Il gruppo era nato, anni fa, come G7 l’idea era quella di un salotto di una trentina di persone, per discutere senza peli sulla lingua di economia, ammettendo errori e correzioni di prospettiva All’ultimo G8 i leader erano accompagnati da duemila persone in un turbinio di riunioni, vertici nel vertice e incontri bilaterali, ormai la chiave per governare un pianeta sempre più turbolento; anche la scelta del tema (clima e problemi dell’ambiente) ha rasentato la farsa. I problemi di ruolo si erano posti già quando ai sette era stata aggiunta la Russia, l’ottavo convitato che ha sparigliato la carte, spostando la discussione sul piano geopolitico e mettendo in crisi l’approccio economicistico prevalente tra i sette paesi a .più forte crescita. In ogni caso, da quando la crescita economica ha preso la strada della globalizzazione, il G8 rischia di implodere e di lasciare sul campo un sacco di vittime.
L’epoca della disgiunzione
Intanto oggi bisogna. chiedersi chi controlla chi e se si può parlare di un “sistema” che ha sostituito quello uscito dal secondo conflitto mondiale, che mirava a ottenere, e per un certo tempo ci è riuscito, stabilità nei tassi di cambio e nel commercio mondiale. Il G7 è nato proprio quando qualcuno ha alzato il dito per annunciare che il sistema non teneva più e gli squilibri potevano fare grossi guai, naturalmente al ricchi. Il G7, insomma, è stato un tentativo di proteggersi, più che un’azione virtuosa di governare il cambiamento. Per questo oggi l’ex presidente francese, uno degli inventori del G7, è così critico.
In più, dietro le quinte di un palcoscenico che cede da più parti si affacciano ormai attori e problemi nuovi. Centrale, nel gruppo degli Otto, e prima dei Sette, è sempre stata l’attenzione per il cosiddetto “ciclo americano” cioè il ruolo globale dell’economia Usa, dalla cui tenuta dipendeva tutto il resto. Oggi però la realtà è diversa e in giro si colgono una sfida globale alla prima potenza e uno spostamento dell’asse del governo mondiale dell’economia. Qualche economista lo chiama decoupling, disgiunzione tra economia americana ed economia globale. Il dibattito è aperto, ma assomiglia ancora a un rebus, con soluzioni non facili.
Di certo c’è che la crescita americana è in declino, l’eurozona accelera, mentre Cina e India continuano a marciare a ritmi forsennati. Nella spesa globale la quota di mercati emergenti (Cina, India, Brasile, Messico e Corea,. tutti paesi che nel GB non hanno nemmeno uno strapuntino in fondo alla fila) è cresciuta dal 1990 ad oggi dal 20 al 37% Tuttavia il consumatore americano è ancora il più forte in assoluto (la Cina, per esempio, manda negli Usa il 21% del suo export). Allora solo quando lo Zio Sam si stancherà, si vedrà se l’economia mondiale potrà farne a meno. Adesso tutto rimane sospeso, perché debito americano e crescita delle quote dei nuovi mercati finanziari sono strettamente correlati. La disgiunzione può essere una linea di condotta per il futuro, ma non è detto che sia la soluzione per migliorare il sistema economico mondiale nel senso della giustizia e dei diritti. Il rischio è che si cambi solo l’arredamento del salotto.
di Alberto Bobbio
Italia Caritas/Luglio Agosto 2007