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Sabato, 19 Giugno 2004 14:11

4. L'annuncio a Maria (P. Alberto Valentini)

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L'ANNUNCIO A MARIA


di Padre Alberto Valentini


       


 


Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: <<Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te>>. A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: <<Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine>>.
Allora Maria disse all'angelo: <<Come è possibile? Non conosco uomo>>. Le rispose l'angelo: <<Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio.
Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio>>.
Allora Maria disse: <<Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto>>. E l'angelo partì da lei.
(Lc. 1, 26-38).


A questo brano fondamentale della Rivelazione neotestamentaria - l'evangelo annunciato a Maria - attingono, da quasi duemila anni, la riflessione dei teologi e la pietà dei santi, la contemplazione degli artisti, la meditazione e lo stupore dei credenti.


Oggetto di innumerevoli commenti, in ogni epoca, il testo non ha certo esaurito le sue potenzialità, ma cela ancora notevoli ricchezze che attendono di essere esplorate.


In tempi recenti, sullo slancio di nuovi metodi letterari ed approcci ermeneutici, si sono proposte diverse interpretazioni di Lc 1,26-38(1); ma proprio tale varietà di prospettive rivela l'inadeguatezza dei singoli procedimenti e la necessità di una lettura sinfonica, sempre aperta a ulteriore intelligenza del testo.


Ci è sembrato opportuno ritornare direttamente al testo lucano, sottolineando alcuni aspetti di particolare interesse.


La prima osservazione che si impone a proposito di Lc 1,26-38 - come in genere per i racconti


NOTE


(1) A questo proposito si veda in particolare la rassegna precisa e sintetica di B. PRETE, Il genere letterario di Lc 1,26-38, in Ricerche storico bibliche 4 (1992) 55-80.



La prima osservazione che si impone a proposito di Lc 1,26-38 - come in genere per i racconti dell'infanzia sia di Matteo che di Luca - è che si tratta di un brano eminentemente cristologico: tutto in esso è finalizzato al mistero di Gesù figlio di Davide e Figlio di Dio. Solo in questa luce, all'interno di questo disegno, c'è spazio per la figura di Maria e per una riflessione su di lei, a livello di tradizioni preevangeliche, di redazione lucana e di interpretazione teologica. Per conseguenza, quelle letture che insistono unilateralmente sul genere di vocazione, di missione o altro, con riferimento quasi esclusivo alla figura di Maria, non si pongono in una prospettiva felice per la comprensione globale del testo. "Quanto più ci si rende conto che Lc 1,26-38 è una narrazione cristologica, tanto più si comprende che nel testo sono presenti anche asserzioni mariologiche. In tal modo, con pochi tratti - mediante un uso magistrale dell'arte di omettere ciò che non è essenziale - ...viene delineata un'immagine insondabile di Maria" (2).


Come d'abitudine, Luca è molto attento all'organizzazione del testo e alla sua delimitazione, all'interno di un disegno più ampio e di una struttura visibilmente elaborata.


Il nostro brano è compreso tra un invio-ingresso (vv. 26.28) e una partenza (v. 38b) (3). L'intera pericope è posta pertanto sotto il segno di una missione da parte di Dio e di un ritorno a Lui. La Parola, uscita dalla sua bocca, non torna indietro senza aver compiuto ciò per cui è stata inviata (cf Is 55,11).


NOTE


(2) H. SCHÜRMANN, Il Vangelo di Luca, Brescia 1983, 130.
(3) In Luca ricorrono diversi motivi-ritornello per delimitare le pericopi. Il motivo della partenza, in particolare, si trova a conclusione di ben sei episodi su sette (1,23.38.56; 2,20; cf 2,43.51).



   


L'angelo del Signore si trova all'inizio e alla fine della pericope: è lui che, inviato da Dio, entra dalla Vergine Maria, ed è lui che, compiuta la sua missione, ritorna da Colui che l'ha inviato. Il punto di riferimento della sua azione è la Vergine di Nazaret, alla quale è destinato l'annuncio; il contenuto del messaggio, ovviamente, è la nascita di Cristo Signore e, in connessione, la maternità divina della Vergine.


Gabriele è l'angelo che sta al cospetto di Dio e viene inviato per comunicare i disegni divini e recare lieti annunzi (cf Lc 1,19). Nell'Antico Testamento egli è presentato in rapporto col compimento delle promesse messianiche (cf Dn 9,21-27), che nella pienezza dei tempi si realizzeranno in maniera piena e definitiva.


Nell'annuncio a Zaccaria il messaggero celeste si sposta dalla presenza di Dio al tempio di Gerusalemme, luogo terreno della dimora divina, nell'ora solenne dell'incenso, mentre tutta la moltitudine all'esterno è raccolta in preghiera: non si dà in terra luogo più santo del tempio di Dio né momento più ieratico!



