I Dossier

Venerdì, 20 Agosto 2004 20:52

Il futuro dell'uomo. Un nuovo umanesimo? (Christiane Singer)

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Conferenza pronunziata all'Università' di Còrdoba nel marzo 1989, durante un colloquio che riuniva sociologi, politologi e filosofi sul tema: "Il futuro dell'uomo, un nuovo umanesimo".

Le donne - dice un proverbio cinese sostengono la metà del cielo. Abbiamo perciò a che fare con un problema elementare di statica: se la metà delle colonne che sostengono il peso venisse a mancare, la volta celeste crollerebbe.

Valéry, in Eupalinos ou l’architecte, deplora che le audaci costruzioni dell'intelletto non dispongano di quel piccolo correttivo così invidiabile che ha l'architettura: concepiti senza rispettare le leggi della statica, i suoi edifici crollano, mentre i progetti dello spirito si levano tanto più in alto quanto più sono vuoti e leggeri...

Se il nostro congresso si può accontentare di una metà delle colonne senza che la volta si abbatta sulle nostre teste, l'umanità non potrà farlo. E certo qui non sono solo io a rallegrarmene!

Vorrei invitarvi a gettare uno sguardo al di sopra della barriera ontologica sulla nostra società in questa fine di secolo ansimante.

La prima cosa che caratterizza un organismo vivo sotto il sole - e una società è un organismo - è la sua respirazione, questo scambio costante che unisce l'uno e il tutto, la particella e l'insieme, paradigma di tutti i ritmi, apparentemente binari (inspirazione-espirazione), ma quaternari se si considerano le apnee, le due pose fluttuanti tra i poli: accogliere-restituire; prendere - donare; nascere - morire; giorno - notte. Questo ritmo della respirazione è quello inerente ad ogni vita sulla terra - la pulsazione del vivente.

Ora, quel che colpisce a prima vista è che la respirazione di questa società è malata. La sua aritmia è di natura asmatica. Essa pompa e aspira rumorosamente, ma non restituisce più quell'aria di cui si è gonfiata, per paura di esserne privata. E così soffoca a poco a poco, non per mancanza ma per eccesso. Tirando a sé tutta la coperta, muore di troppo, di sovrappiù. Giace sotto una montagna di prodotti e di detriti e continua ad accumulare tutti i beni, ad aspirare a tutte le risorse del mondo. Crudele sindrome del mondo civilizzato!

(Uno pneumologo mi faceva notare, poco tempo fa, una differenza essenziale tra un occidentale e un orientale: pregati tutti e due di inspirare profondamente, reagiranno in maniera diametralmente opposta: il primo inspirerà subito con vigore, mentre il secondo vuoterà anzitutto i polmoni dell'aria che contenevano: seguirà naturalmente un'inspirazione naturale e profonda).

La nostra società non sa espirare, restituire, lasciare la presa, badare alle pause dell'apnea. Mossa da un'avidità insaziabile, spinta in avanti come una trottola, sta per inghiottire tutto. L'accecamento e l'accelerazione incessante formano a dir poco un duetto spaventoso.

A ogni livello si riproduce questo stesso schema di comportamento, che privilegia l'avere, la soddisfazione immediata dei desideri, la precipitazione, la rudezza, a detrimento dei loro corollari: l'essere, puro e semplice, la disponibilità, la pazienza, la crescita lenta, la dimensione contemplativa. Lo yang distrugge lo yin (ricordiamo che dall'equilibrio di queste due energie dipende l'equilibrio del mondo nella cosmogonia cinese). Distruggendo lo yin in tutte le sue manifestazioni metafisiche e sociali, lo yang si distrugge da sé - poiché queste due forze sono i due aspetti di una sola e medesima realtà - flusso e riflusso dello stesso oceano - recto e verso di uno stesso foglio.

Ne consegue che, nella nostra società, soltanto una parte della realtà è tenuta in considerazione, esaltata, ipertrofizzata, gonfiata al silicone: il piacere, la salute, la giovinezza, la sicurezza, l'agio, la velocità. L'altra dimensione, benché inerente alla prima, è occultata, atrofizzata, negata, rigettata: la malattia, la sofferenza, la morte, lo sforzo, l'addestramento, la responsabilità, la vecchiaia.

Completamente dimenticato l'ammonimento dell'Ecclesiaste (Qoèlet 3, 1-5):

Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
C'è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
Un tempo per piangere e un tempo per ridere,
un tempo per gemere e un tempo per ballare.
Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,
un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.

