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Mercoledì, 18 Giugno 2008 21:34

Tessitrici di speranza

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TESSITRICI DI SPERANZA

di Emanuela Baio
MC – Ottobre/Novembre 2007

Sfruttate, oppresse, denigrate, a volte invisibili, eppure incarnano la frontiera della speranza e del bene comune. Donne in trincea, donne dai mille colori, donne del Terzo e, ormai, Quarto mondo, diventano oggi la grande sfida dell’umanità. Il loro grido di aiuto è arrivato al cuore di chi può decidere. Qualcosa sta cambiando, erano in pochi a credere, solo alcuni anni fa, che donne come Angela Merkel e Michelle Bachelet potessero guidare una potenza come

la Germania e una nazione come il Cile. Non è un processo semplice e neppure scontato, ma può essere un segno di speranza anche per l’universo femminile del Sud del mondo che chiede dignità, attenzione, rispetto e promozione. Queste donne rappresentano l’emblema, ma anche il simbolo di un cambiamento in corso.

I dati statistici non sono confortanti: analfabetismo, fame, carenze sanitarie, acqua potabile e condizioni igienico-sanitarie adeguate. Eppure nel puzzle del mondo non mancano tasselli diversi e sono le donne a viverli, a promuoverli, a farli crescere.

Africa, Asia, America Latina e Oceania, milioni di persone con diverse culture, religioni e lingue presentano problematiche e peculiarità differenti. Tutti sono travolti dal fenomeno dell’economia globale che permea il nostro mondo. A dispetto delle sue grandiose promesse, questo processo si è tradotto in un crescente divario tra ricchi e poveri e, paradossalmente, ha intensificato le interferenze comunicative, proprio in un pianeta “a portata di mano”, milioni di persone, soprattutto donne, sono ancora costrette a emigrare.

Siamo tormentati dall’impoverimento, dall’assenza di buon governo, dal diffondersi di malattie e dal terrorismo. A dispetto di questo quadro, però, il popolo del Terzo mondo non si è rassegnato al suo destino. In Ecuador, in Perù, in Africa si incontrano donne e uomini che soffrono, ma lottano. Le loro lacrime e le loro speranze per un domani migliore ci arrivano attraverso l’insostituibile opera dei missionari. La loro profonda spiritualità, l’impegno per la sopravvivenza e per la difesa della dignità umana rappresentano un primo grande apporto per questi popoli e un forte segnale di civiltà per tutti noi.

Una tessitrice paziente

Popoli di tutti i continenti sono alle prese con l’analisi dei processi storici di sfruttamento che li hanno privati dei loro diritti, della lingua, delle religioni. Le popolazioni indigene hanno ancora di fronte i problemi di culture e terre messe in pericolo. Il diffondersi di questa consapevolezza, la maggiore mobilità delle donne, ci porta in contatto con realtà raccapriccianti, con storie di diritti violati (come l’infibulazione), ma allo stesso tempo, ci consegna una speranza: in quei paesi il processo di evoluzione passa attraverso le donne, legate alla capacità di procreare e, forse per questo, più disponibili al dialogo, alla trattativa e in ultima istanza alla pace. Non è retorico ricordare che sono proprio le donne indigene brasiliane a essere state accanto ai loro uomini, ad averli supportati e amati, anche quando l’alcool li aveva privati della dignità, ad averli sostenuti per la riconquista della loro terra.

Quando tutto sembra franare, le donne rappresentano l’ancora di stabilità. Diventano il sostegno e l’unica chiave di volta, hanno la tenacia di mandare i loro figli a scuola, perché sanno credere in un futuro migliore.

La globalizzazione, in questo senso, è un’esperienza positiva, aiuta donne e movimenti fioriti nel mondo occidentale, a condividere un processo di «emancipazione» umana, che proprio attraverso le donne sta crescendo in tutti gli angoli della terra. Si moltiplicano i progetti di sviluppo che hanno per protagonista l’economia femminile, si registrano importanti esempi di questo modello in Africa con le produttrici di tappeti o in sud America dove la lavorazione del giunco serve da un lato per la sussistenza e dall’altro ad acquisire autonomia e a sviluppare lo stesso concetto di «diritto».

Anche nei paesi occidentali qual cosa si muove, l’esempio più positivo di questa rinascita al femminile è rappresentato da Angela Merkel: le sue doti di paziente tessitrice ha dato i suoi risultati sul fronte ambientale, all’ultimo G8 è riuscita, seguendo la via del dialogo e del negoziato, a strappare un impegno all’America di Bush, prima «sorda» a questi problemi. Si tratta di un esempio chiaro del valore aggiunto di cui è portatrice la componente femminile.

