Testimonianza cristiana al mondo d’oggi
Cristo nostra speranza
di Godfried Card. Danneels
(abstract)
Possiamo ancora sperare? Il Vangelo predica senza alcun imbarazzo la speranza e la fiducia. C’è un Dio buono che ci ha fatto delle promesse. E Dio le mantiene. Forse il nostra parlare da cristiani è talvolta troppo ingenuo, troppo pacifista e troppo d’un altro mondo.
Il panorama contemporaneo
Il panorama in cui si svolge la nostra vita quotidiana è simile ad un lungo inverso in cui si cerca speranza e gioia.
Una società della depressione
C’è un libro dal titolo: Dire no ad una società depressa. L’autore si domanda. «Dopo la società industriale e la società del tempo libero non stiamo forse entrando ora nella società della depressione?». Molti hanno perso la loro vitalità. Non è solo la crisi economica, è l’umanità che è malata e ha smarrito la sua strada.
La società ha perso fiducia in se stessa. La forza che le veniva dai grandi ideali religiosi è scomparsa. Abbiamo cercato di riempire il vuoto lasciato dagli ideali con le ideologie: marxismo, liberalismo, capitalismo. Ma neppure questi ci sottraggono alla domanda: come posso essere felice in un mondo dove manca un ancoraggio e un senso?
La crisi d’interiorità
L’interiorità della persona è confusa. Dopo la caduta degli ideali e dei progetti l’umanità si è piegata su se stessa. L’idea che si debba curarsi dell’insieme della società è diventata estranea a molti. Che ci siano dei valori che devono essere onorati e salvaguardati è un dovere scomparso dai nostri orizzonti. Non siamo più sorretti da una storia in cui possiamo inserirci in modo sicuro. Da qui nasce il vuoto interiore, la solitudine e il senso del rigetto.
Aggressivi verso se stessi
Non essendoci più progetti su cui investire le energie, allora l’energia soppressa deve pur trovare uno sbocco! Così viene diretta o contro se stessi o contro coloro che ci stanno attorno. Ecco la violenza contro la società, spesso anche contro se stessi. La faciloneria sessuale degli anni 60 o 70 che presentava una sessualità puramente di consumo è venuta a rinforzare il narcisismo e la solitudine.
«La mia verità è la verità»
Si dice che il dogma è sinonimo di autoritarismo e di dittatura intellettuale. Uccide il pensiero e svaluta l’esperienza personale. Ciascuno deve trovare la sua propria verità. E nessuno può imporla a un altro. Ma è proprio vero che il dogma paralizza?
C’è una serie di verità oggettive e di norme morali, come ad esempio la proibizione dell’incesto presente in ogni cultura. Disfarsi di tutta queste verità oggettive non è una liberazione. Avere a disposizione un deposito di pensieri e di orientamenti rende la società più vivibile, non è espressione di fondamentalismo.
Ci sono delle verità e dei valori che ci precedono. Non ne siamo né i progettisti né i padroni, ma solo i servitori. Una delle cause della società della depressione è proprio questa: ci siamo incoronati come padroni della verità e creatori dei valori.
Il dramma della gioventù
I primi a soffrire di tutto questo sono i giovani che, più di tutti, devono fare i conti con la disperazione. Si sentono dire che non hanno un futuro, non un lavoro, non sicurezza, non scampo. Soffrono il vuoto e la solitudine e spesso non hanno quasi nessuno in cui porre fiducia.
Tuttavia assistiamo alla nascita di un contromovimento: dei giovani cercano, senza inibizioni, la verità, i valori, la religione.
Ricorso ai falsi rimedi
I nostri contemporanei cercano dei fari che li guidino, non delle terapie a breve termine.
Curarsi da soli
La ricerca di medicine ha assunto proporzioni allarmanti nel nostro tempo. C’è di più: è un modo di volersi curare da sé che può diventare un disastro sociale. Che cosa c’è dietro ciò? Senza dubbio una sorta di autoreferenzialità e di narcisismo. Se uno si trova all’esterno dell’edificio sociale, perché buttato fuori, non può che lasciarsi trascinare senza reagire. Alla fine, esaurito, si consegna alla cura di un medico che lo libera da ogni responsabilità di riflettere e di fare sforzi. Il medico libera dalla responsabilità. Così si può dire dell’uso di alcol e di droga sintomo della cultura della depressione.
