Famiglia Giovani Anziani

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 69

Visualizza articoli per tag: Famiglia Giovani Anziani

Martedì, 01 Marzo 2005 15:54

Educatori Autorevoli Parte 3-3

Educatori autorevoli

· L’autorità
è un valore, a patto che lasci uno spazio di libertà a chi è in
situazione educativa per permettergli di prendere decisioni personali e
di crescere anche attraverso i propri errori

· L’educazione è permanente e riguarda anche l’educatore

· Per la qualità dell’autorità, fondamentale è la qualità di che la esercita, la sua passione educativa

· Un modello educativo che ha valore a tutti i livelli, anche ecclesiale.

Terza parte

L'autodisciplina e la maturità

Colui
che sottopone all'ubbidienza nei confronti di una autorità imposta, non
educa ad assumere decisioni e responsabilità, genera solo il desiderio
di essere liberato dalla costrizione e dalla paura di essere punito,
non riesce a trasmettere quella fiducia che è necessaria perché i
giovani si cimentino con loro stessi e si verifichino nella propria
capacità di assumere scelte e decisioni responsabili.

E l'esercizio di una seria autorità combatte anche i
limiti del permissivismo, espresso con lo slogan "vietato vietare" che
è quanto di più antieducativo si possa ipotizzare. Con la cultura del
permissivismo, genitori ed insegnanti hanno stimolato e stimolano il
desiderio di avere tutto e subito, incoraggiando l'impulsività,
l'impazienza, una bassa resistenza alle frustrazioni, l'incapacità alla
perseveranza, il rifiuto dello sforzo e della concentrazione,
opponendosi alla conquista di una vera, responsabile libertà da parte
dei giovani.

Se l'educazione ha spesso dovuto fare i conti con
una autorità fredda e rigida ed una libertà disordinata, è urgente che
oggi i genitori e gli educatori riflettano su come portare alla
conquista dell'autodisciplina e alla maturità nell'itinerario di vita
dei giovani con cui sono in relazione educativa. Non è inessenziale,
forse, il richiamo del pedagogista R. Lambruschini sulla necessità di
far emergere una "educazione ragionevole" come sintesi ben intesa di autorità e di libertà.

La qualità dell'autorità dipende dalla qualità di
colui che la esercita; dall'autoritarismo degli adulti derivano
conseguenze di comportamento dei giovani, e soprattutto i genitori non
devono dimenticare che la base di ogni relazione è nella affettività,
ed il rispetto lo si ottiene offrendolo, e facendo sentire all'altro
che lo si ama, anche quando lo si riprende in alcuni atteggiamenti e lo
si orienta nella condotta. Educare è sempre proporre, mai imporre, ed
in questo senso l'educatore non può nascondere le sue responsabilità
nell'alibi "ho fatto il mio dovere", perché il dovere dell'educatore
non è nella formalità delle procedure, ma nel coinvolgimento
relazionale responsabile, nella testimonianza e nell'esemplarità.

Il significato dell'educazione esige sempre, in
famiglia e fuori, una relazione educativa ricca di passione educativa e
di testimonianza, di partecipazione e di attenzioni, di responsabilità
e di competenze affettive ed emozionali, per alimentare una
comunicazione sostenuta da valori e sentimenti positivi ed
autenticanti, attraverso cui aiutare e scoprire il senso della
personale identità e del soggettivo valore di persona.

Maria Luisa De Natale

Dipartimento di Pedagogia

Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano

Da "Famiglia domani" 1/2001

Pubblicato in Problematiche Giovanili
Martedì, 01 Marzo 2005 15:53

Educatori Autorevoli Parte 2-3

Educatori autorevoli

· L’autorità
è un valore, a patto che lasci uno spazio di libertà a chi è in
situazione educativa per permettergli di prendere decisioni personali e
di crescere anche attraverso i propri errori

· L’educazione è permanente e riguarda anche l’educatore

· Per la qualità dell’autorità, fondamentale è la qualità di che la esercita, la sua passione educativa

· Un modello educativo che ha valore a tutti i livelli, anche ecclesiale.

Seconda parte

L'autorità e la disciplina

In
una prospettiva pedagogicamente inaccettabile, l'autorità veniva
esercitata attraverso il potere, affinché fosse riconosciuta. Tale
potere risiedeva nella forza di farsi ubbidire. Ciò costituiva una
inevitabile limitazione della libertà del soggetto educando e dei suoi
diritti, l'uso dell'autorità come imposizione, infatti, fa sì che l'altro si senta privato della propria libertà e l'imporre un comportamento o una cosa con minacce e castighi è il modo più sicuro per indurre ad odiarla.