Le donne, grandi migranti, sono l’elemento costitutivo della casa e di ogni stato, ma anche di economie virtuose, simbolo dei compiti di cura di anziani e bambini, che nessuna struttura può sostituire. É evidente che siano più portate al bene comune, proprio per il forte legame che mette le donne in contatto diretto con la creazione.

«Non violenza creativa»

Molti sono i paesi del Terzo mondo che, quotidianamente, affrontano le conseguenze di continui e cruenti conflitti religiosi, etnici e di classe. In questo clima, riuscire ad aprire un varco per dare spazio alla cultura del dialogo diventa sempre più difficile. Difficile l’interazione e l’intermediazione, difficile intravedere tra le distese in fiamme e le tante vite spezzate, un piccolo segno di speranza. Eppure la speranza c’è, anche negli angoli più lontani e misteriosi del mondo.

Con questa consapevolezza e con la perseveranza che le contraddistingue, le chiese dei paesi dimenticati insistono a cercare una via comune di dialogo tra i popoli, anche di fede diversa, che consenta il superamento dell’intolleranza a favore della giustizia, dell’uguaglianza e della pace. Sono proprio questi i tasselli mancanti che, in questo contesto, evidenziano come e quanto le donne di tutto il mondo, risentano, più di ogni altro essere umano, dei crudeli meccanismi di discriminazione, emarginazione e violenza. Sono spesso le più povere tra i poveri, ma lottano contro le strutture gerarchiche e patriarcali in tutte le istituzioni, che siano famiglie, governi, o intere società. La loro forza e la loro tenacia non ha eguali, supera ogni confine geografico, culturale e politico, possiamo sentirla come un’eco lontana che non perde mai la sua intensità.

In Asia, per esempio, continente ad alto potenziale,che presenta la più grande diversità di culture, storia e religioni del mondo, si registra anche una grande quantità di poveri, oppressi, ridotti in condizioni igienico-sanitarie precarie, senza contare che l’impatto con la globalizzazione aumenta le differenze e conduce a un conflitto interno. Eppure, la solidarietà che viene espressa tra i popoli di tutte le fedi e culture nella lotta per un’umanità piena, è prepotentemente fiorita. Questa forza silenziosa, che la donna è in grado di sprigionare e che alimenta la lotta per il bene comune, è legata alla categoria non patriarcale che Gandhi ha definito «potere creativo in forma pacifica».

Violenza e non violenza sono una costruzione sociale e non devono essere legate al sesso. L’input femminista serve a dire che i problemi che le donne del Terzo mondo sollevano sono i problemi del mondo. La riscoperta del principio femminile costituisce la sfida intellettuale e politica al «malsviluppo», inteso come progetto patriarcale. Mentre la distruzione è aggressiva, dunque visibile, l’equilibrio e l’armonia non sono visibili, si sperimentano. Il mantenimento della vita a opera delle donne nel Terzo mondo si basa su questa attività celata. Una visione femminile nella donna come nell’uomo, dunque, permette di vivere in una logica di sopravvivenza, in cui alla pianificazione a breve termine, si sostituisce una visione di lungo periodo. Ma è altrettanto chiaro che solo attraverso l’interazione tra i generi, il dialogo può svilupparsi. Questo consente una spiritualità autentica, perché il primo passo verso i diritti, è proprio la consapevolezza. Un processo nel quale le donne sono maestre.

Microcredito in rosa

La millenaria esperienza di duro lavoro nei campi, ha permesso alle donne del Terzo mondo di creare una tipicità di conoscenze agricole, nelle quali tuttora si distinguono rispetto agli uomini e, da sempre, ha rappresentato una fonte di guadagno e sostentamento. La maggior parte del pianeta ha soddisfatto i propri bisogni alimentari grazie a una agricoltura praticata dalle donne. In questo modo le conoscenze vengono condivise, specie e piante non vengono considerate «proprietà», ma parenti, e la sostenibilità si basa sul rinnovo della fertilità della terra, sulla rigenerazione della biodiversità e delle specie.

Questa diversità di sistemi di conoscenze è la strada da seguire per far sì che le donne del Terzo mondo continuino ad avere un ruolo centrale come conoscitrici, produttrici e approvvigionatrici di alimenti. Ma non basta. Oggi questo equilibrio apparente, sembra minacciato dall’attuale modello agricolo-industriale. Lasciare che le donne si occupino esclusivamente dei campi, contribuisce a costruire un corollario di conoscenze ma, nella pratica, continua a lasciarle in disparte, lontane dalla vita e dagli interessi dell’uomo e viceversa.

