I Dossier

Fausto Ferrari

Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input


La divinizzazione che rimane come aspirazione nell'uomo può diventare una parola vuota, un'illusione crudele perché l'uomo si ritrova ad essere "secondo" l'immagine di ciò che ha creato, diventa a-logikós, folle e perverso perché adora ciò che non ha consistenza di vita eterna, adora la visibilità della vita creata.

Martedì, 01 Marzo 2005 22:27

I Padri Apologisti (Lorenzo Dattrino)

I Padri Apologisti
di Lorenzo Dattrino




A confronto con giudaismo, paganesimo e impero romano.

Un primo aspetto fondamentale del cristianesimo è l’universalità : una religione non di un solo popolo, ma per tutti. I cristiani adorano un solo vero Dio; professano una morale in antitesi con i criteri tradizionali del paganesimo; il mondo pagano cerca, a più riprese, ora di emarginare, ora di assorbire il cristianesimo. Ma i cristiani mantengono la propria identità e sopportano con coraggio le persecuzioni.  In questo clima ostile escono allo scoperto non pochi scrittori cristiani: loro primo obiettivo è dissipare le opinioni correnti che mettono in falsa luce la fede e la vita dei cristiani. 

L’apparizione di tali opere va considerata come un fatto del tutto nuovo nella storia del cristianesimo, anche per la natura di tali scritti.  Gli apologisti intuiscono che occorre scendere sul terreno stesso degli avversari per dimostrare che è la dottrina cristiana la vera interprete della ragione dell’uomo, e non le molteplici e spesso contraddittorie enunciazioni della filosofia.  L’azione degli apologisti, inoltre, si propone di rendere accettabile la dottrina cristiana sotto la luce della piena credibilità, e di guadagnare proseliti alla chiesa.

L’interrogativo drammatico che i pensatori cristiani si propongono è questo: dialoghiamo con il mondo, oppure, per mantenere la nostra identità, ci arrocchiamo e non permettiamo che il Kerigma venga “annacquato “ dalla filosofia pagana ?

Scorgiamo due risposte : quella di Taziano, il quale intende “chiudere porte e finestre“ per non lasciare entrare nemmeno uno “spiffero di ellenismo“; quella di Giustino, il quale spalanca le porte e vuole dialogare a 360 gradi. Prevarrà la linea del dialogo e sarà vincente.  Il Kerigma cristiano, nato in contesto semitico, viene inculturato nel contesto ellenistico e permea l’area del bacino del Mediterraneo.

Relazione introduttiva del presidente
La spiritualità ecumenica
Card. Walter Kasper


La spiritualità ecumenica. Relazione introduttiva del presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani card. Walter Kasper, in "Il regno-documenti", 21 (2003), pp. 653-658; riduzione del testo a cura di Cesare Filippini.



I princìpi

Il Pontificio consiglio non fa ecumenismo a suo gradimento, né cerca di imporlo come gli aggrada, ma compie la missione che Gesù ha affidato ai suoi discepoli alla vigilia della sua morte (Gv 17,21) e agisce per mandato della Chiesa che ha scelto il cammino ecumenico inaugurato dal Concilio Vaticano II. L’ecumenismo non è una semplice appendice alla missione pastorale della Chiesa, ma appartiene organicamente alla sua vita e alla sua azione (Unitatis redintegratio, n. 1), ed esso è una delle priorità pastorali dell’attuale pontificato (Ut unum sint, n. 99).

La promozione dell’unità dei cristiani è compito dell’ecumenismo ad extra, cioè ell’ecumenismo del dialogo; dell’ecumenismo ad intra, cioè la promozione e divulgazione dello spirito e dell’azione ecumenici nella stessa Chiesa cattolica. Questi due ecumenismi devono avvenire nella verità e nella carità. Il suo scopo dichiarato è l’unità visibile della Chiesa nella fede, nei sacramenti, soprattutto nella comune celebrazione dell’eucaristia e nel ministero gerarchico.


La situazione ecumenica: luci e ombre

1. Siamo testimoni di un’incoraggiante crescita alla base della consapevolezza ecumenica. L’ecumenismo è una realtà scontata, solidamente radicata nella vita della Chiesa. Esso non ha assunto soltanto la forma di un’attività esteriore, ma abbiamo un gran numero di testimonianze toccanti di una spiritualità ecumenica vissuta. Nell’insieme, si può affermare che il compito affidato al Pontificio consiglio corrisponde alle attese e alle aspirazioni di numerosi cristiani, "che tutti siano una cosa sola".

È ancora attuale quanto Giovanni Paolo II ha sottolineato nell’enciclica Ut unum sint riferendosi ai frutti del dialogo (n. 41; EV 14/2741). Il Santo Padre afferma che il vero frutto è la fraternità ritrovata.

L’unità della Chiesa è, al tempo stesso, segno e strumento dell’unità del genere umano (LG n. 1). Per questo motivo, la solidarietà dei cristiani tra di loro è un servizio reso a tutta l’umanità. In questo senso è stato commovente e significativo rilevare lo scorso anno, la sintonia non concertata delle Chiese e comunità ecclesiali, che si sono prnunciate a favore della pace e contro la guerra. Nella giornata di preghiera per la pace (2002 ad Assisi) hanno affermato insieme che Dio è una parola di pace, e che egli non può dunque, in alcun modo, essere invocato per giustificare la guerra.

2. Inversamente, esistono purtroppo tendenze d’orientamento opposto che suscitano tensioni e, a volte, anche divisioni in seno alle Chiese. Se, da una parte, si perviene a vincere gli antichi contrasti, dall’altra insorgono nuove divergenze, per la maggior parte in materia etica: aborto, divorzio, eutanasia, omosessualità; analogamente i problemi etnici, sociali e politici hanno spesso l’effetto di causare divisioni. Le tensioni tra le Chiese ortodosse autocefale, nell’ambito della Comunione anglicana e delle comunità di tradizione della Riforma, come anche a volte nella Chiesa cattolica, nuocciono al dialogo.

In tale contesto il Consiglio si chiede chi sono i suoi partner in una situazione in cui si constata la paralisi di alcune famiglie confessionali mondiali provocata dai loro conflitti interni. In linea di principio il Pontificio consiglio intrattiene un dialogo teologico con l’insieme delle Chiese ortodosse e con le famiglie confessionali mondiali.

