SCENARI DI REALTÀ GIOVANILI
· "Venite fuori, se ci siete!" · Una generazione invisibile? · Giovani
"contro", giovani "senza", o giovani "dentro"? Comunque, giovani
"ricchi", che cioè vivono spesso in uno scenario di ricchezza · Un’alleanza educativa per progettare, insieme, il futuro…
L’intervento del commissario europeo Mario Monti ha animato l’estate del 1998. Ecco le sue parole: "Vedo
che si parla di sciopero generale, ma io dico che se c’è uno sciopero
che sarebbe giustificato, dovrebbe essere lo sciopero generazionale.
Senza cambiamenti radicali i giovani di questo Paese andranno incontro
a un futuro con garanzie e speranze lontane da quelle di loro coetanei
europei". Strano, avrà forse pensato qualcuno, un esponente della generazione dei "vecchi" sollecita i giovani alla ribellione?
Una fotografia sfuocata
Fino a qualche tempo fa la tendenza era
quella di addomesticare le nuove leve: "dobbiamo farli stare buoni",
esortava un Preside di un Istituto superiore della mia città all’inizio
degli anni ’80, presentandomi le classi della sua scuola. Ora no. Li
provochiamo: "Venite fuori, se ci siete!". A noi piacerebbe avere una
fotografia nitida dei giovani, specie quando questi giovani sono i
nostri figli. Invece la fotografia è sfuocata. A volte non si riesce
neppure a scattare un fotogramma: scappano, si sottraggono ad ogni
indagine. Che rabbia!
* * *
Oggi, anche il genitore più sprovveduto non potrebbe
far proprie le parole che cent’anni fa Collodi metteva in bocca a
Geppetto per giustificare la sua voglia di un figlio: "ho pensato di
fabbricarmi da me un bel burattino di legno; un burattino meraviglioso,
che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali… Con
questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane
e un bicchiere di vino…". Già allora, quella semplicistica previsione
si trasformava in pinocchi, in una odissea tra generazioni che si
allontanano per poi ritrovarsi del tutto diverse dalle aspettativa
iniziali. Figuriamoci oggi. Basta pensare alle nostre attese davanti
alla culla in cui la sera adagiavamo i nostri figli: molto è cambiato
sia in noi che nella società intorno a noi.
Scioperare, perché mai?
Se scioperare significa "astenersi dal
lavoro" è chiaro come l’astensione proclamata dal professor Monti è
stata soprattutto uno stimolo alla riflessione sui temi del lavoro e
della previdenza. Da quell’intervento sono nati contributi che, da
diverse angolazioni, hanno analizzato questa "generazione invisibile"
(I. Diamanti). Abbiamo letto di "gioventù punita", di "eterni Peter
Pan", di "tribù di formiche", di "generazione senza"… Anche se per poco
tempo, i giovani sono stati all’attenzione dei mass media.
* * *
Scioperare significa anche esserci, agire contro
qualcuno o qualcosa, in una forte contrapposizione di interessi o di
valori. Ma i nostri figli –parliamo tra genitori ed educatori
occidentali- possono essere definiti "figli contro"? Non sono piuttosto
figli "nati per comprare", secondo un’espressione di Nadine Gordimer?
Da qualunque posizione ideologica li guardiamo, si può dire che i
giovani di fine millennio non sono nati per essere "contro". Sono
giovani che si ritrovano con molte possibilità fin dalla nascita:
studiano, si incontrano con coetanei di paesi lontani, hanno occasioni
molto più ampie rispetto a quelle di giovani di inizio secolo o anche
solo di cinquant’anni fa. Sono giovani "dentro". Spesso annoiati per le
troppe occasioni a disposizione e che godono, in prevalenza, di risorse
economiche rilevanti: giovani ricchi che partecipano al consumo di
ricchi genitori. Questi consumano 16 volte tanto rispetto ai genitori
dei paesi poveri…
Il "Rapporto sullo sviluppo dell’Umanità del1998"
del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite elenca i consumi dei
ricchi rispetto ai poveri del mondo.
Carne, 11 volte tanto.
Pesce, 7 volte tanto.
Carta, 77 volte tanto.
Linee telefoniche, 49 volte tanto.
Automobili. 145 volte tanto.
Energia, 17 volte tanto.
