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Giovedì, 08 Aprile 2010 21:50

Cooperazione che impresa!

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di Gianni Ballarini
Nigrizia gennaio 2010

Dopo aver smantellato la Cooperazione allo sviluppo, il ministro rivela che il modello da esportare in Africa è quello di Finmeccanica, di Eni e delle piccole e medie imprese. «L'aiuto di tipo paternalistico ha fatto il suo tempo», dichiara. L'Italia, nel frattempo, continua a tradire gli impegni assunti a livello internazionale.

 

23 agosto 2009, giorno di apertura del meeting ciellino di Rimini. Così parlò Franco Frattini, ministro degli esteri: «L'Italia ha da offrire molto all'Africa. Mi limito a citare il nostro modello di piccole e medie imprese che potrebbero innescare lo sviluppo in molte realtà locali. Il continente africano, se alimentato da uno sviluppo sostenibile, è destinato a diventare un mercato rilevante per le nostre merci. (...) Stiamo rivolgendo il nostro interesse ai paesi (africani, ndr) che offrono le maggiori opportunità per le nostre imprese».

7 ottobre 2009, convegno romano dal titolo "Ensuring Peace and Security in Africa". Sempre Frattini: «L'Africa è un continente giovane, con un enorme potenziale di capitale umano, che, oltre a essere un fornitore di materie prime, è un mercato di 900 milioni di consumatori, con spazi promettenti per investimenti esteri e cooperazioni internazionali».

4 novembre 2009, workshop organizzato alla Farnesina, dal titolo "Africa dall'Africa. Innovazione tecnologica, cultura, impresa". Ancora il capo della diplomazia italiana: «L'Eni non si limita a sfruttare le risorse del sottosuolo o al largo delle coste africane, ma investe in Africa in primo luogo nel capitale umano, rispettando l'ambiente e fornendo servizi alla popolazione. Guardiamo all'esempio dell'Eni come a un orgoglio italiano da esportare».

30 novembre 2009, Fiera di Roma, 2.200 dirigenti del colosso armiero Finmeccanica riuniti nella convenzione annuale. Gli elogi di Frattini: «Finmeccanica è un campione nazionale che siamo orgogliosi di indicare al mondo come uno degli esempi di eccellenza della buona Italia. Finmeccanica sta partecipando con noi e altri soggetti alla costruzione di una nuova diplomazia, allo scopo di presentarci all'estero come un sistema funzionante e coeso».

20 novembre 2009, riunione a Roma del Comitato direzionale per la Cooperazione allo sviluppo. Tema: la razionalizzazione delle spese. L'intervento di Elisabetta Belloni, direttrice generale del dipartimento: «I fondi continuano a essere esigui, tanto che non è prevista alcuna iniziativa che verrà svolta attraverso la collaborazione con le organizzazioni non governative».

Poche dichiarazioni per rivelare come sia già in atto una rivoluzione copernicana: nell'aiuto allo sviluppo, l'impresa sostituisce l'ong. È la privatizzazione della politica estera. Frattini sbandiera da tempo il nuovo corso: «L'aiuto allo sviluppo internazionale di tipo paternalistico-tradizionale ha fatto il suo tempo. Serve un nuovo modo di fare sviluppo. Solo attraverso una sinergia tra sforzi pubblici e privati si potrà aumentare la capacità di sistema degli aiuti. Contribuire alla lotta alla povertà non significa imporre, ma indicare e proporre modelli virtuosi di sviluppo privato» (interventi del ministro sull'Osservatore romano dell'11 giugno e del 10 luglio). Insomma, bisogna rendere, a suo avviso, «le politiche di cooperazione compatibili con quelle in altri settori, in particolare commerciali». II nuovo approccio è stato battezzato da Frattini "the whole country", «perché in grado di attivare tutti gli attori e tutti gli strumenti essenziali per innescare i processi di sviluppo».

Ecco giustificati i suoi elogi a Eni, Finmeccanica e alle piccole imprese.