Un altro problema sorge dal fatto che la consapevolezza ecumenica e la pratica dell’ecumenismo sono spesso superficiali. Il pensiero pluralista e relativista moderno e postmoderno, che si discosta dalla questione della verità, vuole negligere le differenze attuali in materia di fede e si impone una tolleranza mal compresa, non basata sul rispetto dell’opinione altrui, ma su un atteggiamento indifferente nei confronti delle proprie convinzioni di fede e di quelle dell’altro. L’ecumenismo, allora, non è la causa, ma la vittima di questo relativismo.

Di fronte a questo pericolo, in tutte le Chiese e comunità ecclesiali si notano i segni forieri di un nuovo confessionalismo. Malgrado le preoccupazioni, giustificate e non da trascurare, che affiorano in queste tendenze, non è una soluzione praticabile il ripiegarsi sulla propria identità confessionale che basta a se stessa. Il movimento ecumenico postula disponibilità al cambiamento di pensiero, alla conversione e alla riconciliazione. Quando alcuni comportamenti sconfinano nel fondamentalismo fanatico, essi possono condurre, anche oggi, a forme d’ostilità confessionale e perfino a manifestazioni violente.

3. Quest’ultimo fenomeno si riscontra in modo particolare nelle sette, antiche e nuove, e in numerosi movimenti neo-religiosi. Il problema è estremamente complesso e le sue cause sono molteplici. Il concetto stesso di setta è molto difficile da definire e fino a ora teologi e sociologi della religione non sono pervenuti a intendersi sull’argomento. Abbiamo a che fare con una vasta gamma di fenomeni che non sono affatto uniformi tra loro e che emergono nelle diverse regioni del mondo con caratteristiche diverse.

Sullo sfondo di questo movimento si intravedono diversi motivi ed elementi: delle autentiche preoccupazioni spirituali, elementi eclettici, sincretisti, ovvero ideologici di una nuova gnosi, motivi politici ed economici, smania del miracoloso, vanagloria, manifestazioni demoniache.

Il dialogo rimane molto difficile, se non spesso impossibile, con le sette che affermano in modo aggressivo un esclusivismo fanatico della salvezza. Nella pratica, tuttavia, molte sfumature sono possibili. Constatiamo ciò soprattutto con i movimenti carismatici e pentecostali.

Il dialogo con le Chiese orientali

1. Il dialogo con le Chiese orientali è stato una delle più accentuate priorità dell’attività del Consiglio durante gli ultimi due anni. Siamo molto vicini a queste Chiese nella fede, nei sacramenti e nel ministero episcopale e siamo legati ad esse in una "comunione della fede e della carità". Esse conservano una ricchezza spirituale che è patrimonio della Chiesa universale. Nei nostri contatti le difficoltà sono causate da fattori non teologici, dalla diversità di storia, di cultura e di mentalità. Tuttavia siamo lieti di poter affermare che i vincoli di communio fraterna con molte singole Chiese ortodosse si sono rafforzati in modo impensabile fino a poco tempo fa. A tali progressi ecumenici hanno ampiamente contribuito i viaggi del papa. Il Pontificio consiglio ha potuto anch’esso stabilire nuovi contatti e annodare nuove amicizie in occasione di una serie di visite.

Un’ulteriore e incoraggiante esperienza di dialogo è stata realizzata con le antiche Chiese dell’Oriente.

2. Le relazioni con la Chiesa ortodossa russa, nell’insieme buone fino alla svolta politica del 1989-1990, hanno assunto una configurazione delicata. A partire da quegli anni (’89-’90) vi sono state lamentele al riguardo del cosiddetto uniatismo (relativamente alla Chiesa greco-cattolica in Ucraina occidentale) e del proselitismo, lamentele che si sono riaccese nel febbraio 2002 con l’erezione di circoscrizioni ecclesiastiche nella federazione russa e, più recentemente, nel Kazakistan. A queste difficoltà si aggiungono i problemi teologici circa la comprensione della Chiesa (autocefalia, territorio canonico, comprensione del termine Chiesa sorella).

Tuttavia il dialogo non si è mai completamente interrotto: una serie di contatti informali hanno avuto luogo negli ultimi due anni e, più di recente, sono emersi segni della volontà di un netto, anche se lento, miglioramento delle relazioni. Sarebbe auspicabile stabilire una sorta di codice di comportamento tra il Patriarcato di Mosca e la Conferenza episcopale cattolica di Russia (ovvero la Santa sede).

3. Il problema principale nelle nostre relazioni con le Chiese orientali è costituito dall’impasse in cui si dibatte il dialogo teologico internazionale avviato nel 1980 con le Chiese ortodosse nel loro insieme. Difficoltà interne tra alcune Chiese ortodosse hanno impedito una nuova convocazione della Commissione, anche se si manifesta da parte di tutti il desiderio di continuare il dialogo.

Nel maggio scorso, il Pontificio consiglio ha convocato un simposio accademico cattolico-ortodosso sul ministero petrino. La riunione è stata caratterizzata da interventi ad alto livello scientifico e si è svolta in un’atmosfera molto positiva. Il problema teologico centrale è quello della koinonia/communio, quello cioè che riguarda l’autocefalia. In prospettiva futura bisogna elaborare il concetto concreto e la prassi di una comunione universale nel pieno rispetto delle ricche e antiche tradizioni liturgiche, teologiche, spirituali e canoniche delle Chiese orientali.

I rapporti della Chiesa cattolica con singole Chiese orientali seguono un cammino positivo e pieno di promesse.

Il dialogo con le comunità ecclesiali occidentali

1. Le differenze non soltanto storiche e culturali, ma anche di carattere dottrinale, con le comunità ecclesistiche occidentali sono più gravi di quelle con le Chiese orientali. Quanto è stato detto sui cambiamenti della scena ecumenica e sulle luci e ombre dell’ecumenismo si applica anche ai dialoghi con le comunità ecclesiali occidentali. Tra le Chiese e comunità ecclesiali, la Chiesa cattolica è di gran lunga la Chiesa che intrattiene il maggior numero di dialoghi ecumenici. Dalle Dichiarazioni ufficiali i dialoghi avanzano lentamente, ma con serietà.

