Mondo Oggi

Martedì, 24 Marzo 2009 20:24

IL PROGETTO DELLA SPERANZA

Vota questo articolo
(0 Voti)

IL PROGETTO DELLA SPERANZA

di Enzo Mani
CARTA n. 42 – novembre 2008

Ci voleva ancora una volta una realtà connotata al femminile, Carta, per affermare il valore della disobbedienza alla «riforma» Gelmini e del dissenso creativo. Non è solo il nome che porta il segno della femminilità ma la cultura da cui Carta è pervasa, che è la cultura dell’autonomia da qualsiasi sistema di potere e di alienazione e in particolare da quello patriarcale.

Carta che si pone sulla linea marcata dalla disobbedienza creativa di Eva e di Pandora? Carta che ripropone e attualizza i due momenti forti destinati, nell’ambiguità del mito, a inaugurare l’evoluzione umana: il gesto di mangiare il frutto, proibito da Dio, dell’albero della conoscenza e il gesto, negato da Zeus, di aprire il vaso della consapevolezza? Non è affatto esagerato pensarlo. È avvenuto tante volte nella storia. I miti antichi sono utopie in senso proprio, senza luogo e senza tempo. Somigliano in qualche modo alle cellule staminali: generati ai primordi dell’umanità, restano sempre attuali. Sono quindi importanti per una ricerca sui fondamenti della nostra esistenza e sul cammino della liberazione. Lévi Strauss che si è dedicato alla interpretazione strutturale del pensiero mitico, nel suo libro «Il pensiero selvaggio» afferma che il pensiero mitico è come una specie di bricolage di simboli, allusioni, metafore e talvolta contraddizioni, capace di adattarsi alle varie situazioni, rivelando la trama su cui s’innesta l’ordito della vicenda umana.

La disobbedienza civile proposta da Carta si colloca in questo ordito rivelato da mito di Eva e Pandora, in questo ordine di radice, più fondamentale di ogni ordinamento generato dal potere.

L’obiettivo più intrigante della strategia restaurativa è quello di annebbiare la fiducia nella visione dell’esistenza personale e della storia come tracciato non sempre lineare ma dotato di senso, passo dopo passo: dalla schiavitù al riscatto, dalla oppressione alla liberazione, dalla alienazione alla responsabilità.

E noi dobbiamo scoprire l’inganno. E vedere l’onda lunga da cui vengono i due lampi che ci ridanno luce e forza: a livello nazionale l’esplosione del movimento per la scuola di tutti per tutti e sulla scena mondiale il movimento dal basso che ha portato all’elezione di Obama.

Ora mitizzando Obama, attribuendo al suo carisma tutto il merito della vittoria, inserendolo nel panteon degli dei, ci stanno rubando il senso di una lunga storia o meglio della storia. Obama-presidente potrà deluderci. Ma intanto con lui si è aperto uno squarcio che fa emergere la fiumana di magma incandescente che muove la storia, che potrà ingrottarsi di nuovo ma non fermarsi.

Lo stesso si può dire del movimento per la scuola. Non è una increspatura di superficie. Con lo sguardo, affaticato ma non stanco, di chi ha partecipato con determinazione alla lotta per la trasformazione della società e della scuola fin dal secolo scorso, ritengo che siamo ancora una volta, come al tempo dei forum sociali, di fronte a un segno, sia pure contraddittorio, incerto e fluttuante, di un vero processo storico rivoluzionario, responsabile, lento e globale, che cioè investe tutti i campi del vivere e del convivere e che procede con emersioni e ingrottamenti.

Proprio in questi giorni cade il quarantesimo compleanno del parto da cui, nell’autunno del 1968, è nata a Firenze la Comunità dell’Isolotto.

La festa l’abbiamo anticipata a fine settembre con tre affollati incontri. Ma la vera festa di compleanno la stiamo celebrando ora con la nostra partecipazione al movimento in difesa della scuola di tutti e per tutti. Siamo spinti dal bisogno di esserci ancora una volta, di fronte a questo sconsiderato attacco alla scuola. Cercano in ogni modo di rendere le persone più deboli, impaurite, isolate. La solitudine rende inermi, Incapaci di reagire, ripiegati su se stessi, toglie coraggio. Al contrario, il fare insieme, il lottare insieme per qualcosa di comune, ci rende forti e anche «pericolosi» per chi vuole il silenzio. E’ la storia di questi nostri quarant’anni.

Le scuole dell’Isolotto, sia come edifici che come esperienza educativa, sono il frutto di un impegno e di una lotta collettiva unitaria che coinvolse per anni l’intero quartiere. Con creatività e speranza, passo dopo passo, tutti insieme, bambini e bambine, insegnanti, genitori, abbiamo costruito la «scuola/tenda», la scuola cioè che si modella sui bisogni di ragazze e ragazzi diversi, che respira col nostro respiro, che cresce perché noi cresciamo, che libera la nostra creatività e curiosità, che ci aiuta a porre domande più che insegnare risposte, la scuola di tutti per tutti aperta al respiro del quartiere e del mondo.

E ci siamo liberati dalla scuola/carcere, dalla scuola dei tempi e luoghi rigidi, del tutti in riga, del grembiule/divisa, del sapere fatto di pillole amare da inghiottire con una zolletta di zucchero, del maestro unico più capo che amico.

La scuola/tenda non ce l’hanno regalata. Ce la siamo conquistata con un forte movimento in cui l’esperienza educativa della Comunità dell’Isolotto è stata una notevole fonte di ispirazione che solo uno sguardo preconcetto e meschino può ignorare.

E ora portiamo nel movimento attuale la testimonianza di questa continuità resistente. I poteri che hanno in mano il dominio della società usano la scuola come potente fonte di stabilizzazione del sistema di valori della cultura liberista. Una colossale rimozione profonda delle persone è il sacrificio richiesto dalla nuova religione delle cose. E gli studenti sono vittime sacrificali privilegiate. Più che persone da educare gli studenti sono visti come clienti a cui l’azienda scuola deve fornire la merce cultura. La scuola che vogliono i centri del potere è quella che educa all’individualismo, alla competizione, al consumismo, alla paura, all’utilitarismo tecnocratico, al dogmatismo E per raggiungere il loro scopo devono contrastare e tentare di annullare le sperimentazioni consolidate di una scuola che educa invece a valori diversi se non opposti.

Il problema è che ci costringono a difendere essenziali conquiste di civiltà, elementari acquisizioni pedagogiche e fondamentali diritti umani come la laicità e la scuola di tutti per tutti o come il tempo pieno, conquiste che invece avrebbero bisogno di essere affinate, sviluppate e generalizzate. In questo senso le giovani generazioni affollano e animano la progettualità della speranza.

Letto 1735 volte Ultima modifica il Mercoledì, 02 Dicembre 2009 20:36

Search