A venti anni dal documento Cei, Chiesa italiana e Mezzogiorno. Sviluppo nella solidarietà, si è svolto a Napoli il convegno "Chiesa nel Sud, Chiese del Sud. Nel futuro da credenti responsabili", organizzato dalle Chiese del Sud (diocesi di Calabria, Sicilia, Campania, Puglia e Basilicata).
Un convegno per riflettere su quel documento, sulla sua ricaduta nella società e nella Chiesa, per fare un esame di coscienza e rispecchiarsi nelle contraddizioni e nelle problematiche del Sud; rilanciare un grido non solo di dolore, bensì anche di speranza e di fiducia. Un guardarsi in faccia: vescovi, preti, laici impegnati, intellettuali, responsabili di vari settori della vita religiosa e sociale. E ciò non è poco.
Va dato atto dell'importanza di questo convenire delle Chiese del Meridione per rispecchiarsi nella parola di Dio e nella parola del popolo. Non per nulla è stato scelto un brano biblico-icona del convegno che non chiude gli occhi alla realtà, ma neanche ne resta succube: «Svegliati, svegliati, rivestiti della tua magnificenza, Sion; indossa le vesti più splendide, Gerusalemme, città santa, perché mai più entrerà in te l'incirconciso e l'impuro. Scuotiti la polvere, alzati, Gerusalemme schiava! Si sciolgano dal collo i legami, schiava figlia di Sion!» (Is 52,1-2 ). Il convegno ha avuto un variegato ventaglio di tematiche e di suggestioni culturali presentate e sviluppate dal cardinale Sepe, o da intellettuali e competenti della realtà del Mezzogiorno.
Il prof. Giuseppe Savagnone, (autore di diversi volumi di saggistica religiosa, tra cui l'ultimo Il coraggio di educare, Elledici), che dal convegno di Palermo del 1995 si è sempre più distinto per la lucidità e vivacità intellettuale e per la sua aderenza alla vita concreta del cristiano comune, ha relazionato su "Chiesa e mezzogiorno: la sollecitudine e le responsabilità delle Chiese". A lui abbiamo posto alcune domande.
Ha ancora senso, secondo lei, parlare di questione meridionale?
«Secondo me, il problema dell'identità non è un passatempo accademico. Esso ha un riflesso immediatamente pratico quando ci si interroga sulla possibilità o meno di continuare a parlare, oggi, di una questione meridionale, come fa fin dall'inizio il documento della Cei, al numero 1. È ancora valido questo taglio, o dobbiamo considerare la stessa Chiesa italiana vittima anch'essa di quella grande metafora dell'Italia unita e auspicare da parte sua un superamento della "questione meridionale"? Secondo questa analisi, la questione meridionale porterebbe inscritto "il peccato d'origine" di una valutazione che altri hanno dato dall'esterno di un mondo che non conoscevano e di cui diffidavano, perché appariva irriducibile ai loro schemi centralistici.
«Dopo il 1860, osserva lo studioso S. Palese, "è prevalsa una visione negativa del Mezzogiorno, anche perché non mancò nelle sue regioni una certa resistenza ai processi unitari. La sua tipicità non fu compresa. La cultura dei ceti borghesi la considerò diversità, differenza, ritardo e allo stesso modo avvenne, più tardi, all'interno del cattolicesimo italiano, egemonizzato dalla tradizione settentrionale, dall'opera dei Congressi alla stessa Curia romana. Tanto la Roma italiana quanto la Roma papale furono prigioniere di prevenzioni e pregiudizi. E ancora una volta il Mezzogiorno fu conquistato dalla burocrazia del nuovo Stato e da moduli pastorali provenienti da lontano". E in polemica con questa logica che oggi si va verso una decostruzione della questione meridionale nell'intento di liberare il meridione dal meridionalismo».
In uno stato di cose - sociali, religiose, politiche - ricche di contraddizioni e di drammatiche problematiche, ci sono state delle denunce da parte della Chiesa? In che termini?