Compensazione fisica
A volte le persone cercano altrove. I settimanali, le riviste sono pieni di ricette che promettono la felicità, ma si collocano sempre a livello psicologico o fisico. La loro categoria è il “piacere”. Ciò che richiede riflessione, autocontrollo, sforzo, conversione è attentamente evitato. La spiritualità viene confinata nell’esoterico e nelle tecniche che promettono una salvezza automatica. La conversione del cuore non viene presa in considerazione.
Sogni
L’evasione è segnata da altre strade. Ad es., si sogna una specie di “religione universale”, senza fondatore, senza chiesa, senza dottrina, senza gerarchia, libera da ogni obbligazione. Questa è la visione della New Age e di tutti i suoi satelliti. Ma è autentica speranza? Non è semplicemente la proiezione dei propri desideri e dei bisogni della propria immaginazione? Questa religione non richiede mai uno sforzo e una conversione e non conosce il peccato. Questa è una speranza o un miraggio?
Evadere nelle sette
Harvey Cox nel suo libro The City of God aveva annunziato la fine della religione e l’epoca della totale secolarizzazione. Venticinque anni dopo in Fire from Heaven egli prende la distanza completamente dalle precedenti prospettive e dice: «La chiesa ha optato per i poveri, ma i poveri hanno optato per le sette». Cox afferma che siamo alla fine sia della modernità fondata sulla scienza e sulla tecnologia, che della religione classica. Al loro posto sono attesi il fondamentalismo e ciò che potremmo chiamare le fantasie dell’esperienza. I fondamentalisti sono credenti pieni di zelo, vivono di tradizioni e di riti. Il ricorso all’esperienza è basato sull’emotività e sui sentimenti. Difatti credere è sentire. Non impongono alcuna dottrina fissa né alcun rituale. Gli appartenenti alle sette sono molto prammatici: una religione ti soddisfa in questo momento e in queste circostanze? Allora iscriviti ad essa. Cox predice che questo esperienzialismo sarà vincente.
Il solido passo della speranza
La speranza cristiana è qualche cosa d’altro. La teologia della speranza, recentemente esplorata, è una terra ancora incolta. Péguy, poeta francese, parla della speranza come della “sorella minore” che sta tra due sorelle maggiori, la fede e la carità. Nel nostro tempo, forse, la speranza è più necessaria. Ma, allora, che cos’è la speranza cristiana?
Il cuore dell’esistenza umana
Nel momento che la persona cerca di realizzare se stessa, allo stesso tempo si sente limitata e si imbatte nei confini ella morte. Il suo spirito non ha confini, ma il suo corpo la limita nel tempo e nello spazio. La persona non è ovunque e, peggio, non durerà eternamente. È presa tra l’essere intrappolata nel tempo e aperta all’infinito. Sa che nei confini dell’esistenza terrena non sarà mai capace di realizzare quello che sommamente desidera. Così non può far altro che sperare: così è fatta la persona umana. All’interno di questa forma di “schizofrenia” non ci sono altre soluzioni: o la persona accetta di essere assurda oppure deve essere capace di sperare.
Utopia e speranza
Anche i non credenti devono fare i conti con questa realtà. Prima del Rinascimento la gente sperava in modo cristiano. Ora però la situazione è completamente cambiata. La gente ha cominciato a parlare di “utopia”, versione profana e secolarizzata della speranza che, tolta dalla sottomissione a Dio, diventa il frutto dei propri sforzi. La persona deve essere ora responsabile della sua stessa speranza.
Il marxismo si è impadronito dell’idea di utopia ed ha cercato di realizzarla concretamente. Ma questa utopia è veramente una speranza? Ma essa incappa nelle secche della morte per la quale il marxismo non ha risposte.
Per il cristianesimo, invece, verrà un portatore di speranza: il Messia che adempirà la promessa e realizzerà la speranza.
L’alternativa all’utopia è credere che Dio stesso interviene nella storia umana, in modo libero e del tutto invisibile, libero e immeritato. La speranza non è un prodotto nostro, è donata!
Perché noi speriamo?
Noi cristiani non stiamo confondendo i nostri sogni con la realtà? C’è una cosa chiara nella Bibbia: Dio adempie tutte le sue promesse ed è la ragione della speranza.
La speranza d’Israele si è fondata su dei fatti: Dio ha già messo in atto nel passato delle cose che alimentano la speranza, iniziata con l’Esodo. Questa non è una storia inventata né pura letteratura. È un fatto: Dio ha compiuto dei “segni meravigliosi” per condurre “Israele fuori dall’Egitto” (Sal. 81,11). Al di sopra di tutte queste promesse sta la grande promessa fatta ad Abramo: una terra e una discendenza numerosa (Gn. 22,17).
