Le nozze di Cana
ALCUNE GLOSSE ANNOTATE AL MARGINE DEL TESTO (Gv 2, 1-11)
di Sr. Germana Strola o.c.s.o.
Il breve racconto del primo segno compiuto da Gesù alle nozze ai Cana assume nel Vangelo di Giovanni un grande rilievo sia come punto di arrivo dell'ingresso del Messia nella scena della storia dopo la costituzione della comunità dei discepoli (1,35-51), sia come inizio della sua vita pubblica, in dittico con la purificazione del Tempio (2,13-25). Il significato dell'episodio diviene più luminoso se questo viene situato all'interno nel disegno dell'intero Vangelo di Giovanni, che intende condurre alla fede in Cristo (2,11 cf 20,31). L’evangelista lo presenta infatti come l'inizio (arché, cf Gv 1,1) dei segni che nel tempo della storia manifestano la Sua gloria, attraverso la trasformazione dell'acqua (delle abluzioni dei Giudei, v. 6) nel vino messianico delle nozze escatologiche.
Il significato del festino delle nozze nell'AT e nel NT
Fin dall'inizio del Vangelo di Giovanni, non mancano allusioni, per quanto velate, alla dimensione nuziale della presenza del Verbo fatto carne. Giovanni Battista confessa di "non essere degno di sciogliere la cinghia del suo sandalo" (1,27 cf Rut 4,7-8), presentandosi come "l'amico dello Sposo" (3,29), che gioisce alla sua voce, dando testimonianza della prospettiva nuziale del Messia, "Colui che ha la sposa" (3,29). Nei profeti non mancano inoltre i testi che evocano l'era messianica nei termini di una festa di nozze come figura del ritorno in grazia, della pienezza di bene che Dio prepara per il suo popolo (Is 54,1-11; 62,4-5; cf. 1 Sam 2,5; Sal 113,9; Os 1,16-17; si veda anche Is 25, 6-8).
Il terzo giorno
Giovanni introduce l'episodio con la connotazione temporale "il terzo giorno" (Gv 2,1): inquadrando il racconto di conseguenza, con un riferimento implicito al grande segno compiuto nel terzo giorno della risurrezione (cf Os 6,1-2; Gl 2,1; 1 Cor 15,4; cf Lc 24,46; Gv 2,19). Ma nel terzo giorno si verificano molti eventi decisivi della storia di Israele, a partire dal terzo giorno della creazione (Gen 1,11-13): è il giorno del sacrificio di Isacco (Gen 22,4-8), il giorno che scandisce il ciclo di Giuseppe (Gen 42,18-19,24), il giorno del grande scisma tra Israele e Giuda (1 Re 12,12-13.19); il terzo giorno è soprattutto il momento in cui viene ratificata l'alleanza sinaica (Es 19,16), che nel giudaismo è stata interpretata in chiave escatologica e nuziale. Al Sinai, "il terzo giorno", il Signore rivelò la sua gloria dando la legge dell'alleanza a Mosè, affinché il popolo credesse anche in lui (Es 19,10.11.16). A Cana, "il terzo giorno", Gesù rivela la sua gloria dando il vino nuovo, simbolo del suo vangelo, che è la legge della nuova alleanza: allora i discepoli credettero in lui (Gv 2, 1-11).
Alla luce delle reminescenze bibliche del "terzo giorno", l'alleanza in chiave nuziale di Dio con l'uomo raggiunge nella persona di Gesù il suo punto culminante: il compimento escatologico si riallaccia all'origine.
Qui Giovanni introduce ex abrupto, senza nessuna preparazione, la figura di Maria: "La Madre di Gesù era là" (come ai piedi della croce, Gv 25-27). Nel contesto di queste nozze emerge in primo piano la relazione Madre-Figlio: si parla della Madre - quindi della fecondità dell'alleanza nuziale - prima che della Sposa, come se nell'alleanza di tipo nuziale, venisse simboleggiato in primo luogo l'effetto che ne deriva, cioè la menzione della presenza dei discepoli chiamati anch’essi alla partecipazione del festino nuziale.
Non hanno più vino
Nel momento in cui si svolge la celebrazione della festa di nozze, manca qualcosa di essenziale perché lo sposalizio sia completo: il vino. Ce n’era stato prima? Può darsi, ma non viene detto. In ogni caso, la funzione della Madre di Gesù, che opera simbolicamente il passaggio verso il compimento della nuova alleanza, consiste semplicemente nel dire con la sua parola la situazione a Gesù: Non hanno più vino.
Nella sua risposta, "Che cosa c’è per me e per te? Donna, non è ancora giunta la mia ora?" Gesù sembra, per così dire, prendere le distanze da sua Madre: segnalando un'alterità - tra un "lo" maschile e un "tu" femminile: è superato il tempo delle relazioni puramente familiari - Gesù invita sua Madre a situarsi con lui nella prospettiva della sua missione messianica, evidenziando anche un termine di tempo da rispettare: l'ora della piena rivelazione della gloria del Padre nel Figlio, nel mistero della Pasqua in un crescendo che tende verso il compimento.
Il titolo Donna (cf. Gen 2,23; Is 54,5) e la menzione dell'ora ritornerà nel dialogo fra Gesù e la Samaritana - Credimi, donna, viene un ora in cui né su questa montagna né in Gerusalemme adorerete il Padre - ma anche nell'incontro con Maria di Magdala, nel mattino di Pasqua (20,15), e soprattutto nell'affidamento di Giovanni a Maria, ai piedi della Croce (19,26-27), quando l'"ora" è veramente compiuta. Il titolo Donna non è quindi un'allusione alla donna del Protovangelo (Gen 3,15.20), ma un riferimento alla "figlia di Sion", quella fìgura femminile che nella tradizione biblico-giudaica simboleggiava Israele (cf. Os 1-3; Is 62,11; Zc 9,9).
