Lontani dal proselitismo, i cristiani algerini accolgono tutti nel rispetto delle differenze
In questi ultimi tempi, alcuni giornali algerini hanno ripreso a scrivere che l’impegno sociale della Chiesa locale è un mezzo per ottenere conversioni al cristianesimo. Si tratta ovviamente di falsità, che, una volta di più, cerchiamo di smentire innanzitutto con i fatti, ribadendo che la vita al seguito di Gesù implica la gratuità nel servizio. La nostra gioia più grande, infatti, è là dove noi possiamo accoglierci gli uni gli altri nel rispetto delle differenze. Far nascere la comunione tra gli uomini di origini, culture e religioni differenti è per noi la missione di Colui che «ha dato la sua vita per riunire tutti i figli di Dio dispersi».
Purtroppo numerosi fatti recenti hanno risvegliato, in certi ambienti, diffidenze e ostilità che ci sembrano ingiuste e ingiustificate. E non possiamo che vivere con dolore e preoccupazione il contrasto che si è creato tra il nostro desiderio di vivere la «solidarietà evangelica» con il popolo algerino e gli ostacoli che si sono presentati in questi ultimi mesi e che cerchiamo di affrontare senza perdere la speranza. Queste difficoltà non riguardano unicamente la Chiesa cattolica, ma colpiscono tutte le Chiese presenti in Algeria e le diverse comunità cristiane. In particolare, lo scorso marzo, abbiamo dovuto accomiatarci, con grande dolore e rammarico, dal pastore Hugh Johnson, 75 anni, ex presidente della Chiesa protestante d’Algeria, costretto a lasciare il Paese dopo 45 anni di vita e di servizio in questa terra. Il Consiglio di Stato, infatti, si è dichiarato incompetente a decidere il destino di Johnson e ha rifiutato di rinnovargli il permesso di soggiorno, dopo che in un primo momento aveva annullato l’ordine di espulsione. A nulla sono valsi i nostri appelli e il nostro intervento presso lo stesso ministro per gli Affari religiosi, Abdullah Ghulamallah. Eppure, in un recente incontro proprio con il ministro, gli avevamo ribadito la volontà di solidarietà di tutte le comunità cristiane con la popolazione locale, solidarietà attraverso la quale si esprime il rispetto della Chiesa per la società algerina, per le sue tradizioni e per i suoi riferimenti religiosi. Ma gli abbiamo espresso anche l’inquietudine della comunità cattolica in Algeria di fronte a certi provvedimenti e a certe decisioni amministrative recenti. E nonostante il ministro abbia ribadito che lo Stato non ha alcuna volontà di mettere in discussione la presenza della Chiesa cattolica nella società algerina, restiamo comunque alquanto preoccupati. Tanto più che, lo scorso mese di aprile, abbiamo dovuto affrontare il processo al padre Pierre Wallez della diocesi di Orano e a un medico algerino, accusati di aver visitato senza permesso un gruppo di migranti subsahariani che vivono alla frontiera con il Marocco e di aver celebrato in un luogo non riconosciuto dal governo. Eppure da almeno nove anni i servizi di sicurezza algerini sono al corrente del fatto che membri della Chiesa cattolica visitano regolarmente i migranti subsahariani in quella zona e garantiscono momenti di preghiera presso i cristiani.
In seguito a questo incontro con il ministro per gli Affari religiosi, ci incoraggia perlomeno il fatto che si sia previsto di lavorare, insieme ai suoi collaboratori, in una commissione creata ad hoc dal ministero per studiare nei dettagli i diversi articoli della legge del 28 febbraio 2006 e dei suoi decreti applicativi. Si tratta di un testo che regolamenta i culti non-musulmani e che prevede misure per noi difficili da accettare, in quanto si parla di prigione per tutti coloro che presentano il cristianesimo ai musulmani. Questo non è accettabile e non è una soluzione. Certamente bisogna trovare modi di relazione rispettosa tra cristiani e musulmani e allontanarsi da forme di proselitismo propagandistico. Io stesso ritengo che la comunicazione spirituale possa avvenire ad altri livelli. Ma speriamo anche che il governo trovi altre soluzioni, che non siano l’arresto e la prigione. Noi, come Chiesa d’Algeria, non possiamo far altro che continuare a dar prova, come abbiamo fatto nel corso di molti anni, del fatto che la ricerca di fratelli e sorelle in umanità è la nostra fondamentale vocazione e la nostra missione in questo Paese. In questo modo, realizziamo l’appello di Cristo: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi», rinnovando ogni giorno il nostro impegno e la nostra solidarietà
Henri Teissier
arcivescovo di Algeri
Mondo e Missione / maggio 2008