Un accenno particolare merita il dialogo con la Comunione anglicana che progrediva assai positivamente, ma che improvvisamente, a causa dei nuovi problemi etici, ha rallentato il cammino.

2. Un’analisi più approfondita di tali difficoltà permette di constatare, al di là degli umori del momento, per la maggior parte passeggeri, il problema di fondo nel dialogo con le comunità ecclesiali di tradizione della Riforma. Abbiamo a che fare con delle ecclesiologie diverse che conducono a diverse concezioni dello scopo ecumenico al quale si tende. Tali concezioni suscitano attese differenziate che, per loro natura, provocano delusioni da una parte e dall’altra proprio per il fatto che un partner non risponde a ciò che l’altro si attende da lui. Questa situazione ha portato ad una sorta di situazione di stallo che rende impossibile ogni progresso sostanziale, fino a quando cioè le questioni dell’ecclesiologia non saranno fondamentalmente risolte.

Lo scopo ecumenico, dal punto di vista cattolico, è la comunione piena e visibile nella fede, nei sacramenti e nel ministero gerarchico. Questa comunione – vedi l’esempio delle Chiese orientali – considera una ricchezza la pluralità delle forme d’espressione delle diverse Chiese locali a condizione che esse non comportino divergenze sostanziali. Da ciò si discosta il modello d’unità proposto dalla Concordia di Leuenberg (1973) diventato predominante soprattutto nel contesto del protestantesimo del continente europeo.

Secondo tale modello, le Chiese confessionali fino ad ora separate adottano una forma di comunione ecclesiale che presuppone un consenso di principio circa la comprensione del Vangelo, pur lasciando sussistere professioni di fede diverse. Dal punto di vista confessionale ed istituzionale, le Chiese restano separate, ma sono in comunione per il pulpito e la santa Cena; inoltre riconoscono reciprocamente i loro ministeri rispettivi. Tale pluralismo confessionale è considerato legittimo sulla base del N.T.

Risulta chiaro che una tale comprensione della comunione ecclesiale si distingue fondamentalmente dall’unità ecclesiale in quanto unità di communio secondo la concezione cattolica. Si comprende allora in che modo e per quale motivo le Chiese protestanti insistano attualmente sull’intercomunione ovvero sull’ospitalià eucaristica.

3. Il modello di Leuenberg non è l’unico e solo modello applicato da parte evangelica; ci sono anche i risultati del dialogo con gli anglicani, la dichiarazione della Chiesa luterana evangelica d’America, la dichiarazione della Chiesa luterana del Canada. Studiosi di Lutero, sia protestanti che cattolici, hanno dimostrato che la sua intenzione – come quella degli altri riformatori – non era di fondare una propria Chiesa confessionale, ma di riformare, a partire dal Vangelo, la Chiesa universale esistente. Un tale progetto è fallito per ragioni sia teologiche che politiche. Poiché attualmente il movimento ecumenico accoglie le richieste legittime degli uni e degli altri come uno "scambio di doni", viene a cadere per ciò stesso ogni legittimità di una separazione delle Chiese.

L’ecumenismo in un prossimo futuro

La situazione che abbiamo descritto non deve essere motivo di rassegnazione. Nel frattempo il movimento ecumenico è pervenuto ad una situazione untermedia di buon vicinato e di communio ecclesiale più profonda sebbene non ancora completa. Si tratta ora di un ecumenismo di vita; si tratta di dare forma ad una situazione intermedia e d’infondere la vita in una tale situazione. Se potessimo realizzare tutto ciò che è fattibile, e anche opportuno, senza difficoltà e senza infrangere nessuna regola ecclesiale, saremo molto più avanti nel nostro cammino.

Alla luce di quanto detto vorrei attirare particolarmente l’attenzione su un punto. Di fronte all’attuale pericolo di erosione di ciò che secondo i principi cattolici dell’ecumenismo costituisce la base di fede dell’ecumenismo – il battesimo e la fede battesimale, il Credo – è necessario rinforzare tali fondamenta. In conformità con l’ultima Assemblea plenaria il Pontificio consiglio ha iniziato questo compito chiedendo alle conferenze episcopali di pervenire ad un accordo sul reciproco riconoscimento del battesimo con i loro partner ecumenici, ovvero di verificare e approfondire gli accordi esistenti. Non si tratta soltanto del riconoscimento formale della validità del battesimo conferito con l’acqua e con la formula trinitaria, ma di un accordo sulla comprensione del battesimo e della professione di fede che di esso fa parte. Le reazioni che sono pervenute fino ad ora a queste iniziative del nostro dicastero sono incoraggianti.

Aristotele ha dimostrato che ogni comunità, stato compreso, dipende, per la sua conservazione, dall’amicizia e dalla cerchia dei suoi amici (Nic. Etica 1155; 1160a-61a). L’amicizia è un’importante categoria del N.T. ed è un termine che i primi cristiani usavano per descrivere se stessi. (Gv 15,11-15; 3 Gv 15). L’ecumenismo non progredisce principalmente con documenti e azioni, ma grazie alle amicizie che superano le barriere confessionali. In ragione dell’unico battesimo, della comune appartenenza all’unico corpo di Cristo, della vita che emana dallo Spirito Santo, queste amicizie vanno al di là di una semplice simpatia umana e creano innanzitutto quel clima di fiducia e di reciproca accettazione che permette al dialogo teologico di fare sostanziali progressi.

L’ecumenismo spirituale è l’anima e il fulcro del movimento ecumenico. Alla spiritualità ecumenica appartiene in primo luogo la preghiera, che si concentra nella settimana di preghiera per l’unità; grazie ad essa, cresce in noi la consapevolezza che l’unità non può essere frutto soltanto degli sforzi umani; l’unità è un dono dello Spirito; come esseri umani non la possiamo fare. Importante è la conversione e la santificazione personale, poiché non vi è ecumenismo vero senza conversione personale e rinnovamento istituzionale.

Ritengo che, soprattutto a partire da una comprensione purificata e chiarificata della spiritualità ecumenica, si possa pervenire a una pratica ecumenica rinnovata e approfondita, capace di imprimere un nuovo slancio alla ricerca ecumenica, e liberarla dalle difficoltà, dalle aporie e dalle crisi attuali.