Consumo complessivo, 16 volte tanto, appunto.
* * *
I giovani italiani vivono in questo scenario di
ricchezza, anche se con en noti divari tra zone geografiche, specie tra
Nord e Sud. Sono poi cresciuti, in prevalenza, secondo la filosofia del
riscatto: "Mio figlio non deve patite quello che ho subìto io!". Gli
assetti economici e sociali del nostro paese sono profondamente
cambiati in 60 anni; basti ricordare il grande balzo in avanti compiuto
dall’economia italiana negli anni ’50 e ’60, con tassi di crescita del
reddito vicini al 6% pari a quelli della Germania e secondi solo al
Giappone: il cosiddetto "miracolo italiano", fatto di una felice
congiuntura internazionale, ma anche del tenace lavoro di tanti papà e
mamme che, impegnandosi anche il sabato e la domenica, sono riusciti a
conquistare un lavoro, la casa. Una posizione economica tranquilla. Il
tutto con una velocità mai registrata prima: ci dicono gli esperti che,
nel solo quindicennio 1948/1963, i consumi degli italiani sono
raddoppiati. E’ quello il periodo in cui le cucine all’americana
soppiantavano le madie, e il festival di Sanremo diventava l’argomento
principale nelle fabbriche e negli uffici.
* * *
Questo passaggio rapidissimo da una realtà agricole
ad un assetto post-industriale, giocato sul terziario avanzato che
spinge continuamente alla ricerca, al nuovo e alla mobilità, spiazza
soprattutto i grandi: "Ma come? Ho trovato un lavoro qui, vicino a
casa… Non è possibile che mio figlio debba trasferirsi per trovare uno
straccio di occupazione!". Se poniamo poi attenzione agli intrecci tre
stati, nazione ed etnie che si stanno verificando sentiamo quasi paura
ad "uscire di casa"… Di qui la prassi, non sempre necessitata, di
tenere a lungo i figli in casa, in attesa del posto "giusto". L’invito
del commissario Monti ha avuto il pregio di porre l’attenzione sul
ruolo che deve essere assicurato alla nuove generazioni in una società
che è profondamente cambiata; non possiamo fare dei nostri figli dei
"panchinari", né possiamo esserne i tutori a vita.
L’alleanza educativa
"… seguirono le pietruzze, che brillavano
come monete nuove di zecca e mostravano loro la via.
Camminarono tutta la notte
e allo spuntar del sole arrivarono alla casa paterna (…)
Quando sorse la luna, si alzarono,
ma non trovarono più neanche una briciola:
le avevano beccate i mille e mille uccellini
che volavano per campi e boschi (…)"
(Hansel e Gretel).
C’è , a volte, nei genitori, un conflitto: da un
lato la tentazione di abbandonare i propri ragazzi nel "bosco" della
vita e, dall’altro, il desiderio di esserne un eterno scudo. Càpita di
capire ben poco della confusione che si sente, e si vive, camminando
ogni giorno sulle strade. "Papà, vado al cinema con gli amici" - ci
avverte deciso nostro figlio adolescente. Le risposte possibili:
"Va bene";
"No, stai a casa";
"Che film è? Prima lo vediamo io e tua madre… leggeremo qualche recensione… Poi ne parleremo insieme e decideremo".
E’ quest’ultimo l’atteggiamento educante, dove
l’adulto svolge la sua funzione di aiuto e consente il passaggio ad un
gradino superiore del rapporto genitori/figli; da dispensatori di
servizi (l’abitazione, il cibo, gli svaghi…) ad alleati nell’elaborare
risposte alle domande della vita. Si comincia anche da qui a rimediare
al ritardi con cui i giovani sembrano affrontare gli snodi tipici della
vita rispetto al passato: l’uscita da casa, il lavoro, il matrimonio, i
figli (M. Livi Bacci).
Questa alleanza ha, ovviamente, anche un versante
politico per riportare ad un equilibrio fisiologico il rapporto tra le
generazioni: le politiche, giovanili, da più parti invocate, possono
aiutare in questa direzione, facilitando l’ingresso nel mondo del
lavoro e consentendo l’accesso al credito e alla casa.