Ecco spiegato lo smantellamento della cooperazione allo sviluppo messo in atto da questo esecutivo. Nonostante gli impegni e le dichiarazioni solenni post-G8, la Finanziaria 2010 (in discussione quando andiamo in stampa) azzera, infatti, i fondi. Conferma il taglio drastico del 56% previsto nel 2009 e stanzia per quest'anno 326 milioni di euro. In termini reali il valore più basso dal 1996. Meno di quanto si è speso per organizzare il vertice dell'Aquila (oltre 400 milioni). Tra lo 0,16% e lo 0,18% del Pil, ovvero meno di un terzo dell'Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) promesso dall'Italia per il 2010 (0,51%). Calcolando, poi, che dei 326 milioni, 123 sono già impegnati per coprire iniziative già deliberate e 30 milioni servono per le spese di funzionamento, non restano neppure risorse sufficienti «ad avviare il versamento delle quote italiane in scadenza verso fondi multilaterali di sviluppo (circa 330 milioni di euro), nonostante questi organismi abbiano fornito prestiti significativi a molti paesi in via di sviluppo in crisi, contando nei fatti sul contributo italiano», come ci ricorda Iacopo Vicini, in un articolo pubblicato su La Voce. info, intitolato "Promesse in crescita, aiuti in calo". Per le ong raggruppate in Link 2007, o l'Italia riporta il Fondo destinato all'aiuto ad almeno 500 milioni di euro l'anno, oppure scomparirà dai paesi donatori.

Quello che viviamo è un cambio radicale nella politica della Farnesina, che di fatto spoglia il ministero degli affari esteri delle competenze d'indirizzo della politica di cooperazione allo sviluppo. Un cambio non apprezzato dagli istituti internazionali. Il direttore del Fondo monetario internazionale, Dominique Strass-Khan, ha sollecitato «i paesi industrializzati a resistere alla tentazione di tagliare le loro promesse d'aiuto. Se questo non accadrà, in molti paesi in via di sviluppo la democrazia sarà in pericolo». Ma la filosofia frattiniana del «taglio al paternalismo del passato», s'inserisce nella corrente di pensiero alimentata oggi dai seguaci dell'economista, di origini zambiane, Dambisa Moyo, che bollano come retorica insopportabile il circolo aiutosviluppo-cooperazione-democrazia. Per loro, «gli aiuti hanno contribuito a rendere i poveri ancora più poveri».

Eppure, qualche scricchiolio si sente anche all'interno dello stesso ministero. Dopo che la Camera, il 14 ottobre scorso, ha votato all'unanimità due mozioni (una della maggioranza e una dell'opposizione) in cui s'impegnava il governo a destinare nuovi fondi per la cooperazione allo sviluppo. il sottosegretario agli esteri. Enzo Scotti. ha dichiarato: «Penso che il voto unanime del parlamento porti il governo a dover considerare come una priorità il nostro impegno per la cooperazione». Auspicio inutile. L'altro sottosegretario, Alfredo Mantica, è stato ancora più esplicito in un'intervista alla Stampa del settembre scorso: «L'Italia si merita un voto basso in Africa. Le nostre casse sono a zero. Ognuno va per conto suo: si affida a fondi privati di cui dispone e poi decide da solo. Senza, però, aver partecipato a un progetto comune. E nemmeno essersi interessato di sapere cosa davvero serve in quel villaggio o in quel paese».

A ricordarci, infine, che spesso le parole di Frattini sono poi tradite dai fatti è anche un'ex ambasciatore. Massimo Bastrocci, 40 anni di esperienze al servizio dello stato di cui 13 in ambasciate africane, poco prima di andarsene in pensione, l'estate scorsa, ha scritto una lettera dai toni duri al capo della diplomazia italiana. Dopo avergli ricordato che l'Africa è un continente trascurato dall'Italia e dopo aver messo l'accento sui tagli che il governo sta operando nei confronti delle sedi a sud del Sahara, l'ambasciatore ha puntato il dito contro Frattini, accusato «di avere più a cuore le apparenze che la sostanza». A suo avviso, siamo di fronte alla miopia del potere.

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