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Lunedì, 17 Aprile 2006 19:07

Per la pace, “ecologia umana internazionale” (Card. Renato Martino)

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Per la pace, “ecologia umana internazionale”
Card. Renato Martino





Il Magistero sociale della Chiesa nelle sue varie manifestazioni – ricordo per inciso il ricco patrimonio di idee contenute nella Pacem in terris del Beato Giovanni XXIII, nei tanti Messaggi per la Giornata Mondiale della Pace proposti dai Sommi Pontefici da Paolo VI sino a quello di quest’anno del Santo Padre Benedetto XVI, nel capitolo decimo del Compendio della dottrina sociale della Chiesa - usa sostanzialmente la stessa chiave, miscelando, con sapienti dosaggi, le quattro dimensioni sopra richiamate e illuminandole con la grazia e la forza del Vangelo della pace di nostro Signore Gesù Cristo.

Lo stesso Consiglio per la Giustizia e per la Pace, già nella sua denominazione, è una dimostrazione di quanto sia importante utilizzare il registro di molteplici dimensioni interdisciplinari nell’approccio alle complesse tematiche della pace. Essendo il Presidente di questo Dicastero, recentemente ho voluto anch’io offrire una qualche riflessione che, utilizzando lo stesso paradigma, ho reso pubblica nel mio volume Pace e guerra. Sono certo che i valenti e qualificatissimi oratori convocati a questo nostro Colloquio sapranno darci contributi di grande spessore e profilo. Per quello che mi riguarda permettetemi una qualche riflessione previa che mi auguro possa essere utile a stimolare la nostra comune ricerca dei cammini della pace. Mi sembra che la prima cosa di cui abbiamo bisogno è una corretta comprensione di come si pone oggi il problema della guerra e della pace. Il conflitto in genere e la guerra in particolare, infatti, stanno cambiando la propria fisionomia. Sono più orizzontali che verticali, più diffusi che concentrati, più frammentati che unitari, più quotidiani che eccezionali, più vicini che lontani, più immateriali (e perfino virtuali) che materiali. L’11 settembre ha dimostrato che la morte di tremila persone è alla portata di tutti: basta un coltellino come quello adoperato da un dirottatore. A questo riguardo, un attento osservatore ha parlato di «guerre democratiche».

Questi rilevanti cambiamenti sono stati provocati soprattutto dal processo di globalizzazione. È doveroso tenere conto di questo contesto completamente nuovo in cui oggi si collocano le problematiche della pace e della guerra, sia per conoscere i nuovi condizionamenti negativi per il processo di pace, sia per discernere le nuove opportunità, su cui fare leva, con evangelica speranza, per creare migliori condizioni di pace. La violenza, i conflitti e le guerre si frammentano e quasi si nebulizzano, mentre un tempo erano situazioni circoscritte e unitarie. Aumentano i micro-conflitti ampiamente dislocati, mentre diminuiscono le guerre convenzionali attuate su grandi teatri. C’è una recrudescenza di guerre civili, etniche, tribali, locali. Nel mondo sviluppato c’è un incremento di insicurezza civile, di guerra per bande e tra gruppi di potere illegale, di micro-illegalità attuata, purtroppo, anche da minorenni. Dopo la fine del sistema dei blocchi contrapposti, le guerre si sono disseminate nel mondo come espressione di tensioni particolaristiche difficilmente riconducibili a uno schema unitario.