* * *
Ciò che i nostri ragazzi reclamano, spesso con un
silenzio immusonito, è potersi confrontare con dei "grandi" credibili,
ovvero con adulti che non chiudono loro la bocca invocando un desueto
"principio d’autorità". Ma nemmeno si mettono a fare i "pari età". Se
ci interessano i giovani d’oggi non è solo per ottenerne un quadro
d’insieme per una "foto ricordo", ma per capirne le domande: le più
importanti sono quelle che chiedono motivazioni e storia agli
adulti. Vogliono infatti confrontarsi con gli stili, gli atteggiamenti
e i valori dei grandi. Reclamano di sapere dagli adulti la ragione
delle scelte, personali e sociali, che sono state compiute. Vogliono
essere aiutati a capire che cosa è accaduto prima di loro. Altrimenti
non avranno né sassolini né briciole da seguire. E senza un passato è
difficile progettare un futuro.
GIORGIO NOTARI
Avvocato - Direttore del Consultorio familiare e prematrimoniale
Diocesi di Reggio Emilia
(da "famiglia domani"2/99)SCRITTORI IN CATTEDRA RACCONTANO I GIOVANI
Chi lavora nella scuola vive a stretto contatto con bambini e ragazzi e osserva, da vicino, le difficoltà che questi hanno nel gestire il tempo libero. È la società che teme il "non far niente" e spinge a organizzare ogni singola giornata.
(Terza parte)
Proprio per "parcheggiare" i figli, in realtà metropolitane come quella di Collegno (To), sempre più famiglie scelgono il tempo prolungato: "Vedo quotidianamente dei bambini stressatissimi, che stanno a scuola dall'alba al tramonto, mentre a casa si limitano a cenare. Sono così abituati ad essere "gestiti" dagli adulti in ogni singolo momento della giornata, che all'intervallo sono allo sbando, perché quasi non sanno muoversi da soli".
Quella descritta da Pent è una realtà particolare o caso emblematico? A Reggio Emilia, dove hanno gli asili d'infanzia più belli del mondo, insegna Giuseppe Caliceti: "Temo che, se non è la norma, è comunque una situazione diffusa. I bambini non hanno occasione di compiere esperienze legate all'autonomia e quindi alla frustrazione nei rapporti. Non è giusto che ci sia sempre un regolatore, un giudice, un adulto che ogni volta appiani le difficoltà". Perché accade questo? " se è presente un adulto, il bambino è portato a fare cose che fanno piacere all'adulto. C'è una preoccupazione eccessiva da parte dei genitori, soprattutto di quelli italiani. In una realtà multietnica come è sempre più quella della mia città, constato che le mamme arabe, africane o sudamericane tendono ad assegnare più responsabilità ai bambini, sono meno apprensive, per esempio li mandano a scuola da soli".
Anche Caliceti punta l'indice contro il tempo prolungato: "Otto ore al giorno tra le mura scolastiche sono quasi peggio del lavoro minorile agli albori della rivoluzione industriale, anche se ovviamente oggi non si tratta di sfruttamento ma di formazione".
Infine, Beppe Sabaste, docente all'Università di Parigi, ma anche in un istituto d'arte a Parma, sostiene che il problema del tempo libero dei ragazzi va affrontato nell'ambito di un discorso più ampio sull'intera società: "In questo non c'è separazione tra giovani e adulti. La nostra è una società che ha paura del tempo morto, "disoccupato". Si ha timore di un tempo in cui tutto è possibile, anche non fare niente. La società in cui viviamo tende a riempire ossessivamente il tempo con cose organizzate. Per gli adulti è senz'altro così". E per i ragazzi? "Sono più ottimista. Incomincio a notare persone che si sottraggono a questa tendenza. Gli adulti sono più timorosi, ma tra i giovani ce ne sono molti che rifiutano l'equazione "tempo uguale consumi".
Mi sembra di assistere agli inizi di una grande liberazione, a una riappropriazione del tempo dopo la sua saturazione". Conosciamo bene Beppe Sebaste come un intellettuale sempre acuto e penetrante nelle sue analisi. Ci piace dunque concludere con una sua nota di speranza, che vede per protagonisti proprio i ragazzi.
Roberto Carnero
SCRITTORI IN CATTEDRA RACCONTANO I GIOVANI
Chi lavora nella scuola vive a stretto contatto con bambini e ragazzi e osserva, da vicino, le difficoltà che questi hanno nel gestire il tempo libero. È la società che teme il "non far niente" e spinge a organizzare ogni singola giornata.