L'annuncio a Maria è presentato in maniera totalmente diversa: non avviene nel santuario, neppure in Gerusalemme o in Giudea, ma in una terra di confine, semipagana e deprezzata (cf Gv 7,41.52), nella "Galilea delle genti", tra un "popolo che camminava nelle tenebre..." (cf Mt 4,12-16; Is 9,1); non si svolge in un capoluogo o città illustre, ma nell'oscuro villaggio di Nazaret (cf Gv 1,46), che l'Antico Testamento non menziona mai. L'angelo non appare a un sacerdote anziano e neppure a un uomo, ma a una donna, anzi a una sconosciuta fanciulla, vergine, in condizione di radicale povertà. Il vino nuovo degli eventi escatologici infrange ormai schemi e criteri collaudati, sconvolge gerarchie ritenute irreversibili e tradizioni pesantemente inveterate. Fin dall'annunciazione si manifesta quel "renversement de situation" che caratterizza tutta la logica neotestamentaria, e che Luca - evangelista dei poveri - sottolinea con insistenza ed originalità, come nel cantico della Vergine (cf 1,48.52-53).


Di Zaccaria ed Elisabetta si ricorda - oltre la comune provenienza da famiglie sacerdotali - la pietà genuina, la rettitudine di vita secondo i canoni della religiosità tradizionale; se ne evidenzia la sterilità e la vecchiaia, che non impediranno, tuttavia, di portare frutto; ma ciò rimane nell'ambito di esperienze veterotestamentarie, a partire da Abramo e Sara, e non reca ancora i segni della novità evangelica: la Legge e i Profeti fino a Giovanni (cf Lc 16,16).


Di Maria si mette in luce - insieme con la "laicità femminile" e la marginalità, non solo geografica - la freschezza della condizione verginale, aperta alle misteriose potenzialità dello Spirito. In lei si manifesta in maniera tipica la povertà della condizione umana e l'esuberante potenza della grazia di Dio. Il ponte che collega le opposte sponde della sua taeinwsiV e delle grandi cose operate in lei dal Signore, è costituito dal casato davidico - cui appartiene Giuseppe suo sposo - dal quale sorgerà il Messia d'Israele. Tutto poggia, dal punto di vista umano, sulla dinastia di Davide secondo la promessa; ma il compimento supererà ampiamente gli annunci messianici e le speranze d'Israele.



Gabriele si manifesta a Zaccaria come messaggero di liete notizie (1, 19): gli annuncia la nascita di un figlio che procurerà gioia e allegrezza a lui e a molti (cf 1,14). Su tale sfondo, in maniera parallela, la prima parola rivolta alla vergine Maria (Kaire)non può essere un semplice saluto, ma un pressante invito alla gioia: sta per sorgere "un sole dall'Alto" e "Dio viene a visitare e redimere il suo popolo" (cf 1,78.68). Lo stesso messaggio risuona all'inizio dei cantici dell'infanzia (1,46s.68), nell'annuncio ai pastori (2,11), nella lode della schiera celeste (2,13), nelle voci festanti di coloro che hanno visto e udito (2,20). L'esultanza per la salvezza di Cristo Signore che pervade tutta l'opera lucana, esplode con particolare intensità nel vangelo dell'infanzia (cf 1,46s.68; 2,11.13.20...).


Il parallelismo più diretto per il nostro testo è da ricercare in un'altra annunciazione, quella ai pastori, ai quali l'angelo comunica una grande gioia (euaggelisomai umin caran megalh n) (2,10). L'oggetto del messaggio, dal quale scaturisce l'incontenibile esultanza per tutto il popolo, è il medesimo dell'annunciazione a Maria (anche se i verbi non sono più al futuro, ma al passato): la nascita del Messia davidico, Cristo Signore: (etecqh umin shmeron swthr os estin Cristos kurios en polei Dauid) (2.11).


La nota gioiosa è suggerita anche dallo sfondo veterotestamentario delle parole rivolte a Maria, che echeggiano gli annunci escatologici concernenti la figlia di Sion, in particolare il testo di Sof 3,14-17 (cf anche Zc 9,9; GI 2,21): "Gioisci, figlia di Sion, / esulta, Israele, / e rallegrati con tutto il cuore, / figlia di Gerusalemme!... / Il Signore tuo Dio in mezzo a te / è un salvatore potente..." . I contatti sono notevoli: si ha l'impressione di una rilettura intenzionale dei testi profetici, ovviamente con attualizzazioni neotestamentarie (cf vv. 32.35). La figlia di Sion non è più un simbolo o una personificazione astratta del popolo, ma assume il volto concreto della Vergine di Nazaret: "...con lei, eccelsa figlia di Sion, dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura una nuova economia, quando il Figlio di Dio assunse da lei la natura umana..." (LG 55).



Al saluto gioioso segue l'appellativo kecaritwmenh: un nome nuovo, che designa ormai la personalità della Vergine davanti a Dio e di fronte al mondo. Sul significato di questo titolo, oggetto di assidua ricerca fino ai nostri giorni, non è il caso di indugiare, anche perché una sintesi aggiornata ed esemplare si trova nelle pagine di questo volume a firma di Mario Cimosa. Osserviamo semplicemente che si tratta del primo appellativo attribuito alla Vergine, alla luce del quale devono essere intesi e spiegati tutti gli altri. Il termine, raro nella Scrittura (si trova solo in Si 18,17 ed Ef 1,6), è imparentato con caari, che nel LXX indica il favore del re (1 Sam 16,22; 2Sam 14,22;16,4; 1Re 11,19; Est 2,17; 5,8; 7,3; 8,5...) ed anche l'affetto dell'Amato (Ct 8, 10).