Come può esistere integrazione se non si percorre una via comune al dialogo? Proprio attraverso lo sviluppo di una economia settoriale si può sperare in una rinascita economica e nel benessere sociale. L’istituzione di piccole aziende manifatturiere potrebbe dare la possibilità alle donne di emergere anche in altri settori, estendendo le conoscenze, la cultura ma anche i campi di azione. Il settore tessile, per esempio, può vedere l’utilizzo di manodopera sia maschile che femminile e allo stesso tempo può rappresentare un terreno di confronto culturale. La miseria, la fame la prostituzione spesso prendono il posto del buon senso e della civiltà che deve credere alla diffusione di buone pratiche come il microcredito. Sono sufficienti pochi euro consegnati a una donna che, impegnata in un progetto di sviluppo locale, sappia trasformarli in una risorsa a vantaggio dell’intera comunità.

Le altre donne combattono ogni giorno sul posto di lavoro per cercare di dimostrare al mondo che esistono, che valgono, che sono in grado. Se pensiamo al Terzo mondo l’immagine di ritorno che proviene dai nostri ricordi stereotipati ci mostra un quadro assai triste: donne sole in disparte, coperte dall’ombra dell’ignoranza e della discriminazione; donne sfruttate, minacciate, usate come merce di scambio; donne spaventate dagli occhi spenti, rifiuti di una civiltà che le considera inutili, eppure,dietro quell’apparente debolezza si nasconde una determinazione che non ha eguali. I loro passi sono piccoli ma importanti perché spesso «quello che facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non ci fosse quella goccia all’oceano mancherebbe» (MadreTeresa di Calcutta). Donne forgiate dal sacrificio e dalle privazioni che sanno cosa vuol dire essere dimenticate, oggi più che mai dimostrano a tutti noi la loro forza.

Situazione socio-economica

Dal rapporto dell’Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro) emerge che dei 2,8 miliardi di esseri umani al lavoro,la metà guadagna meno di due dollari al giorno. Degli occupati, le donne sono le più sfruttate e sono la maggioranza tra i disoccupati.

Il rapporto della Fao (Organizzazione per l’alimentazione e agricoltura) mette in luce lo stretto legame tra sottoalimentazione, analfabetismo e frequenza scolastica. Fame e impossibilità di accedere a un livello minimo di istruzione si coniugano in una miscela letale che colpisce soprattutto loro: due terzi delle donne nel Terzo mondo è analfabeta, con la conseguente riduzione della possibilità di procurarsi un reddito decente, sono, quindi, le più colpite dalla fame, che miete 852 milioni di vittime.

Il rapporto di Amnesty lnternational ci dice che nel XXI secolo le donne sono quelle che pagano il prezzo più alto alla violenza endemica della guerra, non solo come profughe costrette a lasciare tutto per salvarsi dalle distruzioni dei conflitti bellici, ma come oggetto specifico di violenza che le svilisce in quanto donne.

Il rapporto di Amnesty colpisce perché evidenzia come coloro che si macchiano di crimini e violenze contro le donne, godono dell’impunità che si basa sul trinomio donna-oggetto-proprietà privata. In un mondo in cui continuamente si parla di diritto, giustizia, libertà e democrazia, c’è uno spazio vuoto in cui sprofonda la maggior parte dell’umanità, le donne, appunto, nei confronti delle quali, tutto è lecito.

Oltre allo strapotere violento degli uomini, contribuisce all’impunità anche l’autocensura, che, sia per paura, sia per consuetudine, da sempre le condanna: in quanto oggetti non possono ribellarsi, rispondere, replicare. È chiaro che parlare di sviluppo economico in un clima simile risulta improbabile, ma la sfida sta proprio qui.

Un’opera complessa che deve garantire la salvaguardia delle singole culture e il rispetto delle differenti religioni e tradizioni. Un esempio concreto ci viene dalla Scandinavia che ha dato il premio Nobel per la pace a una signora africana che da 30 anni si batte cercando di coniugare diritti delle donne, democrazia, economia sostenibile e tutela ambientale: la kenyana Wangari Maathai che lavora con la sua associazione, il Green Belt Movement, piantando alberi in zone affamate. Con tutto quel che può voler dire in termini di coinvolgimento delle popolazioni locali e di creazione di un circolo economico virtuoso.

Dobbiamo partire da due occhi che non chiedono, ma che ci raccontano dei colori,e dalle tinte forti dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina: un arcobaleno che aspetta, pazientemente, la fine del temporale per poter essere visibile.

La luce è vita, quindi speranza. Una battaglia che fortunatamente ha contagiato il Dna dei singoli stati, dell’Unione europea e che oggi esige di entrare a pieno titolo nell’agenda politica in tutti i consessi internazionali in grado di cambiare le sorti del mondo, Così come sempre più e con maggiore efficacia l’impegno per i diritti umani deve entrare nelle politiche estere perseguite anche dai singoli governi, all’insegna di una globalizzazione dal volto veramente umano.

Letto 1807 volte Ultima modifica il Venerdì, 27 Giugno 2008 00:00

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