Nell'ambito di questi richiami il tra il Sinai e Cana trova collocazione anche l'invito di Maria ai ministri (diakonoi) delle nozze: "Quanto egli vi dirà, fatelo" (v.5), una parola che sembra volutamente riprendere la dichiarazione di fede emessa da Israele al Sinai: "Quanto il Signore ha detto noi lo faremo" (Es 19.8; Ef 24,3.7). Giovanni pone sulle labbra della Vergine le parole che il popolo eletto pronunciò all'inizio della sua storia, significando implicitamente una identificazione tra la comunità di Israele e la Madre di Gesù. Nel linguaggio biblico-giudaico il popolo è rappresentato sovente sotto l'immagine di una "donna". Si può comprendere allora come Gesù, rivolgendosi alla Vergine, usi il termine "donna" (Gv 2,4). Sarebbe questa la versione giovannea del tema lucano di Maria "figlia di Sion". In termini più espliciti: Giovanni presenta nella Madre di Gesù la fede ideale di Israele giunta alla pienezza dei tempi
Le giare della purificazione dei Giudei
Con la menzione delle giare, al centro del racconto, emerge un elemento sconcertante nel contesto di un matrimonio: come se si cominciasse a condurre gli sposi al fonte battesimale. Giovanni ne precisa il numero e la capienza: sono sei, il numero della perfezione (sette, meno uno); la menzione della purificazione chiama in causa le antiche categorie della legge giudaica. La loro capienza è impressionante (se una metreta corrisponde a circa 40 litri, ed ognuna ne conteneva due o tre, avremmo in totale da 5 a 7 ettolitri di vino eccellente): una sovrabbondanza che in Giovanni sottolinea una delle caratteristiche del dono di Dio. Gesù ha bisogno delle giare e dell'acqua che esse contengono, cf l'acqua della creazione (Gen 1,6-10), del diluvio (Gen 6,17), del Mar Rosso e del Giordano, ma anche l'acqua che esce dal lato destro del Tempio (Ez 47) e l'acqua della nuova alleanza (Ez 36,25), ecc. per rivelarsi, nella sua persona, come il fondamento e il fine della creazione e della storia. Gesù raccoglie e trasforma tutti i riti di purificazione, portando ogni cosa al suo compimento (Mt 5,17).
Mescevano vino: il gesto miracoloso dell'obbedire
Raramente viene sottolineato un dettaglio significativo: Giovanni dice laconicamente che i "servi" (diakonoi) dopo aver riempito le giare fino all'orlo, nell'atto di mescere, versavano vino. L’evangelista non descrive quindi il segno miracoloso se non nel gesto obbediente dei ministri delle nozze, che compiono fedelmente l'ordine ricevuto. Gli addetti al servizio del banchetto di festa sono quindi i testimoni autorevoli di quanto si compie attraverso l'umile esecuzione del loro compito. La loro ministerialità diventa trasparenza credibile di quanto un Altro compie, attraverso di loro.
Felicitazione e conclusione del racconto
La conclusione che trae il maestro di tavola illumina la portata dell'avvenimento. Il vino buono è stato conservato fino ad ora. L'acqua divenuta vino riecheggia, dal punto di vista dell'espressione formale, l'annuncio del Prologo: la Parola divenuta carne. La trasformazione dell'acqua in vino prolunga e manifesta la realtà dell'Incarnazione, che continua a compiersi in noi.
La ricchezza dell'affermazione fino ad ora si rivela in tutta la sua profondità se viene collocata, di nuovo, sullo sfondo dell'Antico Testamento. Per i tempi messianici la voce profetica annunciava che in quel giorno le montagne stilleranno vino nuovo (Gl 4,18, Am 9,13-14). È ora presente la Sapienza che ha preparato il vino... e dice, "Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che ho preparato a voi". (Pr 9,2.5).
Nel Cantico dei Cantici, il vino è il simbolo dominante dell'amore tra l'amata e l'amato.
Ora, al presente il vino buono è dato in misura sovrabbondante, significando che in Gesù si è inaugurata l'era escatologica. Nella persona dello "sposo" si intravede la presenza effettiva della Sposo.
Il "vino buono" conservato fino ad ora (v. 10) rappresenta la rivelazione messianica, "la grazia della verità" presente in Gesù (1,17) "il suo vangelo"; per mezzo del simbolismo delle nozze, egli si manifesta come lo Sposo della nuova comunità messianica (cf. anche 3,2 ss) È questa l'esegesi più diffusa nella tradizione antica.
Cana è quindi un simbolo della nuova alleanza. Questo simbolismo messianico, specificato in quello delle nozze messianiche, non vale solo per Gesù, ma anche per Maria. Nei loro gesti e nel loro dialogo, la Vergine e il Cristo, superando largamente i festeggiamenti locali, soppiantavano i giovani sposi di Cana per diventare lo sposo e la sposa spirituali del banchetto messianico.
Però Maria, la sposa, svolge qui anche una funzione materna: la sua esortazione ai "servitori" (cf 12,26: "servire" Gesù).
L'ultima parola di Maria nei vangeli, suscita in loro la perfetta docilità alla parola di Gesù (2,7s), il vero atteggiamento dei credenti, nell'alleanza nuova. Maria diventa così "Madre delle membra (di Cristo)".
E i discepoli credettero in lui
Il segno di Cana, secondo la lettura del testo, viene narrato come tale soprattutto dal punto di vista dei discepoli. Credere in Gesù significa vedere, udire, gustare ciò che avviene, come epifania della Sua gloria: penetrando il significato profondo della realtà, in cui si dispiega il miracolo di Dio, nell'oggi di Cristo.