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Giovedì, 06 Marzo 2008 19:48

Creare cultura e reti per vincere il lamento

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Creare cultura e reti per vincere il lamento

di Liberato Canadà
da Italia Caritas – dicembre 2007/gennaio 2008

Sviluppo locale? Per parlame, a proposito della Basilicata, così come del mezzogiorno d'Italia, cuore del Mediterraneo, bisogna partire da un semplice ma radicale rovesciamento. E cioè smettere di chiedere cosa l'Italia e l'Europa possono fare per il sud e la Basilicata, per chiedersi invece cosa la Basilicata e il mezzogiorno possono fare per l'Italia e per l'Europa.

Sul mezzogiorno d'Italia (compresa la Basilicata) esercitano ancora una forte influenza alcune dinamiche storiche, in primo luogo quel processo di emarginazione del Mediterraneo, iniziato con lo spostamento del cuore della storia moderna prima verso il nord Europa, poi verso l'ovest lungo le grandi rotte oceaniche. Bisogna pertanto partire dal presupposto che se non si investe sul Mediterraneo non ci potrà essere sviluppo nel mezzogiorno, e neanche in Basilicata. Senza una politica estera coraggiosa, senza colpire al cuore quell'antica marginalità, sarà molto difficile rimuovere le barriere tra il sud dell'Italia e la normalità del paese, per poi moltiplicare tutte le buone esperienze esistenti nel mezzogiorno e in Basilicata, che sono tante, numerose e significative.

Il settentrione d'Italia è composto da regioni che si sentono nel cuore dell'Europa. Si può pensare davvero di affrontare con successo quella che una volta veniva definita "questione meridionale", se non si costruisce una grande area di sviluppo euromediterranea, in territori segnati da una distanza ben superiore dal centro del continente?

Il "sudditoso" vive e vegeta

La Basilicata e i mezzogiorni d'Italia erano meno lontani dal resto d'Europa con i Borboni, nel Settecento e nel primo Ottocento. Eppure non si tratta di dipingere un quadro a tinte fosche della Basilicata; piuttosto, occorre esaltarne l'irrimediabile diversità, pur confrontandosi con le patologie e la durezza dei problemi, ma evitando di alimentare una brutta malattia che perdura nel mezzogiorno d'Italia, quindi anche in Basilicata. Occorre, in altri termini, cancellare la parola "sud", perché evoca sudditanza e subalternità. E il subalterno non fa, ma aspetta che si faccia; non è causa del suo bene e del suo male, ma solo effetto dell'azione e del pensiero altrui; non decide, ma è deciso. Il "suddito so", sia in maniera individuale che in forma collettiva, vive e vegeta nella comunità dei sudditi: sconta su di sé il peso antico di dominazioni, di un colonialismo politico e religioso, economico e tecnologico.

Di alibi giustificativi ce ne sarebbero a bizzeffe: l'emigrazione degli anni Sessanta e quella più recente del 2006, la povertà, le dinamiche del processo unitario dell'Italia (e poi di quello europeo), l'assenza di infrastrutture sociali e materiali... Ma l'atteggiamento di sudditanza è un sonnifero, produce paralisi, quantomeno lentezza. In Basilicata alcune iniziative, amministrative ed economiche, sono state rese possibili dalle emergenze (sisma, alluvioni, frane), che spesso diventano condizione strutturata, modalità sociale di comportamento, incapace di progettare e programmare azioni di sviluppo. La lentezza, stancante e asfissiante, produce depressione e accidia, generando il lamento. Una delle principali manifestazioni della sudditanza; un atteggiamento che ha contaminato parti sociali, economiche, religiose e politiche, persino educative; una posa che contraddistingue i professionisti del meridionalismo, il quale arruola quanti giustificano l'inerzia dolente e fatalista, attribuendola a fattori esterni.

Arginare l'inclinazione alla lagna, stimolando e promuovendo iniziativa, creatività, scelte educative e culturali capaci di far emergere un pensiero aperto al Mediterraneo, all'Italia, all'Europa: è questa la leva strategica per poter parlare di sviluppo, non nelle intenzioni ma in azioni prive di ambiguità e di demagogia.

Paninoteche, non librerie

Gli ostacoli allo sviluppo sono insomma anzitutto culturali. Ma la Basilicata è culturalmente arretrata? Guardando alla fioritura delle idee e al fervore delle intelligenze, alle forme di espressione vitale costituite dalla cultura locale e dalla tradizione popolare e folcloristica, si può dire che la regione non è spenta. C'è vivacità, magari meno cultura civica, ma certo un vivo reticolo di solidarietà familiare e comunitaria, che deriva anche da valori e radici cristiane. Si può dire che esista un familismo virtuoso, che consente di ammortizzare disoccupazione, miseria e squilibri sociali dove esistono. Permane inoltre una memoria condivisa, fatta di linguaggi, retaggi e paesaggi comuni.

Se per cultura invece si intende l'elaborazione intellettuale dei dotti e l'azione di una classe dirigente, allora si notano le arretratezze. Invece di teatri, librerie, circoli culturali e sociali, quasi ovunque sono nate negli ultimi anni banche, gioiellerie, paninoteche. A riprova del fatto che i soldi (in Basilicata nelle banche sono depositate ingenti somme di denaro) dove ci sono non portano automaticamente cultura. Inoltre nel mezzogiorno d'Italia, e soprattutto in Basilicata, non esistono media (tv e giornali) di dimensione nazionale che parlino all'Italia; la Basilicata non è vista, non è letta. Come l'intero mezzogiorno d'Italia, è sottorappresentata; il baricentro della politica, dell'economia e dei media è spostato nel settentrione d'Italia, cuore d'Europa.

Con altre parole, si può dire che in Basilicata si è seccato l'albero delle élite, la pianta che produce classe dirigente. In passato erano i notabili, il clero, gli agrari; poi è arrivata la borghesia statale, decorosa e rispettabile: la maestra, il maresciallo, il segretario comunale, l'impiegato alle poste o alle ferrovie. Oggi, declinate le precedenti classi dirigenti e tramontato il ceto cresciuto all'ombra dei partiti, chi emerge lo fa per proprio conto, indipendentemente e individualmente. Il tessuto delle relazioni sociali è sfilacciato, quello civico è debole, e all'orizzonte non si vede una classe dirigente in formazione, impiantata in un terreno culturale originale e meridionale.

Parlare di sviluppo, in Basilicata oggi, significa dunque promuovere e favorire le connessioni (che mancano) tra soggetti (della cultura, della società, dell'imprenditoria) attivi e creativi; ovvero favorire e promuovere connessioni per dare vita a reti fatte non di rapporti subalterni, ma virtuosi. Fatte anche da una buona politica, oltre che da una libera mediazione culturale, da una sana e competente imprenditoria.

In Basilicata, come nel resto del mezzogiorno, chi riuscirà a riconnettere questi rapporti virtuosi potrà guidare processi di sviluppo locale autentici, duraturi e rispettosi delle persone e delle comunità locali. Non c'è altra strada, per voltare la pagina della sudditanza e del lamento.

Letto 1675 volte Ultima modifica il Martedì, 15 Febbraio 2005 11:48

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