Disarmare il terrorismo. Ma come?
di Giuseppe Scattolin
La questione "terrorismo" è complessa e nessuno ha in mano la soluzione pronta. Su questo non ci piove. Occorre, quindi, diffidare di tutti coloro che si presentano come "i risolutori del problema", di qualunque estrazione politica essi siano. Spero di non aver dato, nei miei interventi passati, l'impressione di avere la soluzione in tasca. Non è stata questa la mia intenzione.
Credo, però, che la violenza non faccia che esasperare le situazioni, e sono convinto che, se si vuole una soluzione a lungo termine, occorre operare in profondità per cambiare la mentalità delle persone e prevenire lo scatenarsi della violenza stessa.
Hitler, in ultima analisi, ha rappresentato un fenomeno molto limitato di esasperazione del nazionalismo tedesco... e che danni ha prodotto! Noi, oggi, abbiamo a che fare con un mondo islamico di più di un miliardo di persone e in grande espansione. Gli interventi vanno ben calcolati e non fatti all'avventura, come in Iraq, esasperando le situazioni.
Il problema di fondo è come fare perché il mondo islamico divenga parte positiva del mondo globalizzato, e non rimanga invece ostaggio delle correnti più chiuse ed estremiste. È a questo livello che va impostato un discorso culturale serio, soprattutto con i responsabili di quel mondo. Sono questi, infatti, che formano le coscienze della gente e possono, pertanto, contribuire a creare una visione nuova all'interno dell'universo musulmano, aprendolo positivamente alla collaborazione con il resto dell'umanità.
È proprio a livello di discorso culturale che noto una grande e grave mancanza da parte sia delle nostre società occidentali sia dei responsabili del mondo islamico, intellettuali in primo piano. Per evidenti interessi economici, la politica delle nostre società occidentali ha favorito i regimi e le correnti più fondamentaliste islamiche, lasciando il mondo musulmano in balia di una propaganda sempre più militante e ostile al resto del mondo. Pochi poi sono stati gli intellettuali musulmani che si sono impegnati seriamente a liberare le loro società dalla presa di tali correnti fondamentaliste (ben manovrate politicamente), disposti anche a pagare con la propria vita questo impegno per la libertà della persona umana, diventando così non "martiri di Dio" (i shuhada' di una certa tradizione islamica, in realtà martiri di un Dio assai tribale), ma "martiri per la libertà della persona umana" (salvando, in tal modo, l'immagine di Dio impressa in essa e rendendo il vero culto al Dio unico, che è il Dio di tutti).
Il dialogo interreligioso e interculturale va sviluppato a tutti i livelli: dall'impegno pratico per opere di cooperazione fra popoli e società (in questo campo esistono molte iniziative valide) fino a uno scambio culturale più profondo, in cui si è pronti a mutare la visione che si ha di se stessi e degli altri. Si deve essere pronti a fare un'autocritica della propria storia e a vedere il positivo che c'è negli altri, a comprenderli e rispettarli nella loro differenza. Solo così si potranno trovare campi di collaborazione e convivenza, basati su una nuova coscienza della persona umana, dei suoi diritti e dei suoi doveri - diritti e doveri che devono essere universali e eguali per tutti.
Dopo una storia di guerre e stragi immani, il mondo occidentale sembra essersi definitivamente avviato su una strada diversa (anche se non mancano problemi e riflussi). Oggi, esso dovrebbe (e potrebbe) aiutare gli altri popoli a porsi nella medesima direzione, per evitare gli errori da noi commessi e per dare vita, insieme, a un vero umanesimo universale.
Questa è la grande sfida del nostro secolo. Spetta a tutti raccoglierla. Soprattutto ai credenti in un Dio che è Amore e, quindi, un Dio di tutti.
(da Nigrizia, novembre 2004)