Il titolo viene commentato dall'espressione seguente dell'angelo: "... hai trovato carin davanti a Dio" (v. 30): si tratta di una benevolenza in vista della missione - vale a dire, della maternità divina -, ma che incide profondamente sulla persona cui tale benevolenza è destinata.


Il saluto è da intendere secondo il genere letterario degli annunci: un parallelo importante si trova in Dn 9,23, ove il medesimo Gabriele così si rivolge a Daniele: "Fin dall'inizio delle tue suppliche è uscita una parola e io sono venuto per annunziartela, poiché tu sei un uomo prediletto ". Illuminanti sono anche le parole che l'angelo indirizza a Gedeone: "Il Signore è con te, eroe valoroso... ; va' con questa tua forza e salva Israele" (Gdc 6,12.14). Similmente, il titolo di kecaritwmenh anticipa il contenuto del messaggio e prepara la Vergine alla dignità di madre del Messia Figlio di Dio.


"Il Signore è con te", espressione fondamentale della teologia dell'alleanza, garantisce la presenza e la protezione del Signore, senza di che la missione ricevuta risulterebbe del tutto impossibile.



Maria che alla visione dell'angelo non aveva mostrato alcun timore, a differenza di Zaccaria - il quale etaracqh... idwn (1,12) - si spaventò grandemente per la parola (epi tw logw dietaracqh) che le veniva rivolta.


Tale reazione della Vergine offre all'angelo l'occasione di esporre con chiarezza il suo messaggio.


Le parole dei vv. 31-33, pur presentando affinità con quelle dette a Zaccaria (vv. 13.15-17), rivelano tratti ben diversi che collocano l'annuncio a Maria in una sfera unica. Sulla scorta della profezia di Is 7,14, esse evidenziano anzitutto il compito della madre, e subito dopo la natura messianico-davidica del bambino, con l'affermazione della sua perenne regalità sulla casa di Giacobbe.


La missione di Maria è presentata nel v. 31 mediante tre verbi di cui ella è soggetto esclusivo: concepirai-partorirai-chiamerai. Se i primi due verbi si coniugano ovviamente al femminile, l'imposizione del nome non è di per sé compito materno. Diversamente da Lc 1,13 (cf Mt 1,21), è lei che attribuisce il nome (come in Is 7,14 TM): l'averlo sottolineato è un discreto accenno alla maternità verginale.


Il nome da dare al bambino è Gesù. Luca - a differenza di Mt 1,21- non ne spiega subito il significato salvifico: lo farà più tardi, in particolare nell'annuncio ai pastori (2,11) e nei cantici di Zaccaria (1,69.71) e Simeone (2,30). Il v. 31, che presenta la maternità messianica, è formulato sulla falsariga dell'oracolo dell'Emmanuele (Is 7,14). Luca tuttavia, secondo il suo stile, non cita la fonte veterotestamentaria né riferisce il nome di Emmanuele, a differenza di Matteo (1,22-23) che ripropone esplicitamente- l'oracolo isaiano ed enfatizza il senso ("Dio con noi") di quel nome che nel primo angelo riveste particolare importanza, assolvendo anche ad una funzione strutturante e inclusiva (cf Mt 28,20).



I vv. 32-33, sempre partendo da annunci veterotestamentari (4), presentano in maniera più dettagliata la figura del Messia davidico. Il confronto con il precursore (1,15ss) fa emergere la singolare grandezza ed unicità del figlio della Vergine, il quale "sarà grande" in assoluto e verrà chiamato "figlio dell'Altissimo". Questo titolo non indica la divinità: è l'appellativo classico del re davidico, come appare in 2Sam 7,14; Sal 2,7; 89,27. Il vocabolo Altissimo, abituale nell'ellenismo e nei LXX per designare Dio, nel Nuovo Testamento ricorre quasi esclusivamente in Luca. Le formule "figlio di Dio" o "figlio dell'Altissimo" (5), applicate al re, indicano la vicinanza e la particolare protezione del Dio dell'alleanza sulla sua persona e sulle sue imprese.


Il seguito della descrizione presenta la regalità davidico-messianica del nascituro, sempre sullo sfondo dell'oracolo di Natan (cf 2Sam 7,14): il Signore lo porrà sul trono di Davide e garantirà in perpetuo la stabilità del suo regno sulla casa di Giacobbe.


Come si vede, non è ancora espressa la divinità dei bambino né l'universalità del suo dominio che in seguito sarà proclamata da Simeone (2,32). Il messaggio angelico non è dunque ancora completo: sarà approfondito ed esplicitato nel v. 35. A tale chiarimento è finalizzata l'interrogazione di Maria (v. 34), che si frappone alle parole dell'angelo.


