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Sabato, 19 Giugno 2004 13:13

17. La liturgia: tappa verso il cielo (Ildebrando Scicolone)

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Il cielo è ancora è reso presente, quando ci dichiariamo "in comunione con la Beata Vergine Maria, S. Giuseppe, gli Apostoli, i Martiri e tutti i Santi"…

e preghiamo "di essere ammessi alla loro sorte beata, non per i nostri meriti, ma per la ricchezza del tuo perdono". In questa comunione, ricordiamo anche i nostri defunti: essi sono già santi, anche se hanno bisogno delle nostre preghiere, ma sono sempre le "anime sante del Purgatorio". La comunione dei Santi si esprime chiaramente in questo "Communicantes". La Chiesa del Cielo, la Chiesa del Purgatorio, e la Chiesa terrestre sono in comunione. Noi, ancora pellegrini, siamo i più lontani dal compimento della salvezza, ma ad essa ci prepariamo, proprio attraverso questa pregustazione sacramentale.

La tensione escatologica della celebrazione eucaristica arriva al suo culmine in quella esclamazione, con cui si conclude l’embolismo del Padre nostro (la preghiera che sviluppa l’ultima petizione del Pater): Nell’attesa che si compia la beata speranza che venga il nostro Salvatore Gesù Cristo. Non so per quanti cristiani, la vita dopo la morte sia una "beata speranza". Se facciamo nostra questa esclamazione, siamo fortemente provocati a rafforzare la nostra fede, e a conformare ad essa la nostra vita presente. Questa infatti ha senso, proprio perché ha una direzione e una meta: la nostra patria è in cielo, da dove attendiamo il nostro salvatore Gesù Cristo. Senza questa "beata" speranza, che senso ha la vita dell’uomo sulla terra? Ha senso vivere per morire? La risurrezione di Cristo, con cui sono stati inaugurati "i cieli nuovi e la terra nuova" ha risolto il "problema" della morte, proprio con la "beata speranza" della risurrezione.

L’Eucaristia domenicale è quindi quella "sosta che ci rinfranca nella fatica" quotidiana. Mentre noi arranchiamo in salita verso la santa montagna, la celebrazione eucaristica ci fa sostare, mangiare di quel pane che, come ad Elia, ci dà la forza di camminare verso il monte di Dio.

La dimensione escatologica, come è essenziale alla vita cristiana (anzi alla vita umana), così è essenziale alla liturgia. Non avrebbe senso celebrare dei riti, che non ci aiutino a realizzare il compimento della nostra storia.

Nel momento poi della comunione siamo già chiamati "beati", quando ci si dice: "Beati gli invitati alla cena del Signore". Per la verità, il testo latino è più esplicito, in direzione escatologica, perché dice: "Beati gli invitati alla cena dell’Agnello", rimandando con questo termine, direttamente all’Apocalisse, dove peraltro di dice ancora più chiaramente: "Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’Agnello" (Apoc. 19, 9). Da questo testo dell’ultimo libro della Bibbia, possiamo ben capire che ogni volta che nominiamo l’Agnello, il nostro pensiero deve correre a quel trono dove sta l’Agnello, ritto come immolato (cfr Apoc 5,6). E quante volte, nella Messa, pronunciamo la parola "Agnello"? (Tra parentesi, ricordo ancora una volta che non si può comprendere la celebrazione, senza una buona catechesi biblica!).

E, per concludere, accenno a quella grande quantità di preghiere "dopo la comunione" che chiedono per noi, di "passare da questa mensa che ci sostiene nel cammino al banchetto celeste".

Non serve forse l’Eucaristia terrestre a procurarci quelle veste nuziale che ci permetterà di partecipare alla festa di nozze del Figlio del Re?

Ildebrando Scicolone

 

Letto 3999 volte Ultima modifica il Mercoledì, 16 Novembre 2011 19:36

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