(Seconda parte)
Alessandro Tamburini, che insegna in un istituto tecnico di Trento, parla di una sostanziale carenza di tempo libero: "Nei colloqui con i genitori noto come questi ragazzi non abbiano tempo per se stessi, essendo le loro giornate fittamente occupate dallo studio, dallo sport, da corsi di vario genere". Non esiste dunque alcuno spazio di libertà? "Forse la musica è un'attività scelta autonomamente, una delle poche davvero libere. Dico sia ascoltarla che farla, con gli amici, con gruppi che nascono a partire da un'autentica passione". Tamburini evidenzia poi un aspetto positivo della provincia: "I ragazzi che vengono dai paesi perdono molto tempo nel viaggio, ma guadagnano anche qualcosa, perché lì esiste un tempo libero legato al territorio, per esempio nel rapporto con la natura, che i loro compagni cittadini non conoscono".
Marco Lodoli, che insegna in un istituto superiore della Capitale, parla dell'incapacità dei ragazzi di stare soli: "Mi sembra che non sappiano vivere quei momenti di solitudine formativa così importanti per crescere. Affrontano la solitudine con angoscia. Non vogliono stare soli, e, quando capita, lo vivono come una condanna, non come una fortuna". In passato era diverso? "Credo di sì. Ricordo che da ragazzo avevo il piacere di chiudere la porta della mia stanza per viaggiare in spazi poetici e malinconici. Oggi quest'attitudine è scomparsa e al massimo viene vissuta come una sorta di domicilio coatto".
Ma non sarà un po' colpa dei genitori? Per Paola Mastrocola, insegnante alle superiori a Torino, è proprio così: "Sono gli adulti ad avere paura della noia dei propri figli. Di fronte alla frase di un figlio, "Mamma, non so cosa fare", noi adulti andiamo nel pallone. Se avessi la pazienza di aspettare mezz'ora, vedremmo che nostro figlio troverebbe qualcosa da fare. E sarebbe qualcosa di suo, di creato da lui". Per la Mastrocola questo atteggiamento distorto dei genitori emerge con tutta evidenza in vacanza: "Abbiamo l'abitudine di portare in vacanza con nostro figlio un suo amico. È una sorta di prevenzione della noia. Facciamo venire l'amico con cui litigherà. Non le sembra che tutto ciò sia piuttosto bizzarro?"
Allora come dovrebbero comportarsi i genitori? Carmine Abate, che insegna alle medie nei pressi di Trento, suggerisce la chiave della piacevolezza come criterio per orientare i pomeriggi dei ragazzi: "Non è sbagliato introdurre delle attività organizzate, l'importante è che siano i diretti interessati a sceglierle e che non siano invece un'imposizione da parte dei genitori".
Per Abate va poi riscoperta la dimensione dello stare insieme: "Nelle grosse città è sempre difficile, ma bisognerebbe recuperare tutta una serie di cose semplici, come il chiacchierare, l'andare a passeggio con gli amici, il giocare in maniera spontanea, mentre oggi anche il gioco è sempre più pilotato dagli adulti".
Questi problemi, in realtà, iniziano già alle elementari, come confermano alcuni scrittori "maestri". Per Fulvio Panzeri, insegnante in Brianza, sono i genitori che, per necessità o comodità, delegano ad altri l'amministrazione del tempo libero dei propri: "Così spesso vedo bambini che svolgono attività non corrispondenti alle loro attitudini né ai loro desideri, quasi come se fossero stati messi in una sorta di parcheggio. Una salvezza da questi tour de force di tempo non più libero sono i nonni, con i quali si rafforza il legame affettivo dei piccoli. Anche se il rischio è che diminuisca il dialogo con i genitori".
Roberto Carnero
SCRITTORI IN CATTEDRA RACCONTANO I GIOVANI
Chi lavora nella scuola vive a stretto contatto con bambini e ragazzi e osserva, da vicino, le difficoltà che questi hanno nel gestire il tempo libero. È la società che teme il "non far niente" e spinge a organizzare ogni singola giornata.
"Sono un’insegnante di scuola media e sto avendo l’impressione sempre più forte che si parli troppo poco degli abusi psicologici e della sottile violenza sui sentimenti nei confronti dei minori."