NOTE


(4) Cf 2Sam 7,12-15; Ger 23,5; 33,15; Zc 3,8; 6,2; Is 11,10.
(5) Lc 1,33.35.76; 6,35.8.28: At 7.48:16.17 e Mc 5,7; Eb 7.1.



L'affinità tra la domanda della Vergine e l'obiezione di Zaccaria (1,18) è solo apparente. In realtà l'atteggiamento dei due personaggi è radicalmente diverso, come risulta - non solo dal fiat di Maria (v. 38), proclamata beata per la sua fede (v. 45), a differenza di Zaccaria punito per la sua incredulità - ma dal tenore e dall'oggetto delle due domande. Mentre il sacerdote alle parole di Gabriele, che hanno già rivelato l'evento, obietta con scetticismo: "da che cosa saprò questo?", Maria non mette in discussione la verità del messaggio, ma semplicemente interroga circa il modo del suo compimento:


"come sarà questo?" Nell'economia del racconto la domanda della Vergine è strategica: serve a introdurre una rivelazione più piena del mistero di Gesù e ad esplicitare il senso e la modalità della sua particolarissima condizione di madre-vergine. Ciò che avviene puntualmente nella risposta dell'angelo (v. 35).


Mentre nel v. 31 si sottolineava l'opera della madre nella generazione del bambino, nel v. 35 è in primo piano l'azione dello, Spirito-Potenza dellAltissimo, il quale interverrà sulla Vergine: "per questo Colui che nascerà sarà chiamato "santo" (6), Figlio di Dio".


NOTE


(6) Qui non è più la madre - a differenza del v. 31 – a dare il nome. Si noti in parallelo il kalesousin di Mt l,23: lo "chiameranno" Emmanuele, con trasformazione del testo masoretico di Isaia che presenta "lo chiamerai" attribuito alla madre dell'Emmanuele.



L'enunciato cristologico dei vv. 32s, con la sua escatologia veterotestamentario-giudaica dell'al di qua, resta inferiore nei confronti di quella dei vv. 35s, dove per di più il titolo di Figlio di Dio viene inteso in senso profondo. Tra i due enunciati è innegabile una differenza di contenuto" (7).


Le proposizioni del v. 35 presentano un evidente parallelismo progressivo:



"Lo Spirito Santo verrà su di te
e la Potenza dell'Altissimo ti adombrerà;
per questo Colui che nascerà sarà chiamato santo, Figlio di Dio".


Si tratta di espressioni parallele, dense di simbolismo e di allusioni bibliche: Spirito santo e Potenza dell'Altissimo sono locuzioni sinonime (cf At 10,38), evocanti lo Pneuma creatore aleggiante sulle acque primordiali del caos (Gen 1,2) e atteso la fine dei tempi, nel futuro escatologico, come forza proveniente dall'alto (cf Is 32,15) (8).La Potenza dell'Altissimo adombrerà la Vergine, come la nube che conteneva la šekînâ (cf Es 40,34; Nm 9,18.22; 10,34), vale a dire, la presenza efficace di Dio in mezzo al suo popolo. Ad opera dello Spirito del Signore e della sua Potenza si realizza dunque una nuova creazione: il bambino che nascerà sarà non solo di nome (9), ma in realtà e totalmente "santo", Figlio di Dio. Del figlio di Zaccaria, si era detto che sarebbe stato ripieno di Spirito santo fin dal seno materno (1,15), come altri personaggi dell'Antico Testamento, non che sarebbe stato generato per opera dello Spirito. Non solo, ma il v. 35 presenta una novità assoluta, al di là delle attese d'Israele: lo Spirito discenderà non sul Messia, ma sulla madre vergine, rendendo in tal modo santa la radice e il germoglio che da essa spunterà.


Certo, anche il v. 35 è espresso con terminologia tradizionale, dal momento che la cristologia neotestamentaria si è sviluppata alla luce degli annunci e delle attese messianiche. Il linguaggio che Luca adopera nel v. 35 è infatti in relazione con la presentazione del Messia davidico nei vv. 32-33. Si notino in merito anche delle affinità stilistiche e un certo parallelismo:



- v. 32 "egli sarà grande" / "sarà chiamato figlio dell'Altissimo"
- v. 35 "sarà chiamato santo " / "Figlio di Dio".


Nel v. 32 la condizione di figlio dell'Altissimo è in relazione con l'intronizzazione messianica di Gesù; nel v. 35 la figliolanza divina è legata alla sua nascita, per opera dello Spirito, dalla Vergine.


Il v. 35 presenta dunque diversi contatti con i vv. 32-33, ma in realtà, in quei versetti, non è possibile trovare un vero precedente. La rivelazione del v. 35 è spiegabile a partire dalle prime formulazioni cristologiche neotestamentarie, fondate sulla risurrezione di Cristo. Si pensi, in particolare, a Sal 2,7 ("Tu sei mio figlio; oggi ti ho generato") e Sal 110,1 ("Siedi alla mia destra"), applicati rispettivamente alla risurrezione di Cristo (cf At 1 3,32s; 2,32-36).