Cosa significa essere ortodosso
 in un paese di maggioranza cattolica?
di Vladimir Zelinskij


Se posso parlare della mia esperienza, per me è una grande ricchezza. Non ho nessunissimo "complesso antiromano", perché sono nato ateo in una famiglia che ha perso ogni traccia della vita religiosa nel paese che riduceva in ceneri o calpestava queste tracce per decenni. Mi sono convertito al cristianesimo e sono stato battezato negli anni 70 a Mosca all'età di 29 anni. Nella mia conversione la scoperta del Volto di Dio nella persona di Cristo era molto più importante che l'adesione alla Chiesa locale.

Certo, ho trovato anche la Chiesa proprio come Madre (quel legame intimo fra Cristo e la Madre, come Maria, ma anche come l'Ortodossia Russa, è sempre vivo in me), ma insieme con la fede non ho scelto la cecità premeditata di non vedere il Volto del mio Dio fuori dell'Ortodossia. Provo sempre la gioia quando riconosco lo stesso Volto, ma con espressione, forse, diversa nella vita spirituale, nelle varie manifestazioni della santità incontestabile nella fede di un altro. Vedo, per esempio, questi tratti nella persona di Giovanni Paolo II, nei missionari, persi nei lontanissimi angoli del nostro pianeta rischiando la loro vita; nelle testimonianze del sacrificio, del servizio al prossimo, della carità.

Ma nello stesso tempo il mio soggiorno in Italia con tantissimi contatti con i cattolici mi ha aiutato di riscoprire di nuovo la mia fede ortodossa. Le cose che appartengono all'eredità apostolica e che mi sembravano ovvie per la vita cristiana quando ho vissuto a Mosca, come la preghiera individuale, il senso del pentimento, la sacralità vissuta dell'Eucarestia, il senso acuto del mistero, gli elementi dell'ascetismo con il suo ritmo di digiuni, la presenza permanente della memoria ecclesiale nella forma della Tradizione ecc., sono un po' indeboliti fuori dall'Ortodossia.

Ho scoperto la mia vocazione sacerdotale che dormiva in me per tanti anni proprio qui, in Occidente. Credo nello "scambio dei doni" e che il nostro contributo ortodosso è la testimonianza della Chiesa indivisa, appena nata. Dobbiamo portare quella testimonianza non con una malevolenza polemica, ma con amore, apertura ed amicizia.

(da Madre, gennaio 2005)


L’iniziativa del dialogo in Ucraina
di Vladimir Zelinskij




Purtroppo, le vie del dialogo non sempre sono facili. Ne è riprova la vicenda legata al testo che proponiamo qui di seguito. Il dialogo nasce da un autentico ascolto. Voler sentire dall'altro soltanto quello che rientra nei propri interessi non è una buona premessa. P. Vladimir non è stato per niente contento di come il giornale Avvenire ha utilizzato il suo articolo (pubblicato il 25 gennaio 2005 con il titolo "Da Kiev la nuova via del dialogo"): «M'ha utilizzato e  strumentalizzato. Il testo completo è diverso». Qui di seguito pubblichiamo il testo di P. Vladimir e il "suo" articolo pubblicato da Avvenire.


Una delle grandi scommesse delle elezioni presidenziali in Ucraina è la formazione della società civile. L’indipendenza nazionale, un sogno secolare per alcuni, un dramma per altri, avvenuta 13 anni fa, ha messo in fermentazione un popolo di 50 milioni di abitanti che dalla metà del XVII secolo ha vissuto nell’impero russo ed in seguito, ancora 70 anni sotto il piombo sovietico. Subito sono venute fuori le vecchie e le nuove opposizioni fra i nazionalisti e comunisti, l’Ovest, a volte accanitamente antirusso e l’Est russofono, fra gli ortodossi e i greco-cattolici, ma anche fra gli ortodossi stessi. Sembra che oggi non si possa trovare un paese nell’Europa orientale con delle divisioni così dolorose e delle cicatrici più profonde. Basta guardare la mappa religiosa: accanto alla Chiesa greco-cattolica con il suo centro a Lviv esistono almeno tre Chiese ortodosse dello stesso rito che non possono neanche parlare fra di loro, quella dipendente dal Patriarcato di Mosca (canonica), quella del Partiarcato di Kiev (il cui capo è scomunicato da Mosca), e la Chiesa autocefala, anch’essa non-canonica. Senza parlare della presenza della Chiesa Ortodossa Russa all’estero che non riconosce neanche l’esistenza dell’Ucraina indipendente e che sogna di tornare nella Russia della monarchia Romanov, più che dei giorni nostri...

Non esiste una ricetta miracolosa che possa riconciliare tutte queste ispirazioni, ideologie, nazionalismi, sogni, opposizioni. Esiste una proposta: integrazione del vecchio stampo, sotto l’occhio del padrone imperiale; e un’altra: la costruzione della società civile in cui forze irriconciliabili fra di loro potrebbero trovare il loro posto legale e riconoscere la legalità, almeno sul piano civile, dell’esistenza dell’altro. Solo da questo riconoscimento si può fare un grande passo verso la riconciliazione umana, cristiana, ecclesiale. Perché la riconciliazione è il nome autentico dell’ecumenismo...

Per ora siamo ancora lontani da questa maturità sociale, senza parlare di quella cristiana. La vita reale, però, non corrisponde mai al suo quadro dipinto da lontano. Nel tempo delle divisioni e delle lacerazioni si può trovare in Ucraina delle iniziative stupende di vero lavoro spirituale e culturale che riunisce le comunità più lontane le une dalle altre e che già oggi portano i loro frutti. Immaginiamo le importanti conferenze internazionali che si svolgono fra le mura della Laura delle Grotte di Kiev, nella culla stessa del cristianesimo russo (conosciuto per il suo spirito assai poco ecumenico), con la partecipazione dei cristiani e dei laici, degli ortodossi tradizionali e dei cattolici, degli uomini di cultura e di fede. Ma il fatto, forse, più positivo è che questi incontri si svolgono davanti agli studenti dell’Accademia teologica (quasi 3.000 studenti), cioè davanti ai futuri chierici della Chiesa Ortodossa in Ucraina, non nelle condizioni della semiclandestinità, ma con l’approvazione e la partecipazione attiva del capo della Chiesa canonica metropolita mons. Vladimir e con la partecipazione del metropolita di Minsk mons. Filaret.