L'autorità, invece, deve essere innanzi tutto una autorità morale,
riconosciuta, una autorità che si fonda sull'amore, sul rispetto dei
diritti dell'altro, e non sulla forza. L'autorità disciplinare è tale
solo se il figlio-educando riesce a sentire come un bene l'ordine che
gli è impartito. Il dover ricorrere in continuazione ai castighi, alle
grida, significa dover riconoscere la propria incapacità di educatore e
dover interrogarsi fino a che punto sia lecito ammonire, consigliare,
minacciare, punire, premiare.

Se l’autorità vuole proporre una legge di vita, e non solo un arbitrio di comoda necessità in situazione particolare, questa legge di vita si genera nella coscienza dell'adulto e dei giovani,
e viene sollecitata dal rispetto che il soggetto in formazione "sente"
nei confronti dei suoi educatori, da quell’amore pedagogico che unisce
in una relazione educativa e che trova il suo fondamento nei comuni
valori che sono proposti e testimoniati quotidianamente. In questo
senso anche gli adulti devono continuamente rivedere i propri comportamenti, considerarsi soggetti in educazione continua essi stessi,
per alimentare il senso del proprio impegno educativo e per rinnovare
costantemente la presa di coscienza critica delle proprie
responsabilità.

L'autorità degli educatori si esprime attraverso
tutta l'energia personale che li caratterizza. Molto opportunamente lo
Schneider, uno studioso tedesco, ha distinto tra l'energia relativa
alle cose, cioè agli ostacoli materiali che possono frapporsi in un
progetto educativo, e l'energia relativa alle opposizioni personali,
alle volontà contrarie, ai dispetti, alle beffe, alle preghiere o alle
lusinghe di altri che ostacolano un chiaro progetto educativo. L’autorità
che l'educatore esprime non può e non deve richiedere sottomissione, ma
deve prospettare orizzonti di libertà e di autorealizzazione
responsabilmente perseguita
. In
questo senso l'autorità deve essere essenzialmente una qualità
dell’animo degli adulti, una autorità morale, fondata sul dovere che
l'adulto ha di rispettare la libertà dei giovani e la loro dignità
personale.


Maria Luisa De Natale

Dipartimento di Pedagogia

Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano

Da "Famiglia domani" 1/2001

Pubblicato in Problematiche Giovanili
Martedì, 01 Marzo 2005 15:50

Educatori Autorevoli Parte 1-3

Educatori autorevoli

· L’autorità
è un valore, a patto che lasci uno spazio di libertà a chi è in
situazione educativa per permettergli di prendere decisioni personali e
di crescere anche attraverso i propri errori

· L’educazione è permanente e riguarda anche l’educatore

· Per la qualità dell’autorità, fondamentale è la qualità di che la esercita, la sua passione educativa

· Un modello educativo che ha valore a tutti i livelli, anche ecclesiale.

Prima parte

L'esercizio di una autorità da parte
degli educatori nei contesti familiari, scolastici ed extrascolastici,
costituisce una dimensione fondamentale dello stesso percorso formativo
se si considera che l'autorità richiama il concetto di disciplina, di
ubbidienza, di ordine. L'educazione è proprio il realizzarsi di un
ordine interiore nell'ambito di appartenenza ad un gruppo, alla
cultura, ai valori ed alle regole che contraddistinguono questa stessa
comunità o che sono veicolati dalle persone con cui i giovani entrano
in relazioni significative.

L'autorità è un valore?

Nella riflessione pedagogica, si è
passati dalla considerazione di un'autorità disciplinare basata sul
potere, sull'obbedienza acritica, sulla forza, ad una riflessione sulla
necessità di una autorità che aiuti la persona ad un crescente
miglioramento interiore, ad una sempre più consapevole presa di
coscienza di sé unita al riconoscimento dell'altro in quanto tale, come
persona libera ed attiva. In questo senso si può distinguere una dimensione formale o oggettiva del rispetto dell'autorità, da una dimensione soggettiva che è caratterizzata da una interiorizzazione delle norme, in riferimento ad un processo educativo che ha ben chiare le finalità verso cui tendere.

L'autorità, infatti, assume il carattere di un valore indiscutibileper il perseguimento di finalità educative che devono essere ben chiare
agli educatori, se si vuole evitare il rischio di cadere nell'esercizio
dell'arbitrio, nella occasionalità delle regole, nella mancanza di
coerenza e di testimonianza di rispetto di quelle stesse regole che si
propongono ai giovani in situazione educativa. Se il naturale desiderio
di conoscere, di esplorare la realtà nella quale ci si trova immersi,
può animare i giovani verso un rifiuto dell'autorità, è importante
considerare che i genitori e gli educatori hanno il compito di far
maturare e di orientare la volontà dei figli-allievi proponendo
un'autorità disciplinare che si esplichi attraverso una serie di
stimoli/controlli coerenti da far interiorizzare, così che diventino
patrimonio stabile della personalità in formazione, dimensione profonda
dell’intero percorso educativo.

