I beni materiali [acqua, aria, terra, foreste, energie, trasporti urbani....] e immateriali [conoscenza, salute, educazione, sicurezza...] sono alla base della costituzione e dell’esistenza di una società umana, intesa come insieme di regole, istituzioni e mezzi che organizzano il vivere insieme di persone che condividono memoria e sentimenti di appartenenza, fanno cultura ed identità, progettano un divenire in comune. È sulla condivisione e la responsabilità di e per questi beni che, peraltro, si basa ed è alimentata la legittimità del potere cui i membri della società hanno delegato od affidato le decisioni sul loro divenire.
Una società i cui membri non hanno – o non hanno più – niente di cui si sentono insieme responsabili e «proprietari» è una «no society», una non società, destinata, prima o poi, a sgretolarsi ed a ridursi in macerie di gruppi corporativi in conflitto continuo fra di loro per la propria singola sopravvivenza, sicurezza e «benessere». In tale contesto, le nozioni di ricchezza collettiva, di ben vivere comune, di libertà, di solidarietà, di empatia perdono qualsiasi rilevanza non solo pratica. Il concetto stesso di società si liquefa. Quello di Stato si trasforma in soggetto superfluo, ingombrante. Quello dei diritti umani e sociali in uno schiamazzo di soprusi e di esclusioni.
È quello che è successo alla società in Italia, dove la mercificazione e la privatizzazione della quasi totalità dei beni comuni sono state realizzate in maniera sistematica anche se con totale confusione istituzionale e violenza giuridica. Non è difficile comprendere le ragioni che oggi conducono i gruppi al potere ad espropriare lo Stato ai cittadini, la società agli esseri umani, i diritti alle persone. È quello che sta succedendo all’integrazione europea i cui dirigenti, da una ventina di anni, hanno deciso di eliminare anche quei pochi beni e simboli che gli europei degli anni sessanta e settanta erano riusciti faticosamente a mettere insieme [alcune politiche comuni, la bandiera, l’inno...] e hanno «reso disponibili al mercato», ancora prima di averli resi comuni, beni come l’acqua, la salute, l’educazione, i trasporti, la terra, il suolo urbano...
È quello che è accaduto a una società che afferma di essere diventata mondiale e globale ma che ha tutto mercificato e «sottomesso» alla «ragione» della finanza oligarchica privata mondiale con il sostegno e la complicità dei brandelli ancora sussistenti di finanza pubblica. Il pianeta Terra che per tante culture e società attraverso il mondo è considerato e rispettato come la «MadreTerra», non è più che una grande merce, un enorme mercato per le scorribande dei grandi mercanti predatori alla ricerca di nuove opportunità di «crescita».
Senza beni comuni, «no society».