Forse, lo spirito di questi incontri ha trovato la sua adeguata espressione nella figura di Serghei Averintzev, un ortodosso, membro dell’Accademia Pontificia (1937-2004), uno dei più grandi studiosi e pensatori russi della nostra epoca, uno dei più devoti cristiani che io abbia mai incontrato. Averinzev era l’incarnazione della pace fra forze che erano sempre in guerra (fredda, ma a volte anche calda) nella terra russo-ucraina: intellighenzia e Chiesa, Est e Ovest, l’anima patriottica e una straordinaria apertura alle altre culture e fedi che, forse, si può trovare solo tra i russi.

Questi incontri sono stati organizzati dal Centro Europeo delle ricerche umane che lavora all’interno dell’Accademia Pietro Moghila a Kiev e in qualche modo sono segnati da questa grande personalità della prima metà del XVII secolo. Moghila, metropolita di Kiev, autore del catechismo ortodosso (scritto da lui in greco e in latino) fondò nel 1615 la prima Università (che a quell’epoca era più importante nell’Europa Orientale dopo quella di Cracovia). Questa Università, diventata simbolo della più alta cultura ucraina, è esistita fino alla rivoluzione russa ed è stata chiusa dal potere comunista per essere più riaperta nel 1991. Oggi, l’Accademia S. Pietro Moghila, a differenza delle altre Università in Ucraina, non ha una vecchia nomenclatura e ciò ha fornito un’ottima occasione per creare lo spazio per un respiro nuovo.

La figura chiave di questa attività è il giovane professore di filosofia (che insegna a Kiev, a Parigi, a volte anche in Italia), Konstantin Sigov. Egli è l'organizzatore delle conferenze e degli incontri (La famiglia nella società post-atea, Le vie dell’educazione e i testimoni della verità, La personalità umana e la tradizione, ed altri ancora). La prossima conferenza del settembre 2005 avrà come titolo: “Il Messaggio, l’uomo, la storia” e sarà dedicata alla situazione del cristianesimo nell’epoca della globalizzazione, nel contesto del dialogo con il mondo contemporaneo - il dialogo che respira sempre con i due polmoni. In questi incontri hanno preso parte, oltre a teologi e a pensatori ortodossi provenienti dalla Russia, dall’Ucraina e dall’estero, come il vescovo Kallistos Ware da Oxford, p. Boris Boibrinskoy, p. Nicolas Lossky da Parigi (Istituto Saint-Serge), Nikita Struve (Parigi); ma anche cattolici, come il vescovo John Faris (New York), mons. Michel Van Paris, già l’abbate di Chevetogne (Belgio), mons. Bernard Dupire (Parigi), il Prof. Patrick de Laubier (Ginevra), il prof. Adriano Roccucci dalla Comunità di Sant’Egidio, il prof. Guglielmo Forni Rosa (Bologna), il prof. Jonathan Sutton (Londra) ed altri ancora. Bisogna menzionare che la costruzione dei ponti culturali era ispirata, oltre che dal Prof Sigov, anche dai suoi amici della Commissione per l’Unità cristiana mons. Pierre Duprey e Paola Fabrizi.

Dopo 10 anni di attività del Centro Europeo si può parlare di un successo eccezionale delle sue iniziative perché le cose che si sono perfettamente realizzate in Ucraina, sembrano oggi quasi utopistiche a Mosca. E’ davvero difficile trovarle in Russia ove, dopo il “boom” religioso degli inizi degli anni 90, il dialogo tra l’intellighenzia e la Chiesa è quasi interrotto; e dove tutte le comunità religiose vivono nel loro ghetto culturale. Manca uno spazio nel quale i rappresentanti delle diverse denominazioni possano condividere la propria esperienza, dove si incontrino non tanto le posizioni e le ideologie, ma prima di tutto le persone e le fedi.

Oltre alle regolari conferenze il Centro ha una propria casa editrice che si chiama “Duch e Litera” (Lo Spirito e la Lettera) e che pubblica in ucraino e in russo una cinquantina libri di teologia e di filosofia all’anno. Non conosco una casa editrice religiosa così importante neanche in Russia. Più di una metà delle pubblicazioni sono libri tradotti dalle lingue europee. L’anno scorso il card. Kasper è venuto appositamente a Kiev per la presentazione del suo libro “Gesù Cristo” in ucraino. Fra qualche mese deve uscire il libro del card. Etchegaray “Vero Dio, vero uomo”, anche in ucraino.

Ma le conferenze organizzate a Kiev e nelle altre città non bastano più. Dall’estate del 2004 in un piccolo villaggio a 30 chilometri da Kiev è stata organizzata la Scuola Teologica estiva che è durata due settimane con la partecipazione dei docenti venuti dagli Stati Uniti, dalla Francia, dalla Germania, su vari argomenti (liturgia, bibbia, diritto, ecc.). É prevista un'altra sessione con una partecipazione internazionale più ampia per la prossima estate. Ma le iniziative che portano lo stesso spirito della riconciliazione fra le persone, le culture, le fedi, le tradizioni crescono e adesso bussano alle porte dell’Europa Occidentale. C’è già il progetto di fare un incontro simile in Italia. Perché l’Italia dove oggi si trovano oggi decine e decine di migliaia di immigrati dall’Est Europeo (soprattutto dall’Ucraina) deve diventare il luogo dell’incontro delle culture e della riconciliazione.



Il testo pubblicato da Avvenire
Da Kiev la nuova via del dialogo
di Matteo Liut





Accanto a un antico monastero cattolici e ortodossi si incontrano per discutere sui temi più importanti della società odierna

Nel cuore di un Est europeo che vive sul filo delle divisioni è la fede cristiana a tracciare un percorso di ricomposizione nel segno del dialogo. E se Kiev di recente ha mostrato al mondo un volto lacerato, nasce proprio nella capitale ucraina il progetto di un futuro diverso. Ce ne parla padre Vladimir Zelinskij, teologo ortodosso e docente presso l'Università cattolica di Brescia.

Padre Zelinsky, qual è il volto religioso dell'Ucraina odierna?

«L'Ucraina presenta ancora cicatrici profonde e dolorose. Accanto alla Chiesa greco-cattolica con il suo centro a Lviv esistono almeno tre Chiese ortodosse dello stesso rito che non si riconoscono: quella dipendente dal Patriarcato di Mosca, quella del Patriarcato di Kiev e la Chiesa autocefala».

