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Sabato, 19 Giugno 2004 12:11

Le nozze di Cana in San Bernardo di Chiaravalle (P. Giuseppe Brienza o. cist.)

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Le nozze di Cana
in San Bernardo di Chiaravalle
di p. Giuseppe Brienza*, o. cist.



 


Il secondo mistero luminoso che ha per oggetto la contemplazione dell'episodio delle nozze di Cana, trova degli agganci in alcuni dei sermoni di Bernardo di Chiaravalle.


Mi riferisco a quello sulla prima domenica dopo l'ottava dell'Epifania, al sermone 54,12 sul Cantico dei Cantici e ai sermoni 55 e 56 pubblicati nell'edizione italiana delle opere sul santo 7(1). La riflessione proposta prenderà in considerazione i sermoni 55 e 56, i cui titoli rispettivi sono:


a) Le sei giare della purificazione,


b) Come riempire le giare mistiche con un triplice timore.


"Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili" (Gv 2-6).


Su questo breve versetto delle nozze di Cana, Bernardo incentra la sua meditazione, si attarda a modo di lectio divina sul testo sacro per poi applicarlo in concreto ad alcune osservanze della vita monastica cistercense.


Da premettere che la Vergine Maria, viene citata dall'Abate solo nel sermone 56, mentre sappiamo che a differenza degli altri misteri luminosi, Maria ha un ruolo importante, nella meditazione del secondo mistero. (2)


Evidentemente Bernardo è preoccupato di applicare l'allegoria spirituale ai monaci, più che tenere un discorso prettamente esegetico.


Tuttavia in quel breve inciso, a Maria viene attribuita una funzione importante, laddove dice:


"… i servi, ai quali tuttavia già Maria aveva suggerito per prima; "fatte tutto quello che vi dirà"; non devono arrogarsi il diritto di predicare senza prima essere istruiti dalla Madre della grazia, Maria". (3)


Le sei giare prese in esame da Bernardo, corrispondono ad altrettante osservanze monastiche, con le quali, i monaci, servi di Dio, come veri Giudei, dovranno purificare la loro vita.


Le osservanze menzionate in ordine di citazione sono:


· il silenzio,
· la salmodia,
· le veglie,
· il digiuno,
· il lavoro manuale,
· la purezza del corpo.


Nella giara del silenzio, il monaco dovrà purificarsi dai peccati che riguardano la loquacità, definita senza ombra di dubbio un vizio. Otto sono gli aggettivi negativi usati da Bernardo per indicare la loquacità. È la parola stolta, vana, bugiarda, inutile, ingannevole offensiva, impudica, sempre in cerca di scuse.


L'immagine che evoca il santo per definire gli effetti devastanti della parola intrisa da tali attributi, è forte:


"Questa peste nasce dalla loquacità, e con la censura del silenzio o la si estirpa alla radice, o almeno la si controlla perché non faccia troppi danni". (4)


Nella giara della salmodia, il monaco, attraverso la recita o il canto di salmi, inni, cantici, loda Dio e a lui solo attribuisce quel bene che vede in sé mentre, a se stesso attribuisce il male. Il monaco si purificherà con questa giara, quando riconosciuto il suo peccato nello stato di vita precedente la sua conversione, un peccato fondamentalmente di bestemmia, in cui emergeva il proprio io, riempie ora la sua bocca di salmodia che lo aiuta a confessare il suo peccato e a correggere il suo modo di vivere, mettendo al centro della propria vita Dio.


"... Fino a che uno loda se stesso e accusa Dio cosa fa se non bestemmiare? Non sono forse blasfemi quelli che dicono: "Le vie del Signore non sono rette"? Ma una volta che uno si converte e confessa il suo peccato, ed è istruito nei cantici divini, dopo aver corretto il suo modo di vivere corregge anche te parole: accusa se stesso a attribuisce a sé i suoi mali; loda invece Dio, e il bene che vede in sé lo attribuisce a lui, non a sé: tutto questo lo si canta nella salmodia". (5)


La terza giara si riempie con le veglie, ad imitazione di Cristo che passava le notti in orazione. La preghiera insistente, espressione di una vigilanza continua che si oppone al torpore e alla sonnolenza spirituale, è condizione indispensabile per non cedere alla tentazione.


Il digiuno riguarda la quarta giara. Un digiuno che Bernardo invita a praticare come rimedio contro i peccati di gola, non restringibili alla sola sfera culinaria evidentemente, ma estensibili a tutto quello che nella vita dell'uomo diventa un idolo da perseguire e conquistare. L'allusione si deduce quando afferma:


«La giara del digiuno ci fa acquistare forza per scacciare i demoni, memori dell'esortazione del Signore che dice: "Questa specie di demoni non può uscire in alcuna maniera se non con l'orazione e il digiuno"». (6)


Nella quinta giara, come mezzo di purificazione, si trova il lavoro manuale. Bernardo è consapevole della meraviglia che tale asserzione suscita nell'ascoltatore. Sul Commento a questa giara, spende qualche parola in più, anche se si rende conto che il discorso andrebbe ampliato. Cita a più riprese, l'apostolo Paolo, per dare vigore e spessore alla sua affermazione.