Il faticoso processo di crescita che caratterizza
l'educazione non può tuttavia avvenire in un unico ambiente, secondo un
ordine precostituito, per quanto esemplare possa essere: il soggetto in crescita deve sempre poter prendere delle decisioni personalie occorre riconoscere che anche i fallimenti sono parte integrante ed
inevitabile dello sviluppo, per questo è necessario lasciare ai giovani
spazi di libertà nei quali possano prendere decisioni personali e
provare soddisfazione dei successi raggiunti con le proprie forze, o,
al contrario, essere sollecitati a rivedere le posizioni assunte.

Anche un bambino è in grado di comprendere e di fare
appello alla normatività poiché non è caratterizzato solo dagli
istinti. Ha bisogno di comprendere le regole e di interiorizzarle per
poterle riconoscere. "Il bambino non è un estraneo che l’adulto possa considerare solo esteriormente, con criteri oggettivi " (Montessori).Anche gli errori che questi compie possono essere considerati come
tappe sulle vie della maturità e non come mancanze degne di castigo; il
compito dell'educazione in questa prospettiva è molto più arduo di
quella educazione che vuole limitarsi a ordinare e vietare, a premiare
e castigare, senza preoccuparsi di rendere fruttuosi anche gli errori.

Maria Luisa De Natale

Dipartimento di Pedagogia

Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano

Da "Famiglia domani" 1/2001

Pubblicato in Problematiche Giovanili
Martedì, 01 Marzo 2005 15:47

Motivazione e autostima

Programmi, sogni ed imprevisti

"Quando Peter Fortune aveva
10 anni, i grandi dicevano che era un bambino difficile. Lui però non
capiva in che senso. Non si sentiva per niente difficile. Non
scaraventava le bottiglie del latte contro il muro del giardino, non si
rovesciava in testa il ketchup facendo finta che fosse sangue, e
neppure se la prendeva con le caviglie di sua nonna quando giocava con
la spada, anche se ogni tanto aveva pensato di farlo."


In questa lunga e calda estate sono stati molti gli
spunti per riflettere su quanto scrivere in questo articolo: è
possibile pensare che determinate esperienze, che far fare ai ragazzi
certe cose sia di per se stesso predittivo di successo o viceversa
insuccesso educativo? Quanto io educatore posso essere rassicurato dal
fatto che, agendo in un certo modo, esploratori e guide, lupetti e
coccinelle, rovers e scolte faranno quel passo di crescita che io
auspico con tutto me stesso e verso il quale ho indirizzato,
pianificato, programmato il mio intervento educativo? E d'altra parte
come saprò reagire quando, di fronte ad una attività collaudata, di
sicura riuscita, mi troverò a dover gestire un insuccesso che non avevo
mai pensato di dover mettere in conto? E ancora è davvero possibile
prevedere tutto, ovvero come ogni singolo ragazzo o ragazza reagirà di
fronte al medesimo stimolo, alla stessa proposta?

L'educazione coinvolge tutta la nostra persona, in
tutte le sue dimensioni, anche in quelle che meno conosciamo e
pratichiamo. È davvero difficile pensare di poter riuscire a
pianificare e controllare tante variabili! La logica lineare, basata
sulla relazione causa effetto ci rassicura, ma gli studiosi sono ormai
concordi nel sostenere che gli uomini e le donne seguono una logica non
lineare, anche se il più delle volte non lo sanno.

Possiamo però modificare, integrare la prospettiva e
forse arricchire il vocabolario che utilizziamo per pensare e
progettare le nostre azioni educative.

Governare.Le sue radici latine evocano navi e timonieri, indicano l'azione di chi
regge, guida la nave e, assecondando la direzione dei venti ed il moto
delle onde, conduce la nave là dove era attesa. Anche nell'educazione
cerchiamo di avere il gioco in mano, di mantenere l'equilibrio. Non
lasciamo che tutto proceda a caso, assecondiamo gli eventi,
provochiamone di nuovi, con la coscienza e la consapevolezza che
viviamo un momento di rapidi cambiamenti e che ognuno di noi deve avere
il coraggio e la voglia di cambiare.

