova coscienza della propria missione nel mondo:

quella missionaria che esce dal particolarismo nazionalista.

Contemporaneamente, con umiltà osserva i valori delle altre culture, le filtra alla luce della Fede e le fa proprie ( vedi la tradizione babilonese della creazione)

La prova dell'esilio illumina alcuni problemi oscuri in Israele:

- la "retribuzione" come salvezza non deve essere vista nell'ordine individuale, ma collettivo.

- il dolore acquista un valore redentore che permette al popolo di nascere a nuova vita

Questi due problemi li medita e li vive in prima persona Geremia: perseguitato, maltrattato, abbandonato da amici e parenti, vittima di cospirazioni ed attentati; egli restò solo con il suo dolore. Tutto ciò fece sì che Isaia (53, 5-7) pensasse a Lui quando scriveva sul futuro Messia.

Di Geremia ci stupisce l'imperturbabile fedeltà ad una missione che non aveva mai desiderato ma che gli era stata imposta da Dio stesso.

Il piano di salvezza di Israele passa attraverso la docilità di Geremia ma anche attraverso le nazioni e i re dell'epoca, che diventano strumenti di salvezza. Talvolta "verga di Dio", altre "suo servo", anzi suo "unto" ( è il caso di Ciro Is. 45, 1 ) i potenti diventano servi degli eterni piani di Dio.

L'annuncio del regno di Dio è una costante delle profezie, in tutte presente come un potente soffio di speranza. Il giudizio, già l'abbiamo vista, non è mai l'ultima parola di Dio. La prova è il fuoco che purifica. Viene operata una scelta tra l'Israele secondo la carne e l'Israele secondo lo spirito. Quest'ultimo si riduce ad un resto fedele; ed anche il resto si ridurrà, un giorno, alla sola figura di servo di Dio che , da solo, darà vita ad un popolo nuovo: la Chiesa.

Ma Israele e la Chiesa non sono che una specie di anticipazione, in seno ad un mondo peccatore del regno futuro, di quel tempo glorioso in cui Dio sarà tutto in tutti. Dal secolo VIII i profeti vedono il regno di Dio legato alla persona di un re (Is. 9,5; 11,3-4; 11,10-12 ), ma in piena cattività babilonese ecco levarsi "un cantico nuovo" e il motivo di tale consolazione è la venuta di Dio (Is. 42,10). Il servitore (Is. 41,2-3;45) è in primo luogo Ciro, la "stirpe amata" è Israele; ma ecco in Is. 42,3 si parla di un'unica persona con gli attributi di misericordia e giustizia. Si parla delle sofferenze, dell'umiltà della gloria, del suo potere di raccogliere tutte le nostre iniquità (Is. 53,1-6).

Chi è questo martire? questo servitore ? - Geremia ? il popolo di Israele ?

nessuna di queste risposte è completamente errata, ma nessuna è sufficiente

UNO SOLO HA VERAMENTE PRESO SU DI SE' I PECCATI DEL SUO POPOLO,

UNO SOLO HA SOFFERTO,

UOMO GIUSTO PER GLI UOMINI INGIUSTI? ED A GIUSTIFICAZIONE DI MOLTI:

GESÙ' CRISTO, IL FIGLIO DI DIO

Tornando all'esperienza dell'esilio non può sfuggirci che noi cristiani, pellegrini nel mondo, possiamo a volte sistemarsi in esso, cercando sicurezza nelle cose umane:- stato, istituzioni, leggi, privilegi - tradendo così la nostra missione di rivelare la salvezza di Dio e portare gli uomini a Lui.

RIFERIMENTI BIBLICI

2 RE 24, 8-17 l'esilio

2 RE 25, 1-21 l'esilio

Geremia 26, 1-24 le minacce peggiori dell'esilio nel dolore....

" 29, 1-15 ...la speranza

Ez. 1,1-3; 2,1-9; 3, 1-3 la scelta .... per gli esiliati

Ez. 11,8-21 .... ed un messaggio di speranza

Ez. 18, 1-23 ....malgrado le loro responsabilità..,.

Ez. 37, 21-28 ... Torneranno.....

Ez. 43, 1-8 ....e la Santa Presenza....sarà tra loro.

CONSIDERAZIONI

L'esilio ha anche per il cristiano la sua attualità. Il cristiano infatti benché situato nella pienezza dei tempi peregrina nell'oscurità della Fede, sottoposto alla prova e al dolore che può essere purificatore, ma soprattutto redentore se con Cristo offrirà la propria vita a favore del popolo.

Quali sono o sono state le tue esperienze di esilio ?

Tu sai che la santità di Dio non può scendere a patti con il male, nelle situazioni conflittuali della vita, sai o almeno provi a fondarti soltanto sulla fedeltà di Dio ?

Foto da: http://www.conformingtojesus.com

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Letto 2712 volte Ultima modifica il Martedì, 22 Marzo 2016 14:57

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