«Certamente e in termini anche vivaci, pesanti, forti, sia da parte di singoli vescovi, sia da parte di singoli sacerdoti, o di associazioni, parrocchie, stampa cattolica... A parte l'operato e le denunce del cardinale Pappalardo in anni molto difficili, per rimanere in questo ultimo ventennio, vorrei ricordare il documento dei vescovi pugliesi “Il Paese non crescerà se non insieme”, del 1993, in cui si chiama per nome la criminalità organizzata, il clientelismo, la violenza , il rapporto distorto con il potere politico. Nel 1996 i vescovi campani hanno stilato un documento sul problema della disoccupazione, denunciando come una "contraddizione di fronte all'esigenza di interventi efficaci e rapidi sul fronte della disoccupazione la mancata spesa degli stessi fondi della Cee".
«E ancora nel 2007 il cardinale Sepe ricordava "i tanti problemi presenti nella Campania: dalla piaga della disoccupazione e del lavoro nero, a quella della criminalità organizzata che condiziona l'attività imprenditoriale, dall'individualismo e dal familismo esasperato all'illegalità diffusa a vari livelli". Nel 2008 i vescovi della Basilicata hanno redatto un documento al termine del convegno del laicato della regione denunciando: "Si rafforza la propensione del sistema a proteggere chi è già privilegiato, ad alimentare l'intermediazione politica, tornata a essere il più sicuro canale di accesso lavorativo". E che dire dei numerosi documenti della Chiesa siciliana, a livello di vescovi, di singoli sacerdoti? Che dire del sacrificio di don Pino Puglisi, di don Peppino Diana? Si dirà: sono parole; ma sono parole pesanti come pietre, come macigni; sono parole che hanno la concretezza dei fatti».
Allora? Forse la speranza è messa alla prova e a una dura prova se si diffonde il senso di diffidenza, di sospettosità e di cercare qualsiasi mezzo pur di avere un lavoro.
«Non c'è dubbio che la speranza è messa a dura prova. Ai cristiani del Sud (e dei tanti sud del mondo in cui sono molte le contraddizioni) si prospettano varie difficoltà per essere nella società, un lievito di speranza, di fiducia che i mali endemici da cui essa è afflitta possano essere sconfitti grazie a un impegno congiunto degli uomini e delle donne che amano la verità e la giustizia. Ci si dimentica che la Chiesa non è già il regno di Dio compiuto, ma solo la primizia di un mondo nuovo che sta sotto il segno doloroso ma fecondo del non-ancora. L'identità cristiana non si definisce in rapporto a immutabili valori, scritti nelle stelle, ma alla storicità che caratterizza tutta la vicenda della salvezza. In questa dimensione storica trova il suo fondamento la tensione verso il futuro che dovrebbe caratterizzare l'esperienza quotidiana del credente. In questa logica il documento del 1989 sottolineava la necessità per tutta la Chiesa italiana e specificamente per le Chiese del Mezzogiorno, di saldare fede e storia, ed evidenziava che nel Sud è esigenza primaria una nuova carica di fiducia per un cammino di speranza».
Uno dei problemi che ritorna nei documenti delle Conferenze episcopali meridionali è quello dell'individualismo, come ostacolo per un giusto progresso sociale e religioso. Cosa ne pensa?
«Effettivamente l'uomo meridionale stenta ad avere nei confronti di chi non fa parte del suo clan familiare quell'atteggiamento di "amicizia" che per Aristotele è il connettivo delle comunità, dalle più ristrette a quella più ampia che è lo Stato. La diffidenza verso l'estraneo, atavico frutto di esperienze dolorose di invasioni e oppressioni, gli rende difficile quello stile comunitario e cooperativo che in altre zone d'Italia è stato alimentato dall'esperienza di partecipazione alla vita del Comune. Da qui una tendenza all'isolamento e alla frammentazione, tenace eredità, viceversa, della tradizione feudale che al Sud ha resistito molto più lungamente. In tal senso acquista, allora, molta importanza il Progetto Policoro, in provincia di Matera: un progetto di impegno pienamente laico, di occupazione, cooperativistico e di aggregazione culturale».
di Vincenzo Arpone
Vita Pastorale N. 4/2009