Progetti che hanno il respiro dei sogni.Adattarsi ai cambiamenti, accettare che le cose vadano in modo diverso
da come le avevamo desiderate e progettate non impedisce però di avere
grandi orizzonti di riferimento, ideali e mete per le quali vale la
pena spendere le proprie migliori energie. La nave ha sempre un porto
che deve raggiungere. Un proverbio arabo dice "Se vuoi che il solco sia
dritto, attaccalo ad una stella".

Accompagnare.
È possibile condividere le esperienze, non affrontare da soli ciò che
accade e lascia confusi. L'educatore può rinunciare alla certezza del
risultato, ad esercitare il suo rassicurante controllo, ma non
abbandona i ragazzi, non li lascia soli. Per governare la nave il
timoniere è ben saldo ai suo posto, con qualsiasi tempo ed in ogni
stagione.

Accettare l'imprevisto.
Molto spesso siamo talmente tesi a scorgere ciò che noi desideriamo
accada da non accorgerci della varietà e ricchezza di quanto
contemporaneamente sta succedendo. Vedere l'imprevisto è un buon
esercizio, proprio perché, non avendolo prefigurato nella nostra mente,
nel nostro pensiero, è più difficile che sia percepito nei nostri
sensi. Quante cose sono accadute durante le nostre attività alle quali
noi non avevamo neppure lontanamente pensato, delle quali non ci era
neppure balenata l'idea?

Ci sono rotte diverse per raggiungere una stessa meta.
Le tante e differenti risposte che i ragazzi danno all'interno di una
stessa attività non fanno altro che arricchire questa di significati
nuovi, donando a quell'esperienza il suo tratto unico ed irripetibile.
Unico ed irripetibile è anche il modo in cui ciascuno l'ha vissuta, le
risposte che ha dato, gli stimoli che ne ha ricevuto, il ricordo che ne
conserva.

Nessun viaggio è mai perfettamente identico all'altro, anche se siamo partiti ed arrivati insieme.

Paola Incerti

Da "Proposta educativa" 7/2003

Pubblicato in Problematiche Giovanili
Martedì, 01 Marzo 2005 15:38

Motivazione e autostima

Motivazione e autostima

Aspetti psicologici dell’apprendimento

Il soggetto, se ottiene rinforzi positivi, interiorizza un sistema di autogratificazione che gli consente di padroneggiare sempre di più le strategie finalizzate al raggiungimento di determinati obiettivi.

Pubblicato in Problematiche Giovanili
Martedì, 01 Marzo 2005 15:36

Pedagogia dell’errore

Pedagogia dell’errore

(Con particolari riferimenti al mondo scout)

"Perché
- si domandava Pinocchio – perché andare per la strada è una brutta
cosa, mentre andare a scuola è ben? A me sembra il contrario, pensava;
mi sembra che per le strade ci siano tante cose da vedere, mentre a
scuola c’è poco spazio e bisogna per forza stare fermi, non fare
rumore, con un maestro che è già cambiato tre volte dall’inizio
dell’anno"
(Canevaro, 1976).


 

Imparare significa spesso nella mente di tutti noi
e, soprattutto, dei nostri ragazzi, fare fatica, significa dovere,
competizione, soprattutto attenzione a non sbagliare…

"La scuola"diceva Don Milani – "è come un ospedale che cura i sani e respinge i malati, tagliata su misura per ricchi" (Scuola di Barbiana, 1967).

In realtà punire l’errore, creare un clima di
terrore dove chi sbaglia è emarginato, non serve all’apprendimento,
anzi… ci sono diversi "Maestri, nel vero senso della parola, cioè
persone che avevano qualcosa da insegnare, avevano passione e sapevano
come farlo, che hanno dimostrato come per sviluppare la curiosità, la motivazione, la voglia di apprendere occorre dare fiducia:

"A Barbiana chi era senza
basi, lento o svogliato, si sentiva il preferito. Veniva accolto come
voi accogliete il primo della classe. Sembrava che la scuola fosse
tutta solo per lui. Finché non aveva capito, gli altri non andavano
avanti."

Una scuola dove chi è "lento o svogliato"
si sente il "preferito" pare una scuola ideale, un’utopia, un luogo che
non c’è e che non può esistere, ma quello che sorprende, andando avanti
nella lettura, è il comprendere che, sebbene Barbina fosse una scuola
severa e dura, dove non mancavano i rimproveri e i ritmi di studio
faticosi, proprio i più svogliati si appassionavano a duna materia dopo
l’altra, perché traevano dallo studio le conoscenze indispensabili per
muoversi nel mondo, per comunicare con gli altri, per affermare i
propri diritti. Facevano cioè della scuola un ambiente in cui si impara
insieme e con gusto ciò che sarà utile per vivere e per non finire mai
di imparare. Avevano capito, i ragazzi di Barbiana, (e lo misero per
iscritto tra le riforme di scuola da proporre) che "agli svogliati basta dargli uno scopo".