Ho qui accennato ad alcuni cambiamenti in atto nel modo di considerare la guerra nell’epoca globalizzata. Medesime considerazioni andrebbero fatte per la pace. Poiché la globalizzazione è «quello che gli uomini ne faranno», dobbiamo mettere in evidenza le opportunità positive che essa pone nelle nostre mani. L’orizzontalità, per esempio, ha permesso e permetterà ancor più in futuro, di moltiplicare gli attori della pace sulla scena globale, di sviluppare la partecipazione della società civile e dei gruppi di advocacy. La trasparenza delle informazioni rende possibile all’opinione pubblica mondiale farsi un’idea, esprimersi e diventare un vero e proprio interlocutore dei poteri politici su temi di guerra e di pace. Il tragico fenomeno della «delocalizzazione» delle guerre può stimolare maggiormente gli uomini di buona volontà e la comunità internazionale ad affrontarne le cause sociali ed economiche e a favorire il dialogo tra le etnie e le religioni. Se la fine dei blocchi ha prodotto e tuttora tende a produrre una fase di instabilità internazionale, apre anche a nuove possibilità di intervento che in precedenza erano precluse. Ogni epoca porta con sé rischi ed opportunità. Appartiene al realismo cristiano considerare i primi e alla speranza cristiana valorizzare le seconde. Se la guerra si fa diffusa e decentrata, quotidiana e smaterializzata … ebbene, anche la pace lo può essere, e lo deve essere. Ciò che vale per il negativo vale anche e prima di tutto per il positivo.

Il contesto globalizzato cambia i connotati sociologici della pace, ma non ne altera la dimensione antropologica ed etica. Occorre quindi un supplemento di interpretazione del mondo di oggi nelle sue dinamiche principali e di coraggio profetico per poter annunciare e preparare la pace anche nel nuovo contesto globale. Parallelamente, serve anche la capacità di recuperare il senso pieno della pace. Possiamo allora chiederci quali siano le nuove esigenze della pace e, quindi, quali strade possiamo percorrere per costruirla e realizzarla meglio di quanto non siamo riusciti a fare fino ad ora.

a) Acquisire una mentalità preventiva. È plausibile ritenere, in primo luogo, che la pace richiederà sempre di più di essere ricercata con una mentalità attrezzata a prevenire i conflitti piuttosto che con interventi a posteriori. Le cause della guerra si moltiplicano e si intrecciano. Le cause legate ad interessi economici si aggiungono a conflitti etnici o religiosi; il retaggio di storici rancori si combina con situazioni politiche di incertezza o di dispotismo; sofferenze sociali alimentano rivendicazioni espresse in forme violente che spesso si combinano con la lotta per la sopravvivenza, oppure con le tensioni provocate dal possesso di risorse naturali. Il carattere dell’incertezza caratterizza così anche la guerra e, quindi, la pace, come altri importanti fenomeni sociali del nostro tempo. Che la guerra sia un’«avventura senza ritorno», come aveva detto Giovanni Paolo II, è purtroppo vero anche dal punto di vista delle novità sociologiche: una volta scoppiata diventa difficilissimo dipanare il groviglio delle sue cause per intervenire ex post e ristabilire la pace. Per tutti i motivi che ho qui brevemente richiamato, il futuro richiederà sempre di più una maggiore prevenzione dei conflitti piuttosto che una loro «riparazione» posteriore. Pertanto non si può non concordare con quanti affermano che la complessità del mondo globalizzato non richiede meno politica, ma una intensificazione del ruolo della politica, proprio per gestire la maggiore incertezza con un dialogo più aperto e una concertazione più responsabile. In questo contesto va collocata l’esigenza, più volte richiamata dalla Santa Sede, di potenziare e riorganizzare gli Organismi internazionali.

b) Coltivare una «ecologia umana» internazionale. La guerra è oggi un fenomeno globale e questo dato deve far emergere sempre di più, come risposta attiva, che anche la pace è un fenomeno globale. Credo che questa globalità vada intesa soprattutto in senso intensivo: il venir meno dell’ecologia politica e perfino dell’ecologia naturale, dipendono dal venir meno della «ecologia umana» (Cf. Centesimus annus n. 38) Cosa si intende con questa espressione? Significa che non solo l’ambiente naturale, ma anche l’ambiente umano – la famiglia, la società, l’economia e la politica – richiede il rispetto di una sua propria ecologia, di un suo funzionamento fisiologico ove la dignità della persona sia veramente posta al centro.