Formare le coscienze non è impresa di poco conto. Lo sanno molto bene gli educatori e i genitori che sono alle prese con adolescenti da orientare nella vita sociale e con giovani che sono alla ricerca di forti motivazioni esistenziali.
Rischio, trasgressione, sfida, gioco pericoloso, sembrano essere diventate le parole chiave per descrivere alcuni comportamenti degli adolescenti. L’adolescenza è un momento in cui il ragazzo desidera "rischiare". Ogni volta che si supera un’esperienza potenzialmente pericolosa, ci si sente potenti, accettati, infallibili.
Uno dei problemi emergenti che sembra caratterizzare il mondo dei giovani è quello della diffusione di comportamenti ‘pericolosi’ per se e per gli altri che fanno pensare a una vera e propria "cultura del rischio" che si manifesta nell’uso o abuso di alcool, spinelli, ecc.
IL PIANO PASTORALE PER LA FAMIGLIA Negli ultimi anni la Diocesi di Fermo ha posto al centro della riflessione pastorale la famiglia.
DIOCESI DI FERMO
Tale riflessione è stata sostenuta dalla convinzione che la famiglia, oltre ad essere oggetto di cure della comunità, è soggetto di pastorale in quanto agente di evangelizzazione, formazione e servizio, al suo interno, nella comunità cristiana e nella società civile.
Lo stimolo è pervenuto non solo dalla forte istanza di evangelizzazione che il papa sollecitava per il nuovo millennio, ma anche dall'invito del Sinodo Diocesano a riscoprire la dimensione teologica del matrimonio, a privilegiare l'aspetto formativo dei coniugi e degli animatori della pastorale familiare e a considerare la parrocchia, per la sua caratteristica territoriale ed il suo coordinamento con l'ufficio di pastorale familiare, il luogo privilegiato della crescita spirituale, morale e sociale delle famiglie.
In questo contesto di profonda riflessione si colloca il cammino che ha condotto la Diocesi alla realizzazione del Piano Pastorale per la famiglia. La Commissione che ha accompagnato questo percorso era composta da due sacerdoti e da coniugi impegnati ecclesialmente e con differenti competenze nel versante culturale, sociale e pastorale. Il metodo di lavoro adottato ha cercato di coinvolgere tutta la comunità ecclesiale, nelle sue concrete espressioni: diocesi, vicarie, parrocchie.
In ascolto della Chiesa locale: indagine ed obiettivi Il primo passo, dunque, è stato quello di mettersi in ascolto della Chiesa locale, organizzando incontri con i delegati di Vicaria per la pastorale familiare e con la Consulta delle aggregazioni laicali, per una prima verifica della situazione delle famiglie nel nostro territorio e per individuare eventuali piste da proporre.L'invio delle schede di verifica dell'esistente e di proposta ha contraddistinto il secondo momento. Esse hanno investito il problema a tutto campo a cominciare dall'educazione di adolescenti e giovani all'amore fino alla missione educati va della famiglia, alla sua testimonianza e al suo impegno nella Chiesa e nel mondo (la via dell' annuncio, la via della carità, la via della missione).
Gli obiettivi erano dichiarati nella seconda parte di ogni scheda: anzitutto aiutare la parrocchia a valutare il proprio impegno nei vari settori della pastorale familiare, per individuare carenze e realtà positive; in secondo luogo, si voleva dare alla parrocchia la possibilità di formulare richieste concrete alla Vicaria e alla Diocesi, per essere sostenuta ed aiutata nella sua missione nei confronti delle famiglie.
L'analisi delle risposte e la formulazione del Piano Le osservazioni pervenute sono divenute oggetto di riflessione sia per la Commissione che per il Consiglio Pastorale Diocesano. Quest'ultimo dopo un'attenta lettura ha riconsegnato il lavoro alla Commissione che ha cercato di riunire in un unico documento i contributi, ristrutturandoli, dove necessario, secondo lo schema: «Soggetti», «Contenuti» e «Metodo». La prima via è quella dell'evangelizzazione in cui la famiglia è oggetto di attenzione: educazione all'amore, incontri per fidanzati, incontri per genitori e famiglie e i gruppi famiglia. La seconda via è quella della carità in cui la famiglia contemporaneamente è oggetto e soggetto di carità: servizi e so=stegni alle famiglie e nuove forme di condivisione.