NOTE


(7) H. SCHÜRMANN, op. c.,142.
(8) Espressione ripresa anche in Lc 24,49 e At 1,8, in contesto pentecostale, accostando significativamente la venuta dello Spirito-Potenza dall'alto su Maria (Lc1,35), per la generazione del Figlio di Dio, alla nascita della comunità ecclesiale a Pentecoste.
(9) Il verbo klhqhnai non indica semplicemente "avere un nome": esso qualifica la natura e l'identità della persona.



Nel racconto dell'annunciazione, pertanto, troviamo una cristologia messianico-davidica in linea con le attese d'Israele, e una cristologia esplicitamente neotestamentaria, elaborata alla luce dell'evento pasquale.


Il testo parallelo più illuminante e comprensivo del duplice livello cristologico presente in Lc 1,32-33 e 35 sembra essere Rm 1,3-4, che descrive la condizione umano-divina di Cristo Signore:



v. 3: "Nato dalla stirpe di Davide secondo la carne (cf Lc 1,32),
v. 4: costituito Figlio di Dio, con potenza, secondo lo Spirito di santità dalla risurrezione dai morti, Gesù Cristo nostro Signore" (cf Lc 1,35).


Pur senza parlare di dipendenza diretta, non si può non restare colpiti da tale schema parallelo. É notevole, in particolare, il raggruppamento lessicale-tematico (Figlio di Dio, potenza, Spirito santo - e questo a partire dalla risurrezione!) presente in Rm 1,4 e in Lc 1,35.


A conferma - anche se inadeguata - del mistero della nascita del Figlio di Dio, l'angelo addita alla Vergine la maternità di Elisabetta (v. 36) e le ripete quanto un giorno era stato detto ad Abramo (cf Gen 18,14), che, cioè, nulla è impossibile a Dio (v. 37). Gabriele evoca il personaggio per la cui fede prese l'avvio la storia santa d'Israele, e nella cui discendenza sarebbero state benedette tutte le stirpi della terra. Ora che tale promessa di benedizione sta per compiersi è necessaria una disponibilità simile, anzi superiore a quella del patriarca. L'Antico Testamento inizia con la fede di un uomo segnato dagli anni, la pienezza del tempi si inaugura con l'obbediente adesione di una giovane donna- La fede di Maria è più radicale di quella di Abramo, ma l'atteggiamento rimane il medesimo: la piena coscienza che Dio è capace di compiere quanto ha promesso (cf Rm 4,21).



Giunge dunque, puntuale e generosa la risposta della Vergine: "Ecco la schiava (doulh) del Signore: avvenga a me secondo la tua parola" (v. 38). Il di Maria è il punto di arrivo di un non facile itinerario di accoglienza del disegno di Dio, che si articola in tre fasi, come tre sono gli interventi dell'angelo. Al saluto iniziale di Gabriele (v. 28) ella risponde con il timore e la riflessione silenziosa (v. 29); alla comunicazione del messaggio (vv. 31-33), con la domanda di chiarimento (v. 34); alla spiegazione e piena rivelazione del mistero - alla luce dell'esperienza di Elisabetta e dell'antica fede di Abramo (vv. 35-37) -, la Vergine aderisce con l'umile e incondizionata obbedienza di tutto il suo essere.


Nella risposta di Maria sono evidenti due parti. La prima (‘Idou h doulh kurios) un'espressione quasi stereotipa per il costume orientale, che ricorre con frequenza nell'Antico Testamento: proclamandosi schiava, ella dichiara certamente la sua povertà davanti al Signore, ma anche la piena disponibilità a compiere quanto Egli ha stabilito.


Tale disposizione interiore prepara naturalmente la seconda parte della risposta, nella quale la Vergine non solo accetta, ma auspica (genoito) che nella sua vita si compia la Parola di Dio in tutte le sue virtualità. Il commento più pertinente alla risposta di Maria si ha nell'esclamazione di Elisabetta: "Beata colei che ha creduto che ci sarà un compimento alle cose che le sono state dette - parole sempre attuali (toiV lelalhmenoiV ) da parte del Signore".



Abbiamo già parlato - anche piuttosto ampiamente - di Maria di Nazaret, all'interno del racconto dell'annunciazione, accanto al Messia figlio di Davide e Figlio di Dio. È tuttavia utile mettere in luce, brevemente, gli aspetti più significativi della figura della Vergine, quali emergono da questa fondamentale pericope. È un'immagine particolarmente densa che tratteggeremo discretamente lasciandoci guidare dal testo.


Anzitutto ella appare come la povera del Signore. All'inizio del racconto dell'annunciazione si è colpiti immediatamente dal contrasto tra la grandezza di Dio che invia Gabriele - un angelo che sta alla sua presenza - e la povertà della "vergine", sullo sfondo di un'oscura e periferica contrada di Galilea. Tale contrasto esalta l'iniziativa della grazia di Dio che irrompe verticalmente dall'alto e trasforma in pienezza (kecaritwmenh ) l'indigenza di un'umilissima creatura. Si giustifica così il primo motivo del Magnificat " .... ha guardato alla bassezza della sua serva... ha fatto per me grandi cose... da questo momento tutte le generazioni mi proclameranno beata!" (Lc 1 ,48-49a).