Il disprezzo della legge del creato provoca l'effetto contrario: volendo aver tutto ad un tempo e sempre, ci priviamo della vera intensità. "Rapinando" tutto, derubiamo a noi stessi.

Niente è più lugubre di questo martedì grasso a perpetua memoria della nostra società dei consumi - questa indigestione ininterrotta che nessuna quaresima può alleviare! Che cosa sa del sapore di un frutto o del pane colui che non ha mai praticato il digiuno? Che cosa sa dell'amore colui che si abbandona alle eccitazioni così cupa-mente ripetitive della genitalità per arrivare a più o meno lunga scadenza ai surrogati della sregolatezza e della violenza?

È lugubre e cupa questa nuova galera chiamata "libertà sessuale". Che sa dell'amore colui che strappa la più sottile dimensione dell'essere alla complessità del rituale amoroso, ai prolegomeni del desiderio e dell'attesa, allo sfumato dell'immaginario, alle alternanze di una castità decisa? È perdente colui che sostituisce al luminoso regno dell'éros la pornografia dagli occhi morti.

E la malattia? Quanti di noi conoscono ancora la sua dimensione iniziatica e l'accolgono con rispetto, pazienza, disposti ad un ascolto profondo, invece di aggredirla fin dall'inizio con analgesici e di assestarle tutti i colpi di calcio e di randello che offre l'ampia tavolozza della terapia chimica?

E la vecchiaia? Trattata come un diverticolo spiacevole di cui il progresso della scienza ci promette presto l'asportazione. Odiata, disprezzata come la morte, perché come questa appartiene al regno dello yin, della disponibilità, dell'apertura, dell'accoglienza, del vuoto, della non frenesia, del non rendimento - in una parola al regno dell'anima.

Lo sconvolgimento dei ritmi, questa ignoranza delle fluttuazioni e dei ritmi ondulatori che costituiscono l'universo, rende la nostra società così temibile per coloro che la compongono, per se stessa e per il nostro pianeta.

Se cerchiamo l'origine di questo sconvolgimento dei ritmi nella nostra società industriale progredita della fine del XX secolo, ne troveremo i germi nelle nostre abitudini di pensiero. Le nostre cerebralità occidentali non conoscono più altro che il movimento fatale del bilanciere: o / o. Tutto il nostro pensiero è oggi atrofizzato. I grandi artisti del Rinascimento potevano essere ad un tempo tecnici e alchimisti, storici e mitologi, scienziati e mistici, potevano alimentarsi della coesistenza dei principi che, per noi poveri spiriti contemporanei, si escludono. È o / o!

Solo la molteplicità degli accessi al reale ci può dare qualche idea del suo splendore. Ma di ogni diamante noi vogliamo vedere solo una faccetta! Cioè: l'autoritarismo o la permissività senza bussola, la scienza o la poesia divinatrice, la logica serrata o l'intuizione, il materialismo cieco o la visione mistica, il profano o il sacro, ecc.

Il nostro modello è ancora quel giovane di ventitré anni chiamato Cartesio e la sua improvvisa illuminazione del 10 novembre 1619 - non un'illuminazione religiosa (la società in cui egli vive è profondamente religiosa), ma un'illuminazione razionalista, se così posso dire -: egli scopre i principi di "un metodo universale per la ricerca della verità" e decide di fare tabula rasa di tutte le conoscenze precedenti, di ricostituire l'edificio del sapere con la sola luce della ratio. Che superba iniziativa e come ha ragione, quel giovane stanco dell'ingarbugliamento scolastico, della palude concettuale in cui si era smarrito l'aristotelismo, come ha ragione di voler fare tabula rasa! Non c'è teoria, non c'è filosofia, non c'è Weltanschauung che non abbia il suo tempo biologico, il suo tempo di energia e di splendore - e il suo tempo di ramo secco. Ogni impulso benefico, generatore di vita e di rinnovamento si trasforma, se non è continuamente rinnovellato, riinnestato al circuito principale del pensiero vivo, in una massa amorfa e ingombrante. Così capitò alla scolastica all'inizio del secolo XVII.

