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Mercoledì, 13 Febbraio 2008 12:58

Lo show del G8, chi controlla l'economia?

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Serve o non serve? Si è trasformato in uno show di burocrati, come sostiene l’ex presidente francese Giscard D’Estaing, oppure il G8, cioè il vertice dei sette paesi più industrializzati del mondo più la Russia, è ancora il salotto buono da dove si governa l’economia mondiale? L’ultima edizione, in Germania a inizio giugno, ha messo in moto una corrente di pensiero sulla sua inutilità, che accomuna economisti radicali, ex premier conservatori e guru ecologisti.

Il gruppo era nato, anni fa, come G7 l’idea era quella di un salotto di una trentina di persone, per discutere senza peli sulla lingua di economia, ammettendo errori e correzioni di prospettiva All’ultimo G8 i leader erano accompagnati da duemila persone in un turbinio di riunioni, vertici nel vertice e incontri bilaterali, ormai la chiave per governare un pianeta sempre più turbolento; anche la scelta del tema (clima e problemi dell’ambiente) ha rasentato la farsa. I problemi di ruolo si erano posti già quando ai sette era stata aggiunta la Russia, l’ottavo convitato che ha sparigliato la carte, spostando la discussione sul piano geopolitico e mettendo in crisi l’approccio economicistico prevalente tra i sette paesi a .più forte crescita. In ogni caso, da quando la crescita economica ha preso la strada della globalizzazione, il G8 rischia di implodere e di lasciare sul campo un sacco di vittime.

L’epoca della disgiunzione
Intanto oggi bisogna. chiedersi chi controlla chi e se si può parlare di un “sistema” che ha sostituito quello uscito dal secondo conflitto mondiale, che mirava a ottenere, e per un certo tempo ci è riuscito, stabilità nei tassi di cambio e nel commercio mondiale. Il G7 è nato proprio quando qualcuno ha alzato il dito per annunciare che il sistema non teneva più e gli squilibri potevano fare grossi guai, naturalmente al ricchi. Il G7, insomma, è stato un tentativo di proteggersi, più che un’azione virtuosa di governare il cambiamento. Per questo oggi l’ex presidente francese, uno degli inventori del G7, è così critico.

In più, dietro le quinte di un palcoscenico che cede da più parti si affacciano ormai attori e problemi nuovi. Centrale, nel gruppo degli Otto, e prima dei Sette, è sempre stata l’attenzione per il cosiddetto “ciclo americano” cioè il ruolo globale dell’economia Usa, dalla cui tenuta dipendeva tutto il resto. Oggi però la realtà è diversa e in giro si colgono una sfida globale alla prima potenza e uno spostamento dell’asse del governo mondiale dell’economia. Qualche economista lo chiama decoupling, disgiunzione tra economia americana ed economia globale. Il dibattito è aperto, ma assomiglia ancora a un rebus, con soluzioni non facili.

Di certo c’è che la crescita americana è in declino, l’eurozona accelera, mentre Cina e India continuano a marciare a ritmi forsennati. Nella spesa globale la quota di mercati emergenti (Cina, India, Brasile, Messico e Corea,. tutti paesi che nel GB non hanno nemmeno uno strapuntino in fondo alla fila) è cresciuta dal 1990 ad oggi dal 20 al 37% Tuttavia il consumatore americano è ancora il più forte in assoluto (la Cina, per esempio, manda negli Usa il 21% del suo export). Allora solo quando lo Zio Sam si stancherà, si vedrà se l’economia mondiale potrà farne a meno. Adesso tutto rimane sospeso, perché debito americano e crescita delle quote dei nuovi mercati finanziari sono strettamente correlati. La disgiunzione può essere una linea di condotta per il futuro, ma non è detto che sia la soluzione per migliorare il sistema economico mondiale nel senso della giustizia e dei diritti. Il rischio è che si cambi solo l’arredamento del salotto.

di Alberto Bobbio
Italia Caritas/Luglio Agosto 2007


Letto 2546 volte Ultima modifica il Sabato, 22 Marzo 2008 00:07

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