Una dimensione fondamentale della povertà di Maria deriva dal fatto che ella è una vergine, anzi la vergine, come ribadisce, in maniera esplicita, il testo. Il v. 27 che introduce sulla scena la giovane donna di Nazaret la presenta per ben due volte con il titolo di parqenoV. L’appellativo è posto in netto rilievo all’inizio e al termine del versetto formando una significativa inclusione. Gabriele è inviato apo tou qeou certamente eis polin thV GalilaiaV, ma la vera sua destinazione è proV parqenon; e, in conclusione, si insiste: kai to onoma thV parqenou Mariam.


Non si tratta di un semplice qualificativo, ma di un aggettivo sostantivato, che designa concretamente la persona e ne rivela in qualche misura l'identità. Né si riduce a un appellativo antropo-sociologico per indicare una giovane ragazza: il significato che emerge dal contesto è anzitutto teologico, orientato alla missione di madre del Figlio di Dio.



La maternità verginale è un dato fondamentale dei racconti dell'infanzia sia di Luca che di Matteo, i quali su questo punto qualificante - come su diversi altri - convergono, nonostante l’evidente diversità delle fonti cui attingono e degli interessi redazionali. Sia l'uno che l'altro si appoggiano alla profezia della madre dell'Emmanuele (Is 7,14), interpretata alla luce della cristologia neotestamentaria, come appare esplicitamente da Mt 1,22-23 e in trasparenza da Lc 1,31-33.35.


La rivelazione dell'angelo presenta Maria come la madre del Re-Messia. Sullo sfondo rimane sempre la citata profezia isaiana, secondo la quale la giovane donna - "vergine" per il Nuovo Testamento - darà alla luce un figlio regale; ma nel vv. 32-33 all'oracolo dell'Emmanuele si aggiunge la profezia di Natan (2Sam 7) riguardante il discendente davidico che regnerà stabilmente sulla casa di Giacobbe. Grazie all'intreccio di questi annunci, il testo lucano si sofferma anche sulla madre vergine del Messia. Ella è la madre del Re, la G'bîrah, la Regina-madre, con tutta la dignità che questa figura riveste nella cultura del Medio Oriente e nella tradizione d'Israele (10).


Anche su questo punto i dati dell'infanzia di Luca convergono con quelli di Matteo: si pensi, in particolare, alla sottolineatura della madre-vergine dell'Emmanuele e "Re dei giudei" in Mt 1,18-25 e 2,1 - 12.


Il bambino che nascerà dalla Vergine, pur discendendo dal casato di Davide, presenta una novità assoluta: è generato dall'Alto per opera dello Spirito ed è pertanto Figlio di Dio. È erede di una regalità divina, la cui durata è senza fine. Su tale sfondo messianico-divino la Vergine appare quale eccelsa G'bîrah, madre del Re-Signore, della. stirpe, di Davide secondo la carne, costituito glorioso Figlio di Dio con Potenza nella sua risurrezione (Rm 1,3-4). La Pasqua, evento decisivo della cristologia neotestamentaria, giustifica anche la dignità regale della Madre del Signore (cf Lc 1,43).


"Vergine" è il primo appellativo attribuito a Maria dall'evangelista, kecaritwmenh il primo nome col quale Gabriele la saluta. Se la verginità è segno di radicale indigenza, la condizione di kecaritwmenh esprime la pienezza ottenuta per pura grazia. Maria, la povera per antonomasia agli occhi del mondo, è in realtà la kecaritwmenh davanti a Dio.


Il titolo dev'essere inteso in particolare all'interno del saluto di Gabriele che si compone di tre parti: Caire / kecaritwmenh / o kurioV meta sou, di cui costituisce l'elemento centrale e decisivo. È evidente infatti che il caire iniziale tende verso il kecaritwmenh, al quale fa riferimento anche per una forma di allitterazione. Il terzo elemento, "il Signore è con te", ricorre anche in altre angelofanie, ma qui, accanto a kecaritwmenh , acquista un senso particolare, sempre in rapporto alla vocazione e missione della Vergine.


NOTE

(10) Cfr. H. Cazelles, La Mère du Roi-Messie dans l’Ancien Testament, in Maria et Ecclesia, V, Roma, 1959, 39-56.



Allargando ulteriormente la rete dei contatti, kec aritwmenh presenta un certo legame - a motivo della comune radice verbale - anche con le parole successive dell'angelo: "Hai trovato carin presso Dio" (v. 30). Questa relazione non solo arricchisce il titolo, ma lo colloca all'interno di un'importante tradizione di benevolenza divina a Davide e alla sua discendenza. In At 7, 46-47 si legge: "Questi (Davide) trovò grazia davanti a Dio e gli domandò di poter trovare una dimora per la casa (o per il Dio) di Giacobbe. Salomone poi gli edificò una casa". Dal testo lucano dell'annunciazione sembra di poter affermare che non solo il discendente messianico è in relazione con Davide suo padre, ma, grazie alla cariV divina, anche con la madre. Maria, in tal modo, viene inserita nella linea della promessa e benedizione garantite alla discendenza davidica.


