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Giovedì, 20 Marzo 2008 23:19

Quale mediazione culturale? (Franco Valenti)

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In tutti i paesi di immigrazione si impone la necessità di sondare nuovi codici di comunicazione idonei a costruire una nuova rete di relazioni sociali.

Come intendere i termini mediazione e cultura

La storia dell'umanità è caratterizzata dal movimento e dalla creazione continua di reti e intrecci tra persone provenienti da contesti geografici diversi. (Adel Jabbar)

In tutti i paesi di immigrazione si impone la necessità di sondare nuovi codici di comunicazione idonei a costruire una nuova rete di relazioni sociali. Tutti concordano con l'urgenza e la necessità di intraprendere nuovi percorsi, ma difficilmente ci si trova in sintonia nella definizione delle strategie. Tale difficoltà è intrinsecamente connessa alla natura stessa delle relazioni sociali complesse, proprie delle odierne società cosiddette multiculturali. Non diciamo che le società "tradizionali" non soffrissero di contraddizioni e di contrapposizioni, ma la presenza di una nuova componente sociale multiforme (e tali sono tutte le nuove appartenenze connesse ai flussi migratori) viene a complicare ulteriormente lo scenario delle relazioni sociali.

La storia di paesi di più vecchia immigrazione - Inghilterra, Olanda, Francia... - è costellata di tentativi, di fallimenti e talvolta di intuizioni pregevoli. Sicuramente i diversi approcci assimilazionisti, egalitaristi o differenzialisti hanno creato diverse macerie sociali, ma i correttivi introdotti, soprattutto in questi ultimi 10 anni, hanno perlomeno la bontà di dimostrare la buona fede della ricerca di soluzioni non predefinite e non dettate dagli opportunismi della politica.

Come intendere i termini "mediazione" e "cultura"

È possibile ragionare in termini di "mediazione culturale"? Anzitutto, laddove si riscontra la necessità di una mediazione si ammette un cortocircuito delle relazioni che necessita dell’introduzione di un vettore in grado di trasferire il detto, il pensato, l'esperimentato, il percepito. Trattandosi, nel nostro caso, di un settore costituito da persone che soggettivamente si mettono in relazione agli altri ed all'esterno, è pressoché impossibile pretendere una neutralità nel trasferimento delle informazioni o nella loro interpretazione. Ciò che viene acquisito, viene rielaborato ed assume una connotazione personale. Quindi per il trasmettitore dell'informazione è fondamentale il modo in cui svolge il suo ruolo.

Per quel che riguarda il contenuto, veicolato ovviamente attraverso il linguaggio formale (lingua) o informale (gestualità), non sempre esso viene veicolato "neutralmente"; p. es., i traduttori simultanei spesso esprimono il concetto con circonlocuzioni che affondano le radici in un patrimonio linguistico e simbolico del proprio vissuto. Ciò che viene veicolato inevitabilmente prende delle contaminazioni nell'atto stesso della trasmissione.

A fronte di tutte queste difficoltà diventa incontornabile la necessità di fondare la "mediazione" (e quindi la trasmissione di "significati") su conoscenze di antropologia culturale, di etnopsicologia e di etnosociologia. In altre parole l'armamentario che fornisca strumenti validi per riconoscere dignità concreta alla "mediazione culturale" deve avere dei fondamenti scientificamente validi. Ma, viste le necessità impellenti, e le emergenze che ancora connotano l'evoluzione del fenomeno migratorio contemporaneo, ci si affida a persone che, conoscendo la lingua dei paesi di origine, possono essere funzionali alla trasmissioni di informazioni o essere in grado di descrivere, più che decodificare, i codici comportamentali di diversi gruppi di cittadini stranieri.

Ambiti come la scuola, la sanità, la giustizia, i servizi sociali, ecc., richiedono strumenti linguistici plurimi, perché il fenomeno migratorio è ancora in una fase di crescita e di diversificazione. È frequente il caso in cui una scuola che si trova a dover accogliere ad anno scolastico già iniziato diversi minori stranieri in età della scuola dell'obbligo, sia costretta a ricorrere ai cosiddetti "mediatori culturali" per poter facilitare l'apprendimento della lingua italiana da parte dell'alunno e per comunicare alle famiglie notizie o avvisi in lingua a loro comprensibile.

Ma tale fase, pur travolgente al presente, non può impedire di guardare con lungimiranza ad un futuro in cui le relazioni interculturali potranno trovare una loro naturale definizione. Il crescere delle seconde generazioni e la diminuzione delle barriere linguistiche - che possono trovare una sola convergenza nella lingua veicolare più utilizzata nel paese di approdo - diminuiranno l'emergenza delle difficoltà. molto contingenti, ma non diminuiranno la necessità di indagare il mondo dell'immaginario e dei simboli che ogni individuo ed ogni gruppo sociale porta in sé.

Dalla "mediazione culturale" alla "società interculturale"

L’attuale cosiddetta "mediazione culturale" rappresenta quindi più una transizione, un guado verso una società non più solamente plurilinguistica, ma una società necessariamente interculturale. Infatti, passato il momento delle prime generazioni, sprovviste della padronanza delle competenze linguistiche del paese di arrivo, sempre più neo cittadini entreranno a pieno titolo in tutti gli ambiti del lavoro e della vita sociale, esercitando contemporaneamente una attività professionale acquisita di medio-alto livello e possedendo un di più di conoscenza delle dimensioni linguistiche e culturali delle aree di provenienza. La mediazione quindi sarà effettivamente esercitata da comuni cittadini attivamente presenti in tutti i gangli della vita sociale, che, proprio grazie alla loro presenza, introdurranno efficacemente un nuovo atteggiamento relazionale di comprensione e di rispetto che potremmo definire con il termine "interculturale".

Da questa riflessione, appare chiaro come il fattore tempo rappresenti una delle dimensioni fondamentali della interculturalità, perché sarà proprio il tempo ad essere il testimone privilegiato delle trasformazioni sociali in atto. Allo stato attuale quindi sarebbe opportuno trovare il modo per accelerare tale processo, introducendo in tutti i servizi personale straniero o cittadini di origine straniera che possiedano, contemporaneamente, sia lo competenze professionali necessarie sia la loro peculiarità di conoscenze linguistiche e di contenuti culturali connessi con le aree di provenienza. Quindi, il prodotto dell'azione della "mediazione culturale" dovrebbe essere una società "naturalmente" interculturale. E il tempo dovrebbe favorire la sedimentazione di tutti i ricordi costitutivi di una società umana, sempre dinamicamente in trasformazione, fino a diventare una "memoria" comune, fondante delle relazioni intersoggettive ed intercomunitarie. La pervasività di tale memoria collettiva, forgiata a partire dalla premessa della molteplicità delle appartenenze e delle identità, potrebbe rappresentare il fine da perseguire in tutta l'azione della mediazione tra soggetti o comunità naturalmente differenti.

Dalla pervasività alla naturalità delle appartenenze diverse, sempre esistite e presenti, potrebbe nascere la dimensione di interculturalità delle nostre moderne convivenze.

Franco Valenti

(da Cem Mondialità, marzo 2005, pp. 41-42)

 

Letto 4321 volte Ultima modifica il Domenica, 31 Gennaio 2016 21:58
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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