I profeti
Sono messaggeri d speranza e danno un orientamento a questa speranza. Essi dicono ad Israele che non deve contare su se stesso per il compimento delle promesse, né sulla forza di altri. Solo la fiducia nella “nuda” parola di Dio può salvarlo. Poi Israele non deve fare ciecamente appello all’intervento di Dio nel passato risparmiandosi così il disturbo della conversione. La speranza è basata sull’osservanza della legge e su una vita virtuosa. La speranza è spiritualizzata.
Infine Dio non ha promesso solo una prosperità esteriore,ma la pace del cuore. La speranza viene interiorizzata. Le promesse di Dio non sono limitate alla storia presente qui in terra. Le promesse riguardano anche un’altra vita, «un nuovo cielo e una nuova terra». E non per Israele soltanto, ma per tutti quelli cui Israele rivela il vero Dio. La speranza diventa quindi universale.
La risurrezione di Cristo: si compie la promessa finale
L’ultimo nemico dell’umanità è la morte. La speranza si esercita al massimo nella prospettiva della liberazione dalla morte. Se questa speranza fosse vuota, tutte le altre attese sarebbero illusorie. «E noi vi annunciamo la buona novella… poiché Dio l’ha attuata per noi… risuscitando Gesù…» (At. 13,32). Questo è il fondamento definitivo della nostra speranza: Gesù è stato risuscitato. Si tratta di un fatto attestato da testimoni credibili: «Noi l’abbiamo visto ed abbiamo mangiato e bevuto con lui…». La speranza cristiana si appoggia interamente su dei fatti e sulla sola potente azione di Dio. Ciò che Cristo ha fatto, succederà anche a noi: «Noi siamo stati liberati come un uccello dai lacci dei cacciatori: il laccio si è spezzato e noi siamo scampati» (Sal. 124,7).
Punti di riferimento
Come possiamo mantenere la speranza e farne un’esperienza sempre più profonda ogni giorno, in modo da mostrare che siamo gente di speranza? In che cosa consiste la “spiritualità della speranza” e quali ne sono gli ingredienti?
Due tentazioni
Dobbiamo difenderci da due tentazioni: quella di una fiducia temeraria nella novità, e quella di una mancanza di immaginazione. Quelli che desiderano vivere solo di futuro si trovano presto a corto di memoria. I rivoluzionari senza memoria finiscono, spesso, prima nel campo dei liberali, e poi in quello dei conservatori. Hanno fatto troppa esperienza della falsa speranza.
Ma il contrario è altrettanto possibile. La mancanza di immaginazione collegata con il sogno che si possa vivere ancorati al passato fa dimenticare che non tutto è stato fatto e che resta ancora molto da tentare. Qui c’è poca speranza.
Rimanere vigilanti e oranti
La prima strada per esercitare la speranza è una costante vigilanza fatta di preghiera. Nella Bibbia la preghiera è descritta come uno stare svegli, attenti al ritorno del Signore. La preghiera è anche sospendersi pazientemente tra passato e futuro. Pregare è consultare la propria memoria e alimentarla, ma è anche guardare avanti con un cuore ardente. Pregare è esprimere riconoscenza per quello che è dietro a noi, ma anche scavare nella promessa non ancora adempiuta. Per una cultura depressa la miglior terapia è la preghiera.
Impegno
La seconda strada da percorrere per esercitare la speranza è l’impegno, senza il quale non si decide e non si arriva a fare delle scelte. Una cultura senza speranza non spinge ad assumere impegni. La nostra società è dominata da una specie di incapacità di decidere. C’è una specie di narcisismo che non sa come liberarsi dalla preoccupazione per il proprio comodo, dal bisogno di garanzia assoluta, da una mentalità che pretende sicurezza per ogni cosa, e tutto deve essere immediato. Il tempo è diventato il nostro nemico, dobbiamo invece farcelo alleato. Quando ci renderemo conto di nuovo che Dio si prende cura di noi meglio di quanto lo facciamo noi a noi stessi?
La speranza guarda avanti
La speranza ripara i danni e offre protezione; opera in modo preventivo. Il luogo ove si compirà la speranza è la scuola e la famiglia sulle quali dovremmo investire di più. La mancanza di speranza è dovuta al fatto che genitori ed educatori cedono e si scoraggiano.
Il libro dell’Apocalisse
E la Chiesa?