Sulla scorta degli insegnamenti del dottore delle genti, Bernardo indica il lavoro come mezzo di autosussistenza e indipendenza economica, necessario per una vita ordinata e disciplinata, lavoro che opposto all'ozio, padre dei vizi, consente al monaco di purificare il suo cuore e di vivere in pace:


"Vi esortiamo fratelli, a fare ancora dei progressi, e a farvi un punto di onore di vivere in pace... alfine di condurre una vita decorosa di. fronte agli estranei, e per non aver bisogno di nessuno". (7)


L'ultima giara contiene lo sforzo di purificazione che il monaco è chiamato a compiere attraverso la purezza del corpo. Grazie ad essa vengono purificati i peccati commessi con i cinque sensi: vista, udito, gusto, odorato, tatto. Le giare precedenti, con relative osservanze, hanno valore, se accompagnate e confermate dalla purezza del corpo; giara che più delle altre riguarda Dio, per piacere a lui solo e compiere la sua volontà, che è la nostra santificazione.


"Mantenere il vaso del proprio corpo con santità e rispetto", (8) è dunque impegno urgente per il monaco. Bernardo commenta che se le prime quattro giare le dobbiamo a noi stessi, la quinta al prossimo, la sesta la dobbiamo a Dio.


Il sermone conclude con una riflessione allegorica sul significato del complemento di materia delle giare.


La pietra difficilmente si rompe o si frantuma. Non è un materiale fragile, quello che contiene il prezioso liquido della grazia, bensì un materiale duro, la pietra appunto, che indica anche le difficoltà che il monaco dovrà sostenere per avere la vita. La via aspra da percorrere, trova stabilità e fondamento su Cristo, pietra su cui costruire. Le giare sono dette di pietra, per dire che sono cristiane, fatte cioè, di fede in Cristo.


Note


*) P. Giuseppe Brienza, Priore del Santuario Santa Maria dei Lumi in S. Severino Marche (Mc).


1) Le Opere di San Bernardo, a cura di F. Gastaldelli, Sermoni diversi e vari, vol, IV, Scriptorium Claravallense, Fondazione di Studi Cistercensi, Milano 2000, pag. 382-391.


2) Cfr. Rosarium Virginis Mariae, GIOVANNI PAOLO II, Edizione Paoline, 2002, n .21, pag. 31.


3) Ibid., Le Opere di S. Bernardo... serm., 66, pag. 389.


4) Ibidem, serm., 55, 1, pag. 383.


5) Ibidem.


6) Ibidem, serm. 55, 2, pag. 385.


7) Ibidem, serm. 55, 3, pag. 385.


8) Ibidem, serm. 55, 4, pag. 387.



Uno sguardo al sermone cinquantasei


Il sermone cinquantasei commenta l'episodio delle nozze di Cana dal versetto sette fino al decimo incluso. È un dialogo che ha per protagonisti i servi, Gesù, il maestro di tavola, lo sposo e sullo sfondo la Vergine Maria. Le sei giare possono essere talvolta piene, talvolta vuote.


Non sempre la giara è colma di liquido buono come l'acqua e il vino, può essere piena anche di veleno, sostanza che uccide.


Il riferimento alle osservanze monastiche è allegorico. La giara colma di veleno simboleggia lo stato d'animo del monaco, quando compie i suoi doveri con rancore e malcontento. La giara colma di acqua sta ad indicare il monaco che pratica le osservanze per timore di Dio. La giara piena di vino è propria del monaco che trasforma le osservanze dal timore, all'amore verso Dio. Stato ottimo, raggiungimento di una vita che si spende per amore e non per paura del giudizio. È il vivere l'obbedienza da figli e non da schiavi.


Compito del monaco è quello di far sì che le giare siano colme di acqua, perché il Signore lo comanda; con l'intercessione di Maria, quell'acqua è destinata a convertirsi in vino, e questo è lo stesso Signore che lo fa. Per grazia di Dio, sono quello che sono, dirà l'apostolo Paolo, cioè un buon vino.