La Vergine presenta anche i tratti della figlia di Sion escatologica, vagheggiata e cantata dai profeti. La figlia di Sion incarna la comunità dell'alleanza, sposa di Dio e madre del Messia che porterà la salvezza al popolo. Dopo essere rimasta sterile e abbandonata, vedrà una discendenza numerosa ad opera del Signore che la rinnova con il suo amore. La figlia di Sion non si identifica con tutto il popolo, ma con una porzione di esso: con la comunità dei poveri, con il resto santo d'Israele depositano delle promesse di Dio e del loro compimento. Il saluto rivolto alla Vergine nell'annunciazione ci assicura che i tempi sono compiuti, che Dio sta per venire ad abitare in mezzo al suo popolo.


Maria, che la Potenza dell'Altissimo copre con la sua ombra, riveste anche il simbolismo dell'arca dell'alleanza Sembra troppo, è vero, pensare a una specie di identificazione con l'arca, su basi simboliche e letterarie; d'altra parte non è possibile escludere o minimizzare contatti piuttosto evidenti e molteplici. Effettivamente in Maria l'antica figura si compie. Quanto Davide domandava: poter trovare una dimora, una casa per il Dio di Giacobbe (cf At 7,46) qui effettivamente si realizza, anche se in una maniera che va ben al di là delle antiche concezioni e attese.



Con la domanda del v. 34 ("Come è possibile? non conosco uomo"), Maria appare una donna ricca di personalità e piena di concretezza: interlocutrice di Dio a nome dell'umanità. il suo atteggiamento, esemplare sul piano della fede e della responsabilità, assume particolare significato in riferimento alla donna contemporanea: "desiderosa di partecipare con potere decisionale alle scelte della comunità, ella contemplerà con intima gioia Maria che, assunta al dialogo con Dio, dà il suo consenso attivo e responsabile non alla soluzione di un problema contingente, ma a quell'"opera dei secoli", come è stata giustamente chiamata l'incarnazione del Verbo" (Marialis Cultus, 37).


A conclusione del dialogo con l'angelo, Maria si proclama serva del Signore. Senza riprendere quanto precedentemente si è detto, nella duplice accezione sottesa al termine doulh (schiava e serva) possiamo sottolineare almeno due aspetti: da una parte, l'umiltà della Vergine davanti alla maestà del suo Signore, al quale dichiara la sua totale appartenenza; d'altra parte, la dedizione incondizionata alla sua missione, caratteristica costante e tipica dei servi di Dio. Il compito della Vergine è indubbiamente la maternità messianico-divina, alla quale il Signore l'ha preparata facendone la kec aritwmenh e assicurandole la sua efficace ed amorevole presenza (cf v. 30).


Maria infine, è la credente: tutto il racconto dell'annunciazione tende alla sua risposta di fede. Il della Vergine è posto a conclusione della scena, dopo di che l'angelo può ritornare a Colui che l'ha inviato.



La fede - unica possibilità di collaborare con Dio - è la chiave per penetrare la figura della Vergine ed il segreto della sua singolare maternità. Come dirà Agostino, ella concepì prima nel cuore e poi nella carne. Prima però della riflessione patristica, Elisabetta aveva messo in rilievo tale atteggiamento fondamentale della madre del Signore. Ripiena di Spirito santo, dopo aver proclamato a gran voce il prodigio inaudito della divina maternità, ella dichiara beata Maria a motivo della sua fede, definendola h pisteusasa, la credente. Queste parole proferite da Elisabetta assumono particolare significato, essendo ella testimone diretta delle conseguenze dell'incredulità di Zaccaria. Implicitamente ella contrappone l'atteggiamento di Maria a quello dell'anziano sacerdote. Anche in questo caso è riscontrabile il capovolgimento di situazione neotestamentario, che evidenzia la fede della donna rispetto all'incredulità dell'uomo, in contrasto con tutta la tradizione antica.


Si noti anche il parallelismo tra il v. 38, conclusione dell'annunciazione, e il v. 45, col quale terminano le parole di Elisabetta: ambedue centrati sulla fede di Maria. Nel v. 38 Maria si dichiara serva, esprimendo con tale qualifica la sua obbedienza di fede (cf Rm 1,5; 16,26); nel v. 45 Elisabetta l'addita come la credente, rivelando la componente fondamentale della sua personalità (11).


Alla sua fede è legato il frutto della maternità e la beatitudine che, dopo Elisabetta, le riconosceranno tutte le generazioni (cf Lc 1 ,48b).


