ALL’ITALIA SERVONO PARTITI VERI, DEMOCRATICI E REALMENTE NUOVI
di Franco Monaco
politologo
Confortati da autorevoli opinionisti, avevamo osservato che il più alto e insostenibile dei costi della politica, che affligge l’Italia in modo particolarissimo, è un vistoso deficit di democrazia governante, originato da un sistema politico-istituzionale che inibisce decisioni efficaci e tempestive. All’altezza di economie e società aperte e dinamiche e tali da farci tenere il passo dei nostri partner-competitori dentro un’Europa e un mondo sempre più integrati. Un deficit di democrazia funzionante e governante che si manifesta soprattutto nei rami alti dello Stato, a livello di Parlamento e di governo centrale. Singolarmente deboli e precari, specie se rapportati ai governi regionali e locali, decisamente più stabili ed efficienti. Con conseguenti problemi di equilibrio del sistema.
Un problema annoso, questo, che rinvia alla ventennale e irrisolta esigenza di adeguamento e riforma di regole e istituzioni. Dalla legge elettorale, di recente riscritta con il preciso (e riuscito) proposito di acuire frammentazione, instabilità, paralisi; sino al bicameralismo perfetto (nel senso di ripetitivo e inconcludente) e soprattutto alla forma di governo con i poteri del premier (sensibilmente inferiori a quelli di un presidente di regione o di un sindaco, sotto il profilo istituzionale).
In questo quadro politico-istituzionale, neppure il più carismatico statista potrebbe fare il miracolo di dar corso a un governo all’altezza delle nuove sfide, Dunque, la prima linea di risposta all’antipolitica è la riapertura del cantiere delle riforme, che tuttavia presupporrebbe spirito costituente e dunque cooperazione bipartisan. Di cui, onestamente, allo stato, non si vede traccia.
La seconda via di risposta è quella genuinamente politica. Quella cioè dell’adeguamento dei partiti, che sono gli attori-protagonisti delle moderne democrazie di massa, i soggetti collettivi che raccolgono e organizzano il consenso, selezionano la classe dirigente politica, fanno da raccordo tra società e istituzioni, Si diceva di una pressante e disattesa domanda di governo. Ma una risposta di natura democratica a tale domanda di governo non può che far leva su partiti che facciano da “infrastruttura democratica” della società. E tuttavia anche i partiti partecipano di quella complessiva crisi di sistema cui si è fatto cenno. Di quali partiti avremmo bisogno? Rispondo sinteticamente con una sequela di aggettivi qualificativi.
Di “partiti veri”, disciplinati da regole che si rispettano e che si configurino come organismi collettivi. L’opposto di partiti oligarchici o addirittura personali, cui ha concorso una legge elettorale che mette nelle mani del capo la “nomina” dei parlamentari più docili.
Di “partiti democratici” non solo di nome, cioè restituiti ai cittadini quale loro strumento di partecipazione, come prescrive l’art. 49 della nostra Costituzione. A questo risponde il ricorso a consultazioni primarie anche nella vita interna dei partiti, quelli più sensibili e aperti alle forme nuove della domanda di partecipazione, meno incline alla retorica o alla militanza tradizionale e piuttosto orientato alla “democrazia deliberativa”, ove il cittadino aderente è chiamato in presa diretta a concorrere alle decisioni che contano.
Di “partiti grandi”, a vocazione generale e con cultura di governo. Non di piccoli partiti che pensano se stessi nell’angusta logica della rappresentanza di nicchia. Qui, naturalmente, decisiva è la legge elettorale; quella attuale ci ha regalato un Parlamento abitato da ventitrè gruppi gelosi della loro autonomia.
Infine, di “partiti autenticamente nuovi”, espressione di paradigmi ideologici altri e diversi da quelli del Novecento. Eppure, a ben vedere, gli attuali partiti sono più spezzoni residuali del vecchio che non anticipazione o espressione del nuovo. Sotto questo profilo e al di là del giudizio di valore (e delle legittime preferenze), si deve riconoscere che Forza Italia e il costituendo Partito democratico rappresentano le esperienze più avanzate nella tensione all’innovazione politica.