Vedendo aprirsi davanti agli occhi le prospettive inebrianti di una scienza nuova, il giovane Cartesio promette alla vergine Maria un pellegrinaggio a Notre-Dame-de-la-Lorette, che adempirà due anni dopo. E così egli è l'ultimo a partecipare ai due regni: a gustare le dolcezze del precartesianesimo e a inebriarsi dell'aria vivificante della ratio tutta nuova! (Ricordiamo per inciso che l'altro motore del moderno spirito scientifico, citato altrettanto spesso di Cartesio, Newton, aveva anche lui familiarità con i due mondi e siglava ogni foglio dei suoi manoscritti con la sigla S.D.G.: Soli Deo Gloria. Grande specialista della qabbalah, che studiò per vent'anni, non scriveva all'inizio di ogni sua ricerca - come si può verificare nella Royal Academy ofScience a Londra -: "Questa è solo un'infima parte degli Ordinamenti del Cosmo così come li ho potuti calcolare a partire dalle strutture fondamentali rivelate dalla Torah"?)

In tre secoli e mezzo, l'aria vivificante apportata da questo spirito nuovo si è trasformata in una tenda ad ossigeno in una delle sale di rianimazione che simboleggiano così bene la nostra epoca e dove il gran trionfo tecnologico consiste nel mantenere in vita a tutti i costi sia i morti soggetti a dilazione sia le ideologie antiquate del materialismo assoluto.

Abbandonando la terra nutrice della fede, quell'humus etimologicamente comune all'umiltà e all'umorismo, lo spirito umano, ormai pesante e testardo, si arrampica sull'albero della conoscenza, trasformato da un bel po' di tempo in traliccio ad alta tensione.

O/o - oscillazione fatale del fatale bilanciere! Perché è così difficile per la nostra civiltà comprendere la natura del Reale - il suo movimento fluttuante, la sua incessante metamorfosi, quel tessuto di correlazioni e di complementarietà che lo costituiscono?

E inutile che la scienza contemporanea e soprattutto la fisica nucleare, dopo Werner Heisenberg e Niels Bohr, ci diano conferma di questa natura del reale attestata dagli antichi sistemi cosmologici e religiosi: noi persistiamo nelle nostre società a inforcare gli occhiali riduttivi di un positivismo miope all'Auguste Comte.

In questo sistema di falsa chiarezza riduzionista, ogni complessità è percepita come un'ingiuria. Non c'è posto per il riverbero, per la molteplicità degli approcci e dei livelli, per la complementarietà delle visioni. Lo spirito, esattamente come la natura nel suo complesso, si trova minacciato dal crollo del campo vibratorio, dall'entropia. Ogni teoria è subito colpita dal virus mortale del monopolio e tende a imporsi ferocemente come esclusiva, inconciliabile. Tutta la nostra storia europea, sia sul piano delle idee sia sul piano sociale e politico, è una storia di ostracismo e di persecuzione, di estradizione e di esclusione. Dovunque si annodano nel tessuto sociale questi vincoli di fissazione, di proliferazione, queste ulcere cancerogene.

Sarebbe ora di non sostituire più una opzione con un'altra, di riprendere gusto a quella perpetua instabilità, all'infinita fluttuazione delle apparenze, a quel transfert permanente di energie e di informazioni, a quel gioco di echi e di risonanze di cui vibrano la materia creata e lo spirito: sono un tutto unico. Sarebbe ora di ricordarci di ciò che sappiamo nel più profondo di noi stessi: che le antinomie compongono una stessa realtà, le due facce della stessa medaglia, prodotta da una sola e medesima colata! U mondo è il luogo dell'alleanza, dove si celebra l'incontro delle antinomie, dove il fuoco e il ghiaccio, il dolce e l'amaro, il giorno e la notte, la festa e il lutto, la vita e la morte, l'uomo e la donna festeggiano insieme i loro misteri.

Molti lo sospetteranno già: la rivoluzione di cui stiamo parlando si gioca in ciascuno di noi. Non si tratta di un fenomeno di massa che bene o male (e il più delle volte male!) trasforma la vita di ognuno, ma di una trasformazione della coscienza che, a partire da ciascuno di noi, risplenderà sul mondo che ci circonda.

A tale proposito, non resisto al piacere di raccontarvi una storia meravigliosa della tradizione sufica.