Sono allora da escludere nella vita del monaco le giare vuote, sterili e quelle piene di veleno. I servi non tengono tutto per loro il vino, lo portano alla tavola imbandita, al maestro di tavola; essi sono coloro che il Signore ha posto a capo della sua famiglia perché distribuiscano a tempo debito la razione di cibo. La distribuzione del cibo avviene mediante l'annunzio della Parola in due modi: presentando la meravigliosa dolcezza del regno e minacciando gli orrendi tenori del supplizio. In coloro che ricevono la Parola nasce un grande timore per ambedue le realtà. Il timore di essere esclusi dal possesso delle bellezze del regno e quello di subirne i tormenti della preclusione. Le giare ricevono in questo modo due misure, ma siccome il passo evangelico afferma che vi erano sei giare, contenenti due o tre barili, bisogna aggiungere un terzo timore per colmare il terzo barile.


È il timore che riguarda ogni atto presente, per cui l'uomo ha la paura di essere abbandonato dalla grazia interiore. Mentre i primi due timori riguardano il futuro, il terzo interpella il presente. Una volta riempite le giare fino all'orlo, l'acqua è trasformata in vino. Il maestro di tavola fa una constatazione che trova riscontro nella vita civile e politica. Rivolto allo sposo dice:


"Tutti servono in principio il vino buono, e quando sono un po' brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono". (9)


A detta di Bernardo, capita purtroppo in chi vuole conquistare un potere, di offrire ai propri sudditi prima l'amore, una volta però ottenuto lo scopo si trasforma in tiranno, seminando terrore. Non così avviene sul piano spirituale:


"Il nostro Sposo si comporta esattamente al contrario Riserva sempre per la fine il vino buono; quello invece che al confronto appare inferiore lo propina all'inizio dicendo: "Figlio, disponendoti a servire Dio, mantieniti nel timore"... E così l'acqua del timore sarà cambiata nel vino dell'amore". (10)


Note


*) P. Giuseppe Brienza, Priore del Santuario Santa Maria dei Lumi in S. Severino Marche (Mc).


9) Ibidem, serm. 56,2, pag. 391.


10) Ibidem.



Riflessione


Nel sermone 54,12 sul "Cantico dei cantici", Bernardo torna sul tema dell'acqua e del vino. Sua preoccupazione costante è di incitare il monaco a conservare gelosamente la grazia di Dio.


"Beato te, se riempirai il tuo cuore di questo triplice timore, che tu tema, cioè, quando ricevi la grazia, tema maggiormente quando la perdi, e ancora molto di più quando l'hai recuperata". (11)


Nei sermoni Gesù è lo Sposo, nel cui amore trinitario, il monaco trova il punto di partenza e di arrivo, aspirando con umiltà al possesso completo della visione trinitaria.


La contemplazione del mistero dell'incarnazione in sintonia con la teologia paolina mostra il Figlio di Dio nell'atto di spogliare se stesso, per uno svuotamento e abbassamento totale, per assumere la condizione del servo obbediente, umiliato e sofferente.


Bernardo assorto nella contemplazione del Verbo che si è fatto carne, esprime tutta la sua ammirazione e gratitudine:


"Come sei bello, Signore Gesù... sei bello per me, Signore mio, nello stesso spogliarti di questa tua bellezza! Per il fatto che ti sei annichilito, che ti sei spogliato Tu, lume perenne...". (12)


Sull'esempio di Cristo, il monaco dovrà svuotare il suo cuore da tutto ciò che gli è di scandalo, di impedimento, da ciò che lo allontana dall'amore di Dio. Ancora una volta, come nel primo mistero, si parte dalla spiritualità del cuore, per colmarlo del vino della carità verso Dio e il prossimo.


«Dio ama un dono completo, un affetto pieno, un sacrificio perfetto. Cerca pertanto, di portare alle celesti nozze un'idria piena, perché si possa dire di te: "Lo ha riempito lo spirito del timore del Signore"... Se temerai pienamente e perfettamente, la carità darà sapore alle tue acque... è la carità, il vino che rallegra il cuore dell'uomo». (13)


Ho preferito in questo commento far parlare di più Bernardo. Come sempre la sua è una parola ricca e coinvolgente.


Da quanto ci ha proposto, è evidente che la vita del monaco è un cammino di purificazione verso la luce. "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" (Mt 5,8.).


Le scelte che Gesù ci chiede, benché radicali e impegnative, sono liberanti e gioiose. Il monaco che si dedica con impegno nel condividere il cammino di Cristo, meriterà un giorno di vedere nel suo regno, Colui che ci ha chiamati (Cfr. RB, prol, 21).


Note


*) P. Giuseppe Brienza, Priore del Santuario Santa Maria dei Lumi in S. Severino Marche (Mc).


11) BERNARDO DI CHIARAVALLE, Sermoni sul Cantico dei cantici, a cura di Domenico Turco, serm. LIV, n. l1, pag. 511, Ed. Vivere In, Trani 1982.


12) Ibidem, serm. XLV, 9, pag. 435.


13) Ibidem, serm, LIV, 12, pag. 512.


 


 

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