Il brano dell'annunciazione ha rivelato molte dimensioni della figura di Maria. In conclusione, vogliamo mettere in luce un aspetto, di solito trascurato, ma indubbiamente fondamentale: la dimensione trinitaria del brano e dunque la nota trinitaria della figura di Maria che, al dire di Paolo VI, è "intrinseca ed essenziale" (12). L'obiezione che si adduce a questa visione è che lo Spirito in Lc 1,35 è presentato quale Potenza divina e non esplicitamente come Persona della Trinità. In tal modo, tuttavia, non si tiene conto dell'importanza dello Spirito nella teologia lucana e del fatto che la redazione di Lc 1-2 è certamente tardiva e dunque in possesso di una visione trinitaria acquisita. La cristologia ed anche la pneumatologia neotestamentarie, sviluppate a partire dalla Risurrezione di Cristo - Paolo parla dello "Spirito di Cristo" (cf Rm 8,9ss) - sono state retroproiettate al battesimo di Gesù (Lc 3,22; cf At 10,37-38) e più tardi alla sua concezione, per cui egli è fin dalla nascita "santo" e Figlio di Dio (1,35).


NOTE


(11) Si noti come le due espressioni, poste a conclusione dei due brani – si richiamino in una specie di parallelismo progressivo:
- v. 38: Idou h doulh kuriou geneito moi kata to rh ma sou.
- v. 45: makaria h pisteusasa oti estai teleiwsiV toiV lelalh menoiV aute para kuriou.
(12) Il discorso di Paolo VI riguardava la pietà mariana, ma è ancor più importante ed urgente per la riflessione teologica. In ogni caso, così egli si esprimeva: "E’ sommamente conveniente, anzitutto, che gli esercizi di pietà verso la Vergine Maria esprimano chiaramente la nota trinitaria... che in essi è intrinseca ed essenziale" (Marialis Cultus, 25).



Nel racconto dell'annunciazione tutto avviene, come sempre, per iniziativa del Padre (apo tou qeou), a partire da Dio e per sua disposizione. È illuminante, in tal senso, il rapporto strutturale già indicato: da Dio, apo tou qeou (26) ad una vergine proV parqenon. (v. 27). La struttura evidenzia i personaggi - divino e umano - che sono all'origine del Messia davidico-Figlio di Dio. Il rapporto di paternità e maternità nei confronti di Colui che nascerà coinvolge - anche se in maniera essenzialmente diversa - il Padre che è nei cieli e la vergine Maria. Ella diviene in qualche modo la partner di Dio nei confronti del Figlio e della sua missione. Per questo ella è vergine e kec aritwmenh , benedetta più di ogni altra creatura "con ogni benedizione nei cieli, in Cristo" (Ef 1,3).


Ovviamente la Vergine è in strettissimo rapporto col Figlio di cui è madre in maniera unica e - non avendo egli un padre terreno - con un ruolo particolare ed esclusivo (cf v. 31). Come in Mt 1-2, si dichiara senza equivoci che nessun uomo interviene nella nascita di quel bambino. Il primo evangelista lo esprime a più riprese e in maniere diverse, come con l'efficace formula stereotipa: "Il bambino e sua madre"; Luca, insistendo sulla condizione di "vergine" di Maria e sottolineando in maniera unilaterale il ruolo della madre nella generazione e perfino nell'imposizione del nome al bambino. Maria pertanto è in una relazione profondissima con Colui che diviene suo Figlio, senza cessare di essere Figlio del Padre. La sua è certo una generazione nella carne, ma prima e anzitutto una maternità nella fede.


Il rapporto con lo Spirito santo non si può descrivere in termini di sponsalità, né definire con categorie a noi familiari come quella di Padre e di Figlio. Lo Spirito è inafferrabile come il vento di cui tuttavia si avverte la brezza e la sconvolgente violenza; è soffio di vita, principio misterioso che plasma l'universo e crea la vita. Nel v. 35 viene presentato quale Potenza proveniente dall'alto, come nube che adombra la Vergine: è principio di amore, sorgente di vita e di presenza divina. Nella nascita del Figlio di Dio lo Spirito è indubbiamente il protagonista, come appare dai verbi che ne esprimono l'azione: verrà su di te... ti adombrerà. Non è agevole scandagliare la densità del mistero: è certo, tuttavia, che l'intervento dello Spirito nella Vergine di Nazaret é "un momento culminante della sua azione nella storia della salvezza" (Marialis Cultus, 26).


Come si vede, il testo di Lc 1,26-38 è una pagina fondamentale della cristologia neotestamentaria, all'interno della quale la figura della Vergine acquista tutto il suo significato. L'annunciazione riguarda la nascita del Messia figlio di Davide e Figlio di Dio, ma è rivolto alla Vergine di Nazaret chiamata ad una maternità verginale per opera dello Spirito. La pericope presenta dunque anche un'eccezionale concentrazione mariologica, che dev'essere esplicitata alla luce del contesto lucano immediato e remoto, sullo sfondo dell'attesa messianica e della rivelazione neotestamentaria. "Chiunque voglia approfondire biblicamente la dottrina mariana non può farlo che mediante una maggiore comprensione della storia della salvezza".


(fine)

Letto 2528 volte Ultima modifica il Sabato, 26 Giugno 2004 10:54

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