Anche nella Chiesa la speranza è spesso assente e ci sono delle ragioni che lo spiegano: tensioni interne, critica e disagio, stanchezza e riduzione della chsa al privato, diminuzione della pratica domenicale, calo numerico delle vocazioni…
Eppure…
Nella storia della chiesa ci sono state spesso ragioni per cadere nella depressione, ma ci sono state anche persone che hanno trasformato la sofferenza in gioia. Ne è esempio Caterina da Siena che in mezzo a grandi difficoltà morali del suo tempo crebbe in fiducia e speranza. La Bibbia è piena di parole di consolazione e incoraggiamento che provengono dai profeti. Il Libro dell’Apocalisse di Isaia ne è un esempio al quale fa seguito l’Apocalisse o Rivelazione di Giovanni nel N.T. È un libro pieno di immagini e di visioni, un libro incoraggiante per la comunità cristiana durante un tempo di persecuzione. Che cosa ci insegna il Veggente di Patmos?
Chi dirige il corso della storia?
Se lo domanda anche Giovanni. Chi non crede risponderà: il destino cieco, il caso e il fatalismo. I credenti danno un’altra risposta: Cristo dirige il corso della storia. È Gesù che cammina in mezzo alle sette chiese perseguitate, le custodisce e le protegge, giudica il male e ricompensa il bene. L’Apocalisse dice che Cristo rimuove il fatalismo dalla storia. La nostra depressione deriva dal fatto che non siamo capaci di leggere questo libro.
Le sette chiese
L’Apocalisse comincia con sette lettere indirizzate a sette chiesa, lettere che sono indirizzate anche a noi. Ciascuna delle sette chiese ha un aspetto positivo e ciascuna deve anche convertirsi.
All’inizio c’è la chiesa di Efeso (2,1-7). Tutto va abbastanza bene in questa chiesa, ma è fredda e soffre di vuoto interiore. Dove sono finiti i tempi stimolanti dei suoi inizi?
C’è la chiesa di Laodicea (3,14-22). È una chiesa senza speranza. Non è né calda né fredda, ma tiepida. Non sa neppure più di avere bisogno di convertirsi. «Sto per vomitarti dalla mia bocca», dice Gesù. Questa chiesa conta troppo su se stessa, deve ritornare da Gesù.
C’è la chiesa di Smirne (2,8-11), una chiesa povera. Non possiede un elenco di opere buone. Unica virtù è di essere povera, senza potere, perseguitata. Non fa conto su di sé. È l’unica chiesa che non merita rimproveri. Riceve la promessa più ricca: non temere, perché riceverà la corona della vita.
C’è la chiesa di Filadelfia (3,7-13). Come quella di Smirne è una chiesa perseguitata e molto debole. Le dice Gesù: «Conosco che tu hai poca forza», ma è attaccata con tutto il suo essere alla Parola di Dio e si fida di essa. A questa comunità è promessa una meravigliosa fecondità.
Le sette chiese ci sono ancora oggi…
Sono chiese in cui tutto funziona bene a livello organizzativo, una gestione impeccabile,con grandi programmazioni e organizzazioni. Ma a che punto è la loro vita di preghiera?
Chiese autosufficienti ce ne sono ancora: chiese ricche che contano sulle proprie risorse. Chiese povere, come quella di Smirne, perseguitate e criticate, sprovviste di mezzi. Si fidano però di Cristo. È loro promessa la fede e una grande fecondità apostolica.
Ci sono chiese come quella di Filadelfia il cui unico punto di sostegno è la Parola di Dio. Fanno fatica ad avere l’Eucaristia e i Sacramenti, eppure possono sperare un grande futuro.
Il martire come icona della speranza
Il martire, come persona, non ha nulla in più su cui contare. È l’immagine per eccellenza della persona di speranza. Solo «Dio rimane la loro roccia e la loro fortezza». Di fronte alla morte l’unica cosa che dà senso alla vita del martire è la speranza; senza di essa egli è perso. I martiri ricevono il loro martirio, non lo producono. Si consegnano al Dio della speranza. Nella chiesa di oggi ci sono ancora tanti martiri, anche quelli che chiamiamo “martiri bianchi”. Sono coloro che osano parlare nei Gulag della nostra società, anche quando sono sbeffeggiati e ridicolizzati. Sono quelli che sempre perdonano e sanno rendere bene per male. Sono splendidi testimoni (martire = testimone), sono le icone della speranza nella chiesa e nella società Finché ci sono loro la speranza non morirà!
GODFRIED CARD. DANNEELS, Cristo nostra speranza. Testimonianza cristiana al mondo d’oggi, in «Testimoni», 1 (2005), pp. 22-29. Riduzione di Cesare Filippini.