Numerose ricerche hanno esaminato quelle che gli
studenti percepiscono come le "qualità del buon insegnante": non
sorprende che gli studenti preferiscano gli insegnati cordiali,
amichevoli, comunicativi, ma allo stesso tempo ordinati, altamente
motivanti e capaci di controllare il comportamento della classe.
(Weinstein, 1983; Chiari, 1994)

Una modalità peculiare di approccio
all’apprendimento si può definire quella dell’incoraggiamento e si può
descrivere come un processo di cooperazione tra insegnanti e allievi
che mira a generare in questi ultimi uno stato d’animo positivo
rispetto alla possibilità di superare le diverse situazioni e di
raggiungere gli obbiettivi preposti. Questo presuppone il principio di
sottolineare il positivo anziché combattere il negativo e l’apprezzare
l’impegno piuttosto che sottolineare gli insuccessi, cosa che
incrementa la fiducia degli allievi. (Franta, Colasanti, 1992).

"Vale
la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare
ridendo? (…) Gli errori sono necessari, utili come il pane e spesso
anche belli: per esempio, la torre di Pisa" (Rodari, 1964).

"Nelle
nostre scuole, generalmente parlando, si ride troppo poco. L’idea che
l’educazione della mente debba essere una cosa tetra è tra le più
difficili da combattere. Ne sapeva qualcosa Giacomo Leopardi quando
scriveva nel suo Zibaldone, alla data del 1° agosto 1823: - La più
bella e fortunata età dell’uomo, ch’è la fanciullezza è tormentata in
mille modi, con mille angustie, timori, fatiche, dall’istruzione e
dall’educazione, tanto che l’uomo adulto, anche in mezzo
all’infelicità… non accetterebbe di tornar fanciullo -."
(Rodari, 1973).

Incoraggiare gli alunni significa anche saper
ridimensionare, cioè saper sdrammatizzare le esperienze di errore ed
insuccesso, soprattutto quando si tratta di insuccessi ripetuti
(Franta, Colasanti, 1992). Troppo spesso, invece, l’insegnante fa
nascere nei bambini la paura di commettere errori e mostrare che non ha
capito, e ciò contribuisce a inibire il pensiero riflessivo ed una
comprensione autentica dei principi su cui si basa la conoscenza
(Fontana, 1966).

"Se
un bambino scrive sul suo quaderno "l’ago di Garda" o si corregge
l’errore con un segnaccio rosso o blu o si segue l’ardito suggerimento
e si scrive la storia e la geografia di questo ago importantissimo
segnato anche sulla carta geografica d’Italia. La luna si specchierà
sulla punta o sulla cruna? Si pungerà il naso?"
(Rodari, 1973).

Ecco altri due esempi, tra i numerosissimi che Rodari inventò nella sua vita:

"Battendo un tasto sbagliato sono arrivato in Lamponia, un paese dolcissimo che sa di marmellata e di sciroppo. (…)

Il popolo dei lamponi confina con altri popoli buoni e tranquilli: fragole, mirtilli, lucciole e grilli. (…)

O paese felice, ma scoperto per errore, Lamponia del mio cuore!" (Rodari, 1964).

Forse pochi maestri come Gianni Rodari, un altro
esponente del Movimento di Cooperazione Educativa, hanno saputo
mostrare come il proverbio "sbagliando si impara" possa essere
sfruttato con efficacia nella scuola, proprio perché gli errori, se
vengono colti nel loro lato buffo, possono diventare fonti di
apprendimento molto più efficaci e durature di regole imparate
semplicemente a memoria. I sostenitori dell’apprendimento per scoperta,
ad esempio, affermano che gli errori sono parte integrante
dell’apprendimento perché aiutano coloro che imparano a porsi domande
nel tentativo di scoprire come e perché abbiano sbagliato. (Fontana,
1996).

Così lo stesso Rodari parla degli errori, secondo la sua diretta esperienza di maestro:

"L’errore
ortografico, se ben considerato, può dar luogo ad una serie di storie
comiche e istruttive. (…) molti dei cosiddetti "errori" dei bambini,
poi, sono un’altra cosa: sono creazioni autonome, di cui si servono per
assimilare una realtà sconosciuta. (…) Tra l’altro ridere degli errori
è già un modo di distaccarsene. La parola giusta esiste solo in
opposizione alla parola sbagliata. (…) Sbagliando s’impara, è vecchio
proverbio. Il nuovo proverbio potrebbe dire che sbagliando si inventa"
(Rodari, 1973)