Un nodo difficile da districare.

«Non esiste una ricetta miracolosa per riconciliare tutte queste ispirazioni, ideologie, opposizioni. Se da una parte si predica l'integrazione vecchio stampo sotto lo sguardo del "grande fratello del Nord", dall'altra si auspica la costruzione di una società in cui le diverse identità trovino un riconoscimento giuridico. Almeno sul piano civile e legale».

E dal punto di vista religioso?

«I frutti più efficaci stanno nascendo a Kiev, grazie a un'iniziativa a carattere spirituale e culturale che riunisce soggetti molto lontani tra loro».

Di cosa si tratta?

«Di conferenze internazionali che si svolgono fra i muri della Laura delle Grotte di Kiev, nella culla stessa del cristianesimo russo, noto per il suo spirito poco ecumenico. Vi partecipano ortodossi e cattolici, religiosi, laici e uomini di cultura. Ma il fatto forse, più positivo è che questi incontri si svolgono davanti agli studenti dell'Accademia teologica: il futuro clero della Chiesa Ortodossa in Ucraina».

Quindi c'è l'approvazione ecclesiastica?

«Gli incontri vedono la partecipazione del capo della Chiesa canonica metropolita Vladimir e del metropolita di Minsk monsignor Filaret».

Da dove nasce questa iniziativa?

«Gli incontri sono stati organizzati dal Centro Europeo per le ricerche umanistiche, nell'Accademia "Pietro Moghila" a Kiev, un ateneo senza vecchia nomenclatura e quindi più aperto al dialogo. Lo spirito di questi appuntamenti ha trovato la sua espressione più alta nella figura di Serghei Averintzev, un ortodosso e membro dell'Accademia Pontificia (1937-2004), uno dei più grandi studiosi e pensatori russi della nostra epoca. Oggi la figura chiave di questa attività è il giovane professore di filosofia, che insegna a Kiev e a Parigi, Konstantin Sigov, appoggiato all'origine dai suoi amici della Commissione per l'Unità dei cristiani, monsignor Pierre Duprey e Paola Fabrizi».

Quali sono i temi affrontati in queste conferenze?

«Finora si è parlato di temi come la famiglia nella società post-atea, le vie dell'educazione e i testimoni della verità, la persona e le tradizioni. La prossima conferenza il prossimo settembre avrà come titolo: "Il Messaggio, l'uomo, la storia". Sarà dedicata alla situazione del cristianesimo all'epoca della globalizzazione».

Chi vi prende parte?

«Teologi e pensatori ortodossi dalla Russia, dall'Ucraina e dall'estero, come il vescovo Kallistos Ware da Oxford, padre Boris Boibrinskoy, padre Nicolas Lossky da Parigi (Istituto Saint-Serge), Nikita Struve (Parigi), ma anche cattolici come monsignor Michel van Paris, già abate di Chevetogne (Belgio), monsignor Bernard Dupire (Parigi), padre Patrick de Laubier (Ginevra), il professore Adriano Roccucci dalla Comunità di Sant'Egidio, il professore Guglielmo Forni Rosa (Bologna), il professor Jonathan Sutton (Londra)».

Un confronto che coinvolge anche l'Europa occidentale quindi.

«Certo. L'anno scorso il cardinale Walter Kasper è venuto a Kiev per la presentazione dell'edizione in ucraino del suo libro "Gesù Cristo". Fra qualche mese uscirà anche un libro del cardinale Etchegaray. E, vista la presenza di migliaia di emigrati dall'Est europeo, si pensa a incontri simili anche in Italia».



Il settimo grado dell'umiltà consiste non solo nel qualificarsi come il più miserabile di tutti, ma nell'esserne convinto dal profondo del cuore.

Domenica, 27 Febbraio 2005 18:42

Il linguaggio delle lacrime (Luciano Manicardi)

«Il paese dette lacrime è così misterioso», fa dire Antoine de Saint-Exupéry al suo piccolo principe. Ma il pianto è anche quanto di più noto e sperimentato vi possa essere tra gli uomini: è una caratteristica umana tipica e universale, un'espressione specifica dell'umanità.

Educazione alla pace,
 percorso Caritas in sette tappe


Educare alla pace: un impegno che per Caritas Italiana si concretizza in un percorso lungo un intero anno pastorale. E' articolato in sette proposte, estese alle Caritas e alle realtà diocesane. Eccole.

- Convegno "RiconcIlIazIone e giustizia" (Roma, 25-27 novembre 2004).
L'iniziativa completa il percorso su "Giustizia, pace e salvaguardia del creato", avviato con i convegni sulla Pacem in Terris (Bergamo, ottobre 2003) e sulla cura del creato (Campobasso, aprile 2004). L'obiettivo è offrire un approfondimento sui temi della giustizia sociale e leggere i conflitti internazionali a livello politico, giuridico ed etico.

- Libro "Interviste sull'obiezione di coscienza" (Roma, dicembre 2004)
Verrà presentata una raccolta di interviste a persone che hanno fatto la storia dell'obiezione di coscienza al servizio militare in Italia: un contributo di Caritas Italiana alla ricostruzione storica di un'esperienza che dal 2005 andrà in archivio.

- Osservatorio sui conflitti dimenticati (avvio entro il 2004)
Caritas Italiana ha deciso di avviare, in collaborazione con Pax Christi, un Osservatorio permanente sui conflitti dimenticati. Si tratta di un sito (www.conflittidimenticati.org) che mira a migliorare l'informazione ed elaborare proposte pastorali di animazione delle comunità.

- Marcia per la pace e Giornata mondiale della pace (Comiso, 31 dicembre 2004 - 1 gennaio 2005)
Come ogni anno, Pax Christi Italia, Caritas italiana e Ufficio lavoro, pace, giustizia e salvaguardia del creato della Cei promuovono un importante appuntamento di riflessione e testimonianza.

- Rapporto di ricerca sui conflitti dimenticati (febbraio 2005)
Seconda pubblicazione da parte del gruppo di ricerca promosso da Caritas Italiana, Famiglia Cristiana, Il Regno e vari istituti, agenzie e università italiane ed europee: l'obiettivo è documentare in modo scientifico l'evoluzione delle guerre nel panorama geopolitico internazionale, negli ultimi tre anni, e i relativi riflessi mediatici e istituzionali.