L'obiettivo del Piano Pastorale è stato quello di tracciare alcune linee-guida che, pur rispettando i diversi cammini e contesti, possano aiutare a sentirsi parte di una Diocesi.
Il Piano pastorale sulla famiglia, dunque, non si è posto come un'iniziativa da aggiungere ad altre iniziative e neanche come una proposta confezionata e pronta all'uso, ma come obiettivo per aiutare la Diocesi ad attuare una conversione pastorale: dalla famiglia oggetto alla famiglia come soggetto, dalla parrocchia come insieme di persone alla parrocchia come famiglia di famiglie, dalla famiglia come settore alla famiglia che taglia trasversalmente tutto l'impegno pastorale e dall'attenzione alle famiglie praticanti al coinvolgimento di quest'ultime nella missione. Non vedere solo la famiglia come problema ma come risorsa e far di essa il centro unificatore della pastorale parrocchiale.
Anche l'organizzazione metodologica delle stesse schede è coerente con tale impostazione.
La terza via è quella della missione in cui la famiglia diviene soggetto di pastorale: l'educazione alla fede, la partecipazione alla vita della Chiesa, la partecipazione alla vita della società.
In questo contesto il Piano pastorale per la famiglia ha cercato di fare proposte nei vari ambiti.
Il primo dato emergente è che accanto alla preparazione immediata al matrimonio è necessario avviare una preparazione remota che aiuti i giovani a riscoprire i valori insiti nella corporeità, sessualità e affettività. Questo tipo di preparazione deve essere trasversale ad ogni cammino formativo e deve ispirare ogni tentativo di primo annuncio della Chiesa. In questo cammino si ritiene necessaria la presenza di adulti e di giovani coppie e non solo di giovani come educatori.
Per quanto riguarda la preparazione immediata al matrimonio si auspica la presenza di coppie di sposi che insieme al parroco si assumano l'impegno di accompagnare i fidanzati nella scoperta del «Sacramento del matrimonio». A livello metodologico, si ritiene opportuno dare unitarietà ai contenuti, partendo dalla dimensione antropologica per arrivare a quella di fede e passare da uno stile cattedratico ad un confronto di coppia e nel gruppo. Si indica, infine, un minimo di dodici incontri indispensabili per un cammino serio d'iniziazione al matrimonio.
La promozione dei gruppi famiglia è motivata dall' importanza della famiglia sia come oggetto che soggetto primario della pastorale. Date le diverse metodologie a cui i gruppi esistenti fanno riferimento, si ritiene necessario un vaglio critico per indicare, nella legittimità delle diverse impostazioni, alcuni punti fermi. È necessario, inoltre, far comprendere che i gruppi-famiglia sono un momento di apertura alla vita parrocchiale e comunitaria, uno stimolo al servizio pastorale della Chiesa e all'impegno nella società civile, evitando in questo modo il pericolo che essi rimangano un fattore isolato di un piccolo gruppo di coppie diventate amiche.
Circa il metodo diventa prioritario non perdere mai di vista che si tratta di un gruppo famiglie, non di semplici adulti, con l'eventuale presenza di figli. Secondo requisito per una metodologia adeguata è che ci sia spazio, in ogni incontro, oltre alla presentazione di una tematica illuminata dalla parola di Dio, per il lavoro di coppia.
Per quanto riguarda gli incontri per genitori i destinatari sono entrambi i genitori. Essi divengono i primi e principali educatori dei figli nella fede, compito che scaturisce dal Sacramento del matrimonio e diviene vero e proprio ministero, un servizio educativo per aiutare i figli nella loro crescita umana e cristiana. A partire dai sacramenti dell'iniziazione cristiana dei figli (Battesimo, Eucaristia, Confermazione) si è ritenuto opportuno tracciare un itinerario che si proponga tre obiettivi: partire dalla realtà che vive il matrimonio e la famiglia; annunciare l'amore di Dio che, attraverso la luce e la sapienza del Vangelo, illumina e sostiene la realtà del matrimonio e della famiglia affinché possa meglio realizzare la propria vocazione di comunità di grazia, amore e servizio alla vita; suggerire modi concreti di testimonianza cristiana che tengano presenti i risvolti etici personali e comunitari della fede e la missione educati va dei genitori cristiani.