Un altro punto fondamentale del suo modo di insegnare è la creatività grazie alla quale anche il ruolo dell'insegnante cambia: "La creatività al primo posto. E il maestro?Il maestro - rispondono quelli del movimento di Cooperazione educativa
- si trasforma in un "animatore". In un promotore di creatività. Non è
più colui che trasmette un sapere bell'e confezionato, un boccone al
giorno. È un adulto che sta con i ragazzi per esprimere il meglio di se
stesso(...). Nessuna gerarchia di materie, ma una materia unica: la
realtà, affrontata da tutti i punti di vista, a cominciare dalla realtà
prima, la comunità scolastica, lo stare insieme. In una scuola del
genere il ragazzo non sta più come un "consumatore" di cultura e di
valori, ma come un creatore e produttore, di valori e di cultura"
(Rodari, l973).

Se queste sono le attenzioni che i "Maestri", i
pedagogisti di cui il nostro Paese va fiero anche all'estero,
raccomandano alla scuola, tanto più questi consigli, queste attenzioni
e questa filosofia dell'imparare dall'errore e non punirlo deve valere
per un mondo come quello degli scout dove il protagonismo del ragazzi,
la ricerca dell'esca che piace e l'ask the boy sono parti costitutive
del metodo. Il principio su cui lavora lo Scautismo è quello di venire
incontro alle idee del ragazzo e di incoraggiarlo a educarsi da sé
invece di venire istruito (Baden-Powell, Il libro dei capi, 1999,
p.41). Baden-Powell opera da subito scelte non discriminanti, si
rivolge non a una particolare classe sociale, ma a tutti i ragazzi. Già
a Brownsea egli riunisce ragazzi di ogni ambiente e classe sociale;
mescolandoli insieme egli dimostra che non necessariamente quando
interagiscono tra loro, i ragazzi ricchi e quelli poveri, entrano in
conflitto. Un obiettivo del Movimento diventa il principio di
eguaglianza: occuparsi anche dei ragazzi poveri senza ricreare gli
schemi di discriminazione già perpetuati dalle classi sociali più
abbienti e così diffusi, ai tempi del fondatore da influenzare anche i
ragazzi.

Specificamente riguardo all'errore e alle punizioni B.-P. afferma: "Una
volta che lo scout ha compreso cos 'è il suo onore ed è stato abituato
al fatto che al suo onore si faccia affidamento, il capo deve fidarsi
di lui interamente. Dovete mostrargli con il vostro operato che lo
considerate un essere responsabile. Dategli qualche incarico,
temporaneo o permanente che sia, ed aspettatevi da lui che lo porti
scrupolosamente a termine. Non sorvegliatelo per vedere come egli lo
compie. Lasciatelo fare a modo suo, lasciate che prenda le sue cantonate, se è il caso, ma in tutti i modi lasciatelo solo e fate affidamento su di lui perché faccia del suo meglio.
" (B.-P. libro dei Capi, Nuova Fiordaliso 1999].


"Il
modo precipuo per riuscire è di sviluppare, anziché reprimere, la
personalità del bambino, e contemporaneamente, e soprattutto, di non
trattarlo da bambino. Egli vuole fare cose, perciò incoraggiamolo a
farle nella giusta direzione e lasciamogliele fare a modo suo. Lasciamogli fare i suoi sbagli: è attraverso essi che si fa un'esperienza.
L’educazione deve essere positiva, non negativa: attiva, non passiva...
Il divieto, naturalmente, è l'aspetto caratteristico e la parola d
'ordine del vecchio sistema repressivo e fa al ragazzo l’effetto del
proverbiale panno rosso: lo sfida a compiere il male.
" (Headquarters Gazette, 1996, B.-P. Taccuno Nuova Fiordaliso, 2001).


In questo mondo educativo dove avventura e strada un
comune sono parole d'ordine l'attenzione all'errore è prima di tutto
attenzione alla diversità, rispetto dell'individualità di ognuno (del
proprio meglio) dei suoi tempi,. delle sue potenzialità (il 5% di
buono) nella costruzione comune di un cammino dove il capo non è un
insegnante, non è un genitore, ma è, realmente, un fratello maggiore.