- Memoria di San Massimiliano martire (12 marzo 2005)
Proposte e iniziative per educare i giovani a scelte e stili di pace, giustizia e nonviolenza.

- Progetto Servizio civile all'estero; progetto Caschi bianchi; progetti di solidarietà internazionale e accompagnamento di Caritas e chiese sorelle (permanenti).

(da Italia Caritas, novembre 2004)


Giovedì, 24 Febbraio 2005 00:14

Verità della Bibbia (Gaetano Castello)

Verità della Bibbia

di Gaetano Castello



Molte volte il credente, leggendo alcune pagine della Sacra Scrittura, si trova di fronte a problemi di coerenza apparentemente insolubili tanto da determinare in alcuni la scelta di un'adesione piena a ciò che si legge, in altri la scelta di una definitiva «emancipazione» che relega la Bibbia tra i libri di credenze ormai passate e insostenibili.

Verità delle scienze e verità della Bibbia

Le acquisizioni scientifiche moderne, in ogni campo del sapere, rivelano infatti l'incongruenza tra alcuni passi della Bibbia e le posizioni della scienza. Come sostenere che la creazione e il frutto a dell'attività divina descritta nei primi capitoli della Genesi? In Gn 1 si parla della creazione dell'universo e dell'uomo in sei giorni, mentre la scienza parla di intere epoche, di milioni di anni di gestazione per ogni trasformazione, verificatasi nel cosmo, dalla sua origine all'apparizione dell'uomo, recentissima se misurata in termini di milioni di anni. E come si potrà sostenere la creazione dell'uomo come trasformazione di un po' di fango attraverso un soffio divino di fronte alla fondata, benché discussa, teoria dell'evoluzione delle specie?

Domande sulla coerenza della Bibbia con la verità oggettiva dei fatti vanno oltre l'ambito delle scienze naturali coinvolgendo questioni storiche e conoscenze geografiche. Non solo. Alcune domande nascevano anche tra gli antichi lettori della Bibbia che si imbattevano in discordanze interne alla stessa Bibbia, talvolta interne alla stessa narrazione, come è il caso del «diluvio universale» di Gn 6-9.

Eppure la fiducia nella Bibbia come Parola ispirata da Dio stesso quindi «inerrante», come si usava dire fino a prima del Concilio vaticano II, non è mai crollata. In ogni tempo si è cercato di spiegare le incongruenze di cui si è detto proponendo diverse soluzioni. Così gli antichi rabbini sostenevano che le cose sarebbero risultate chiare, alle menti incapaci di comprendere, con il ritorno di Elia che avrebbe spiegato le apparenti discordanze (per es. quelle tra Ezechiele e la Torà). I Padri della Chiesa e gli antichi scrittori cristiani sottolinearono spesso l'aspetto di «mistero» intrinseco alla Parola di Dio, che la rendeva solo apparentemente incongruente. Spesso si indicò la soluzione nella lettura «allegorica» della Bibbia, sottolineando il fatto che le notizie, la descrizione di fatti, avevano in realtà come vero scopo la rivelazione di una realtà superiore, spirituale, di fronte alla quale la coerenza della historia o della littera biblica diventava del tutto secondaria. Benché questo principio della «lettura spirituale» della Bibbia abbia dominato nell'antichità cristiana e nel Medio Evo, l'esigenza di risposte più precise e soddisfacenti ai problemi che nascevano dal confronto tra Sacra Scrittura e scienza divenne sempre più pressante fino a determinare una vera e propria crisi allorché, con l'era moderna, si verificò quel progresso di conoscenza che determinò il superamento dell'antica, unificata concezione dell'uomo e del cosmo.

Il caso più noto, emblematico di questa crisi, è quello di Galileo Galilei con il problema dell'eliocentrismo. L'antica concezione tolemaica veniva minata e con essa la base su cui alcune affermazioni bibliche potevano essere spiegate. Che senso avrebbe avuto a quel punto il comando di Giosuè «fermati o sole» (Gs 10,12-14), se la scienza poteva dimostrare che a girare era la terra e non il sole? Emergeva con drammaticità il problema che avrebbe dominato la coscienza dell'uomo moderno: proseguire nel cammino scientifico con la forza della ragione avrebbe voluto dire abbandonare le antiche concezioni sull'uomo e sul mondo di cui tanti riflessi appaiono anche nella Bibbia? Già sant' Agostino aveva affermato che il Signore «voleva fare dei cristiani, non degli scienziati», una affermazione che sarà ripresa e sviluppata da Galilei nella sua Lettera a Cristina di Lorena del 1615.

Il cammino, come è facile immaginare, non è stato facile. La condanna di Galileo da parte della Chiesa sembrava sancire la rottura tra scienza e fede, tra verità scientifica e verità della Bibbia come qualcosa di inevitabile. La verità, almeno così sembrava ai più, doveva essere ricercata e trovata scegliendo l'una o l'altra via: la fede, con la Bibbia «inerrante», o la scienza moderna, con i suoi tentativi e le sue verità.








Tentativi di soluzione

Non sono mancati tentativi di riconciliazione, come la cosiddetta teoria del «concordismo» che, di fronte alla teoria evoluzionistica di Darwin, propose di leggere il dato biblico sulla base delle conoscenze scientifiche attuali: così, per es., i sei giorni del racconto di creazione (Gn 1) andavano in realtà compresi come sei diverse epoche geologiche...

Ma la via da seguire sarà un'altra e verrà faticosamente indicata da chi, mantenendo la fede nella Bibbia come Parola di Dio, la affronterà senza rinunciare all'intelligenza critica, alle esigenze della ragione. Alla base di questo atteggiamento che si interroga sul significato, la destinazione, gli ambiti relativi alla lettura della Bibbia e alla ricerca scientifica, vi è la coscienza di fondo che la parola di Dio è parola divino/umana. Eppure, nonostante questi presupposti, altre vie imboccate dovevano risultare insufficienti. La proposta che maggiormente ebbe successo alla fine del secolo scorso, e che può apparire a prima vista convincente, è che la Bibbia è «inerrante» in tutte quelle parti che riguardano l'ambito della fede e della morale. Naturalmente una tesi del genere si scontra con il principio antichissimo e sempre ribadito che l'intera Bibbia è ispirata da Dio.