L'indicazione di linee guida per servizi e sostegni alle famiglie e alle nuove forme di condivisione familiare ha voluto perseguire tre obiettivi: coinvolgimento delle singole famiglie per creare un rapporto di reciprocità; corresponsabilità nelle Comunità Parrocchiali; collaborazione tra parrocchie vicine. In questa prospettiva la famiglia non è solo oggetto di intervento ma anche protagonista possibile del superamento del disagio che vive e delle difficoltà in cui si trovano le famiglie in crisi: separati, divorziati, divorziati risposati, famiglie extracomunitarie, famiglie con disabili gravi, ecc. Data l'importanza e la serietà dei problemi da affrontare si invita la parrocchia ad educare adeguatamente i collaboratori pastorali per conoscere più in profondità ogni problematica, in tutti i suoi risvolti: ecclesiali, sociali, psicologici, umani, relazionali. I collaboratori, pur chiamati ad affermare con chiarezza e coraggio i principi della fede nella fedeltà della dottrina e della tradizione della Chiesa, debbono mettere in atto nuove forme di accoglienza, ascolto, dialogo e apostolato. Le linee-guida per l'educazione alla fede nella famiglia partono da due fattori concomitanti: il compito di trasmissione del Vangelo e di educazione alla fede nei confronti delle nuove generazioni che è prevalentemente affidato ai catechisti e al sacerdote (atteggiamento di delega); le forme abituali di trasmissione che sono improntate per lo più sul colloquio occasionale e sulla testimonianza personale (i momenti espliciti di formazione sono poco ricercati, la preghiera in famiglia è molto rara).
Di conseguenza la comunità parrocchiale dovrebbe svolgere una sensibilizzazione maggiore nei confronti dei genitori proponendo itinerari che aiutino quest'ultimi a vivere il Vangelo in maniera libera e matura, a favorire un incontro personale con Gesù Cristo, a stimolare la preghiera e la partecipazione alla vita della Chiesa, ad approfondire l'annuncio della Rivelazione, ecc.
A tal proposito diviene indispensabile che si formi in ogni parrocchia un' équipe familiare, composta da coppie disponibili e competenti, che abbia come compito quello di sensibilizzare le altre famiglie, di promuovere e coordinare iniziative formative specifiche.
Per quanto riguarda la famiglia soggetto missionario nella Chiesa attualmente il servizio svolto, sembra essere prevalentemente di tipo operativo, catechetico, liturgico o caritativo. È necessario, quindi, recuperare la ministerialità della famiglia formando una équipe di famiglie animatrici che dovrebbero caratterizzarsi oltre che per i contenuti, soprattutto per il metodo di lavoro. La parrocchia dovrebbe diventare il luogo in cui si creano occasioni d'incontro e dialogo vero. I movimenti, le associazioni, i cammini di fede possono essere una risorsa educativa per le famiglie. C'è bisogno di una maggiore collaborazione tra famiglie, sfruttando momenti importanti come: centri di ascolto, iniziative periodiche di incontro e preghiera, mese di maggio, ecc...
Infine, perché questo impegno missionario sia assunto in modo sempre più autentico e proficuo, si avverte la necessità di promuovere iniziative specifiche per coppie, prestando particolare attenzione ai temi della vocazione e spiritualità coniugale.
Le linee guida per la famiglia missionaria nel mondo, partono dall'urgenza di un coinvolgimento maggiore della famiglia nell'impegno sociale e politico. Troppo spesso si hanno individui singoli che agiscono a livello personale. È importante che la pastorale della famiglia in ambito socio-economico-politico sia inserita nel contesto più generale della pastorale sociale e collegata con le attività della Caritas parrocchiale e diocesana e di associazioni e movimenti che hanno particolari attenzioni alle dinamiche sociali. Il criterio orientativo è quello di fare le cose insieme.
Luca e PatriziaTosoni
Il tema è: tagliare il cordone ombelicale, acquisire quella necessaria autonomia per camminare da soli · Riguarda principalmente il rapporto tra genitori e figli, ma non solo: anche il rapporto tra coppie “mature” e coppie giovani, tre maestro e allievo e – perché no?- tra Gerarchia e “fedeli”. · Il cammino psicologico, personale e familiare, per giungere a questa consapevolezza ·Per dare libero spazio alla vocazione di ciascuno.