Benedetta Manaresi

Contributo tratto dalla tesi di Laurea in Psicologia dell'età evolutiva:

"Dalla fatica di studiare alla gioia di apprendere"

Pubblicato in Problematiche Giovanili
Martedì, 01 Marzo 2005 15:34

La penna che sa - Parte 3/3

La penna che sa 3/3

Pubblicato in Problematiche Giovanili
Martedì, 01 Marzo 2005 15:30

La penna che sa - Parte 2/3

La penna che sa 2/3

Pubblicato in Problematiche Giovanili
Martedì, 01 Marzo 2005 15:28

La penna che sa - Parte 1/3

La penna che sa - Parte 1/3

Pubblicato in Problematiche Giovanili
Martedì, 01 Marzo 2005 15:25

Maschi e femmine dai 7 ai 20 anni

Maschi e femmine dai 7 ai 20 anni

Premessa metodologica.Ogni lettura sulle differenze tra maschi e femmine può essere fatta in
chiave biologica, psicologica e sociale ma questa divisione è puramente
scientifica perché tutti gli aspetti delle differenze si integrano e
ciò appare il più delle volte di difficile interpretazione.

Una seconda premessa si basa sulla modalità di
osservazione che può essere qualitativa e quantitativa. Mentre alcune
differenze qualitative sono evidenti e si riportano essenzialmente sul
versante biologico (caratteri sessuali primari: sviluppo degli
attributi genitali, distribuzione dei peli, ecc.) le differenze sul
versante psicologico sono più frequentemente di ordine quantitativo e
quindi vanno lette più nel campo della possibilità che della certezza.
Per quest'ultimo aspetto può essere utile la parola dimensione che dà l'idea in termini di rappresentazione a differenza del termine categoriache al contrario ci porta all'idea di qualcosa che c'è o che non c'è.
Così mentre è chiaro, salvo patologia, che cosa è un maschio o una
femmina dal punto di vista fisico (categoria) altrettanto non lo è da
molti punti di vista psicologici (dimensione). Sulla dimensione di
femminilità o di mascolinità si sono appunto creati molti aspetti di
ordine culturale, pregiudizi, diverse opportunità ma anche attribuzione
di ruoli, funzioni e simboli.

In merito i lettori che desiderano approfondire
questi aspetti devono chiarirsi la dimensione della bisessualità per la
quale in ogni maschio c'è una componente femminile e viceversa, nella
femmina c'è una componente maschile; maschile e femminile sarebbero
aspetti di percentuali aumentati o diminuiti dalla cultura (e quindi
principalmente dall’educazione) su una componente genetica data
(categoria).

Per orientarsi sulla complessità dello sviluppo
dell'identità di genere vengono forniti nella tabella di seguito i dati
riguardanti le età corrispondenti, grosso modo, a quelle delle tre
branche; la colonna centrale indica l'aspetta evolutivo considerato
mentre nella colonna di destra e di sinistra vengono prospettale,
rispettivamente, le differenze tra maschi e femmine.

L'idea generale della tabella parte dalla concezione che maschi e femmine abbiano due costruttie cioè due modelli mentali diversi e che pare siano presenti
indipendentemente dalle culture (ad esempio quella occidentale e quella
orientale) anche se l'ambiente valorizza o sottostima i due modelli
secondo le varie fasi storiche come è a tutti noto. L'importanza dei
fattori di correzione è tale che un costrutto di genere può essere
radicalmente velato dalla funzione sviluppata: in altre parole a
livello psichico potrebbe succedere quanto accade nell'allenamento di
alcune parti del corpo in determinato sport in cui i muscoli allenati
sono più evidenti rispetto a quelli che non lo sono. Deve segnalarsi
che le differenze soprasegnalate derivano dalle ricerche effettuate con
test proiettivi che documentano cosa si muove nel mondo interno e che
ritengo, pertanto, più fedeli nella documentazione di un concetto così
intimo ed astratto ma anche ambivalente e pericoloso come quello di
identità. Per il suddetto motivo l'uomo ha inventato, in mancanza di
una sufficiente capacità del linguaggio, ordini simbolici specifici e
che C.G. Jung ha creativamente riunito nell'immagine di "anima" (per
gli uomini) e di "animus" (per le donne) quale ricerca laboriosa ma
fedele della parte mancante. Gli educatori, soprattutto se dotati
d'intelligenza e capacità di osservazione, hanno la fortuna di poter
osservare come queste immagini mentali e rappresentative del costrutto
di genere si originano, si sviluppano e si consolidano.



Maschi


Dimensioni evolutive


Femmine


Costrutto
introflessivo: viene cioè riconosciuto al genere una attitudine
all’introversione e cioè all’attenzione per i fatti (fantasie,
immagini, rappresentazioni del mondo interno).


Per tutta la fascia d’età presa in considerazione (7-20 anni).


Costrutto relazionale: viene cioè riconosciuto al genere maggiore capacità di relazione.


Commento e
spiegazioni dei concetti più complicati e divaganti. Più persistenza di
tracce infantili dell’età precedente; affettività più disorganizzata.
Più sensibile e attento agli atteggiamenti degli altri.