La via giusta


La via giusta per affrontare il problema della «verità» della Bibbia venne imboccata proprio grazie ad una maggiore apertura verso acquisizioni scientifiche in campo letterario che solo con fatica e tra mille perplessità iniziali furono utilizzate per la comprensione della Sacra Scrittura. Studiosi della Bibbia, soprattutto tedeschi, già dal secolo scorso fecero osservare come l'insieme dei libri che costituiscono la Bibbia appartenessero a «generi letterari» diversi, non solo, perciò, al genere «storico». Si può facilmente intuire quali fossero le conseguenze di un simile approccio all'insieme delle Sacre Scritture. È come se il lettore di quest'articolo, leggendo un qualunque libro della sua biblioteca, non avesse altro modo di leggerlo se non come libro di storia, assegnando lo stesso valore ad un romanzo, ad una novella, ad un saggio e così via.

Si pensi, per esempio, al libro biblico di Giona, il riluttante «profeta» chiamato da Dio a predicare la conversione dei peccati agli abitanti di Ninive, città simbolo della perversione dei costumi. Giona rimase per tre giorni, secondo quella narrazione, nel ventre di un pesce (Gio 2,1), per essere poi rigettato all'asciutto (Gio 2,11). Le difficoltà a considerare «storico» un simile fatto sono evidentemente enormi. Così è se non si considera che quel libro, con il suo meraviglioso messaggio di perdono divino per tutti gli uomini, non solo per gli israeliti, appartiene al genere letterario della «novella profetica» di cui si apprezza soprattutto l'aspetto didattico, l'insegnamento sulla misericordia di Dio e sull'universalità della salvezza che attraverso la novella di Giona si intende dare agli israeliti.

Ancora più chiaro per tutti noi è il caso del libro dell' «Apocalisse». Movimenti, sètte, persone di ogni tempo ne hanno frainteso e ridotto il messaggio, interpretando il libro alla lettera, come una sorta di «prima visione» di ciò che materialmente accadrà alla fine del mondo. Non hanno cioè considerato, ne lo fanno tutt'oggi i Testimoni di Geova, che il libro delle «Rivelazioni» appartiene al genere letterario «apocalittico-profetico». Caratteristica fondamentale del genere apocalittico, molto diffuso all'inizio dell'èra cristiana, è quella di utilizzare cifre, immagini, colori, descrizioni simboliche. Il lettore che voglia comprenderne il messaggio è chiamato innanzitutto a decodificare quei simboli, non ad assumerli semplicemente come la descrizione, in anteprima, di ciò che accadrà, che rimane un mistero.

Questa attenzione al genere letterario non toglie nulla alla verità del messaggio comunicato dai testi, anzi, è l'unica via per non confondere i modi di espressione con il messaggio della salvezza. Una via obbligata per distinguere il messaggio di salvezza rivelato all'uomo non solo attraverso la descrizione degli interventi di Dio nella storia (il re Davide, gli eroici Maccabei), ma anche attraverso racconti più antichi (le origini del mondo e dell'uomo di Gn 1-11, la vicenda di Giobbe o quella di Giona recuperati dall'autore sacro come mezzi per comunicare all'umanità il progetto salvifico di Dio.







La verità... per la nostra salvezza


Dalla fine del secolo scorso gli interventi di alcuni Papi sull'argomento servirono a porre degli argini a quei tentativi di soluzione alla questione della «verità della Bibbia» ritenuti insufficienti. Dalla Providentissimus Deus di Leone XIII alla Divino Afflante Spiritu di Pio XII si apriva definitivamente la strada al nuovo modo di accostare la Bibbia, mantenendo la fedeltà al principio dell'Ispirazione divina e dunque della Verità proposta da Dio all'uomo per la sua salvezza, ed aprendo il campo ad una maniera scientificamente «critica» di affrontare la Scrittura. Si giunse, così, all'accoglienza di quanto proprio le scienze letterarie offrivano agli studiosi di Sacra Scrittura per chiarire il problema: «Quindi l'esegeta cattolico, per rispondere agli odierni bisogni degli studi biblici, nell'esporre la Sacra Scrittura e nel mostrarla immune da ogni errore, com' è suo dovere, faccia pure prudente uso di questo mezzo, di ricercare cioè quanto la forma del dire o il genere letterario adottato dall'agiografo possa condurre alla retta e genuina interpretazione; e si persuada che questa parte del suo ufficio non può essere trascurata senza recare gran danno all'esegesi cattolica» (Providentissimus Deus, cf. Enchiridion Biblicum 560).

Respinte le soluzioni teologiche insufficienti, i Padri del Concilio Vaticano Il, al n. 11 della Dei Verbum, hanno presentato l'argomento in questi termini: «poiché dunque tutto ciò, che gli autori ispirati o agiografi asseriscono, è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, si deve dichiarare, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle Sacre Scritture».

Viene indicato così, dal Magistero più alto della Chiesa, che la soluzione non sta nel limitare il principio della verità biblica a una determinata parte della Sacra Scrittura, ma nell'assumere nei suoi confronti la corretta prospettiva; nel considerare, insomma, la vera finalità per la quale essa fu consegnata all'uomo.

Quella del Concilio è una parola che orienta credenti, esegeti, teologi, sgombrando il campo dai tanti equivoci a cui può condurre una maniera semplicistica o teologicamente insufficiente di parlare della «verità della Bibbia».
Sulla base dell'affermazione conciliare, che riprende ciò che è presente in maniera semplice nella fede del credente, giudeo e cristiano, appare più chiaro che la Parola di Dio, senza tentativi di armonizzazioni odi giustificazioni rispetto alle moderne conoscenze scientifiche, permette all'uomo di ogni tempo di cercare risposte alle sue domande ultime, non tanto sullo svolgimento di alcune vicende storiche, ma sul senso della storia, non sul come sia nato l'uomo e la donna ma sul mistero dell'origine, sul significato dell’esistenza e sul destino dell’uomo.


(da Parole di Vita)


La morale cattolica ha conosciuto una dottrina della guerra giusta, codificata in tutti i manuali di teologia morale e in tutti gli interventi della S. Sede dalla fine del XVI sec. fino al concilio Vaticano II. Con il concilio tale dottrina viene dismessa, al più alto livello magisteriale.

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