Un vecchio saggio viene interrogato sull'arco della propria esistenza fino ad oggi. Ed ecco come ne riassume le tre tappe: "A vent'anni conoscevo solo una preghiera: "Dio mio, aiutami a cambiare questo mondo così insopportabile, così spietato". E per vent'anni mi sono battuto come una belva per costatare in fin dei conti che non era cambiato niente. A quarant'anni, conoscevo una sola preghiera: "Dio mio, aiutami a cambiare mia moglie, i miei parenti e i miei figli"! Per vent'anni ho lottato come una belva per costatare in fin dei conti che non era cambiato niente. Ora sono un vecchio e conosco una sola preghiera: "Dio mio, aiutami a cambiare me stesso"; ed ecco che il mondo cambia intorno a me!".

Ma intendiamoci! Non si tratta di rinunziare all'azione, ma al contrario di scoprire un'azione nuova in uno spirito libero, libero dalle scorie del potere, del voler apparire, delle vanità individuali, delle rivalità, dei regolamenti di conti! Un'azione libera nella gioia di servire!

"Ho fatto molto" diceva Platone "se sono riuscito a risvegliare in chi mi ascolta la memoria di ciò che già sa".

La reminiscenza che qui si tratta di risvegliare è quella della nostra doppia appartenenza.

Noi ci comportiamo su questa terra da amnesici - o, peggio, come un ubriaco che mette a soqquadro l'albergo che sta lasciando perché è sicuro che non ci tornerà più. Abbiamo dimenticato la nostra vera identità, che ci lega ai due principi del creato: il vuoto e il pieno, il visibile e l'invisibile, il dicibile e l'indicibile, il pensabile e l'impensabile, il palpabile e l'impalpabile. La via terrena e la via interiore! "Formare, creare, inventare il mondo, da un lato e, dall'altro, progredire nel cammino interiore" (K.G. Dürckheim).

Azione - contemplazione. Il nostro yang e il nostro yin dell'inizio.

Privato dell'una o dell'altra di queste dimensioni, l'essere umano è selvaggiamente mutilato.

Per questo la sfida della nostra epoca non è né una sfida economica, né una sfida politica, né una sfida scientifica, è una sfida di un ordine ad un tempo psichico e mistico.

Se in questo mondo, in cui minaccia di sparire, non risvegliamo in noi questa dimensione d'eternità, di contemplazione, di accoglienza, la dimensione femminile e sacra in noi, se non creiamo queste oasi di silenzio dove la frenesia si trova sospesa, noi avremo dimenticato la nostra vocazione di uomini e di donne.

In questo rilancio di prodotti, in questa pletora di beni, in questo eccesso di parole, di slogan, di ideologie che ci soffocano, non abbiamo bisogno di una nuova teoria, né di un altro messianismo, né di una nuova ideologia della beneficenza, e nemmeno - oso dirlo! - di un nuovo umanesimo! Abbiamo soltanto bisogno di un silenzio, di una pausa, di un'amnistia: tempo di riallacciare rapporti con la nostra identità autentica.

Christiane Singer

(in Del buon uso delle crisi, 1999, pp. 21-31)

 


 

Profilo biografico: è nata a Marsiglia nel 1943. Dapprima lettrice presso l'università di Basilea, è diventata in seguito docente all'università di Friburgo, dedicandosi infine esclusivamente all'attività di scrittrice. Le rotture, le crisi, i cedimenti e le resurrezioni sono sempre state al centro dei suoi romanzi. È morta nel 2007, dopo una dolorosa malattia. Ha raccontato questa sua esperienza in Ultimi frammenti di un lungo viaggio, pubblicato postumo (Sonzogno, 2008).

Opere di Christiane Singer: ha pubblicato diversi romanzi tra cui La Mort viennoise (Premio delle Librerie, 1979), Storia d'anima (premio "Albert Camus", 1989) pubblicato dall'editrice Servitium (1998) e la Guerre des filles. Il saggio Les âges de la vie è stato pubblicato dalla Lyra Libri con il titolo Il tao della vita (1996). Presso Servitium anche Del buon uso delle crisi (1999); Elogio del matrimonio, del vincolo e altre follie (2007).

Il testo che presentiamo: al di là della disperazione, tutte le imperfezioni dell'esistenza nascondono una potenza rivelatrice. Infatti ci stimolano verso un sovvertimento d'amore e ci conducono sulla soglia di una insospettata liberazione. La sfida del futuro dell'uomo non è soltanto una sfida di carattere scientifico ed economico, ma anzitutto nell'ordine psichico e mistico.

 

Letto 4797 volte Ultima modifica il Lunedì, 15 Aprile 2013 14:09
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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