Sette-otto anni:
maggiore interiorizzazione delle esperienze, tendenze affettive agli
estremi opposti, forti qualificazioni e cambiamenti di concetti.

Interesse per il soprannaturale e il magico.

Maggiore aggressività rispetto all’età precedente.


Maggiore attaccamento alle persone, maggiore capacità di generalizzazione. Maggiore aggressività ed espansività.


Maggiori
preoccupazioni circa lo stato di salute; maggiore ansia. Comparsa di
nuove emozioni suggerite dall’uso di parole come "umiliato",
"imbarazzato", ecc…

Maggiore adesione al pensiero comune.


Nove-dieci anni:
presenza di autosvalutazione o mancanza di fiducia in se stessi,
comparsa di ansie e umore variabilissimo. Tendenza all’opposizione e al
controllo dell’adulto.

Molto critico verso l’altro.

Tendenzialmente superstizioso.


Maggiori preoccupazioni per i dettagli, maggiore impulsività; maggiore tendenza al pensiero superstizioso.


Maggiori comportamenti non controllati, maggiore ansia


Undici anni:
aumento dell’antagonismo e dell’opposizione, tendenza ad essere
sgradevole e critico con gli altri. Basso grado di autocritica.
Comportamento stereotipato (cioè ripetitivo). Tendenza a continuare
all’infinito la conversazione con dettagli interminabili. Emozioni
espresse in maniera poco controllata.


Sono più mature e rivelano distacco dai dieci anni maggiore che nei maschi. Maggiore coinvolgimento nella relazione.


Minore oppositività nei confronti dell’adulto


Dodici anni: aumento dell’entusiasmo e della disponibilità a nuove esperienze; emozioni forti ma incontrollate e amorfe.

Intenso interesse per gli altri e grande interesse per il mangiare.

Maggiore concretezza.


Ulteriore
incremento delle capacità relazionali; maggiore interesse per l’aspetto
del corpo sia in quanto immagine che nelle sue funzioni.

Maggiore esuberanza


Maggiore evidenza dei dati di cui a destra. Presenza più evidente di conflitti (cioè di emozioni opposte).


Tredici anni:
diminuzione della relazionalità con diminuzione dell’entusiasmo
dell’età precedente, maggiore indifferenza, propensione
all’insoddisfazione; affettività in tono minore: tristezza ove presente
maggiormente evidente.


Minore evidenza dei dati di cui a sinistra; maggiore evidenza dell’attitudine alla riflessione


Maggiore espressione del pensiero teorico e astratto. Maggiore capacità critica verso gli altri


Quattordici anni:
è descritta come un’età in cui ci si appropria di sé con un incremento
dell’esuberanza e di energia grandi interessi dell’Io. Pensiero pratico
e dettagliato, più che in generale, teorico e astratto.


Migliore espressione dell’esuberanza.


Comparsa più
evidente della capacità di progettare. Maggiore presenza di conflitti,
difficoltà di adattamento e forti emozioni negative.


Quindici anni: situazione opposta all’età precedente; si traduce con una minore espressione intellettiva ed emotiva.


Minore espressione delle caratteristiche dell’età.


Maggiore direzione e sicurezza del Sé


Sedici-diciotto anni: uscita dalla "crisi" dei quindici anni; emozioni più approfondite, pulsioni più forti.

Il soggetto è più aperto e meno sfuggente; maggiore è l’adattamento
agli altri con accresciuta sensibilità e consapevolezza degli altri,
nonché preoccupazione per se stesso, per il proprio ruolo.


Maggiori fantasie ad occhi aperti come indizio di una capacità più plastica della rappresentazione delle relazioni.


Minore evidenza del costrutto del Sé


18 anni- prima fase dell’età adulta:i costrutti di personalità si sono stabilizzati; i cambiamenti sono al
servizio di una maggiore individuazione (cioè di caratteristiche
altamente personali ed uniche).


Maggiormente evidente il costrutto relazionale.


Fattori di correzione


L’estroversione
riduce il costrutto, l’introversione lo accentua. Lo sviluppo della
funzione dell’affetto lo riduce, lo sviluppo della funzione del
pensiero la accentua.


Sono legati alla tipologia di personalità, allo sviluppo di alcune funzioni piuttosto che altre.


L’estroversione
accentua il costrutto, l’introversione lo riduce. Lo sviluppo della
funzione dell’affetto l’accentua, lo sviluppo della funzione del
pensiero la riduce.


 

Salvatore Settineri

Professore associato di Psichiatria,

Dipartimento di Neuroscienze,

Università di Messina.

Da "Proposta educativa" 3/2003

Pubblicato in Problematiche Giovanili

Search