Ora, il fatto nuovo tipico della società globalizzata è che tendono a sparire i confini tra ecologia naturale (ossia il rispetto responsabile dell’ambiente), ecologia sociale (la giustizia e la promozione di persone e gruppi), ecologia politica (le relazioni tra gli Stati e gli organismi politici) ed ecologia umana (un ambiente morale in cui la dignità della persona sia rispettata). I confini tendono a sparire nel senso che le interrelazioni tra questi ambiti sono sempre più strette e complesse. Questo fenomeno è particolarmente evidente nel caso della guerra. Per esempio: le lotte per sfuggire alla povertà ed accaparrarsi risorse naturali generano conflitti; a loro volta i conflitti comportano distruzione di risorse naturali e generano povertà. Le lotte per garantirsi i diritti di sfruttamento dell’ecosistema (si pensi alla bioingegneria vegetale ed animale che tenderebbe a mettere il proprio copyright sulla biodiversità) generano profitti e benessere per alcuni, ma anche possono indurre ceti e popoli alla povertà. Trovo che il concetto di ecologia umana possa fornire una chiave di lettura dei fenomeni del conflitto e della guerra e quindi, in positivo, della pace, in grado di aiutarci a fronteggiare le nuove sfide globali. Essa permette di intendere l’interconnessione nell’uomo dei diversi ambiti di ecologia e la necessità di un impegno coerente e orientato perché, come in un sistema di vasi comunicanti, tutto influisce su tutto. La costruzione della pace si fa oggi in primo luogo, impegnandosi per una ecologia umana plenaria, per un rispetto della dignità dell’uomo in tutti gli ambiti.

c) L’impegno delle religioni. Fino a qualche anno fa sembrava vincente l’idea di uno spazio pubblico internazionale «neutro» rispetto alle religioni, affidato quasi esclusivamente agli Stati e, in particolare, alle due superpotenze. Sembrava che nel mondo occidentale la valenza pubblica della religione fosse inibita dalla laicità della vita politica, quando non dal laicismo e dal processo di secolarizzazione che tendevano a relegare la religione nel privato. Inopinatamente, invece, dopo il crollo del Muro e la fine dei blocchi, anche le religioni sono state sdoganate. In Occidente si è così appreso che, sotto la patina di un secolarismo rampante, vivevano forti tensioni religiose e non solo nella forma consumistica della New Age. Gli Stati Uniti, per esempio, considerati l’avanguardia della secolarizzazione in Occidente, hanno riscoperto le proprie radici religiose al punto che qualche osservatore parla di una crescente differenziazione proprio su questo punto tra Stati Uniti ed Europa. In Oriente, dalla disgregazione dell’impero sovietico sono emerse molteplici appartenenze religiose, che in alcuni casi, purtroppo, sono addirittura esplose anche in forma di virulenti conflitti. Le migrazioni globali, d’altra parte, hanno posto le religioni l’una accanto all’altra e la scena politica mondiale, con le sue note vicende, ha condotto alla ribalta della cronaca e della politica la religione islamica. Tutto questo comporta non solo un rinnovato peso sociale e politico delle religioni, ma soprattutto una loro rivendicazione di «diritto» a un ruolo pubblico. Se talvolta ciò è stato ed è fonte di conflitto e di guerra, ritengo che possa e debba diventare oggi e domani elemento di pace. Su questo terreno si giocheranno sempre di più nel prossimo futuro le sorti della pace nel nostro mondo. Una condizione fondamentale per la pace è che le religioni sappiano evitare con sempre maggiore accortezza i due estremi del fondamentalismo laico e del fondamentalismo religioso. Il fondamentalismo laico non ammette la presenza della religione nello spazio pubblico, relegandola ad affare privato; il fondamentalismo religioso si risolve nell’occupazione diretta dello spazio pubblico, senza rispetto del principio cristiano di laicità: simili posizioni non possono avere altro esito se non quello di aumentare i conflitti religiosi. Come si vede, sarà sempre più importante garantire in futuro la libertà religiosa non solo nei testi costituzionali, ma soprattutto nella pratica politica concreta. La libertà religiosa non è causa di guerra, anzi essa è la condizione per evitare il fondamentalismo sia laico sia religioso, le due principali forme di intolleranza religiosa nel mondo di oggi.

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Letto 1958 volte Ultima modifica il Giovedì, 02 Novembre 2006 00:45
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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