E' online il nuovo “Rapporto 2010” promosso  dall'Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, da cui emerge  un forte incremento nelle vendite.
Infatti,  l’Italia ha esportato armi comuni da sparo, munizioni ed esplosivi per  oltre 460 milioni di euro nel 2007 e per oltre 465 milioni di euro nel  2008, con un incremento del 12% rispetto al biennio precedente, toccando  così i valori più alti dal 1996.
Considerando l’ammontare  complessivo dei trasferimenti di armi, comprese le armi ad uso militare  sottoposte alla disciplina della legge 185 del 1990, le categorie di  armi oggetto della presente ricerca rappresentano il 31% del totale  delle armi esportate dall’Italia nel biennio considerato.
La  ricerca dell’Archivio Disarmo, diretta dal dott. Emilio Emmolo, è stata  condotta su fonte ISTAT, che periodicamente mette a disposizione i dati  relativi alle esportazioni ad armi comuni da sparo, munizioni ed  esplosivi, senza peraltro dettagliare le ditte fornitrici, il prodotto,  gli acquirenti (evidenziando ancora una scarsa trasparenza sui  trasferimenti, al punto da non poter distinguere la vendita di doppiette  da quella di fucili da caccia grossa).
In particolare, il 67%  del totale delle esportazioni del biennio è costituito da pistole e  fucili, a fronte di un 29% di munizioni e di un 4% di esplosivi.
Nel  biennio 2007-2008 tali esportazioni sono state dirette per la maggior  parte verso gli Stati Uniti (30%) e i Paesi membri dell’Unione Europea  (45%), ma anche verso una serie di Paesi nei quali si riscontrano la  presenza di conflitti e di gravi violazioni dei diritti umani.
Emerge,  infatti, l’esportazione verso Paesi sottoposti a embarghi  internazionali sulle forniture di armi (Cina, Libano, Repubblica  Democratica del Congo, Iran, Uzbekistan, Armenia e Azerbaijan), e verso  Paesi in cui sono in atto conflitti e in cui si riscontrano gravi  violazioni dei diritti umani riconosciute non solo da Organizzazioni non  Governative (quelle prese in considerazioni dalla ricerca dell’Archivio  Disarmo, tra le più autorevoli: “Amnesty International”, “Escola de  Cultura de Pau” e “Human Rights Watch”), ma anche dalle stesse Nazioni  Unite e dall’Unione Europea (la Federazione Russa, la Thailandia, le  Filippine, il Pakistan, l’India, l’Afghanistan, la Colombia, Israele, il  Congo e Kenia).
La ricerca, oltre sulla definizione di armi  piccole e leggere, si sofferma anche sulle normative vigenti in Italia e  sul quadro giuridico internazionale, nonché sull’Arms Trade Treaty in  discussione in ambito ONU, il trattato internazionale sul commercio che  dovrebbe approdare nel 2012 ad accordo mondiale.
In particolare,  ancora una volta emergono le contraddizioni derivanti dal fatto che le  procedure e i divieti previsti per le armi comuni da sparo (previste  dalla legge 110/75) sono diverse dal quelle previste dalla legge 185/90  che si occupa dei trasferimenti di armi ad uso militare, una tra le  discipline più avanzate a livello internazionale.
Emergono  dall’analisi da un lato l’incremento progressivo delle esportazioni  italiane di armi “leggere ad uso civile”, dall’altro un quadro normativo  tutt’altro che univoco e che lascia delle zone d’ombra molto importanti  (nonostante che la Relazione della Presidenza del Consiglio sull’export  di materiale di armamento militare abbia più volte ribadito di seguire  anche in questo ambito criteri analoghi a quelli applicati per la  185/90).
E’ opportuno ricordare che, come ha più volte messo in  luce l’ONU, spesso attraverso vendite legali si passa poi a successive  forniture a soggetti che di questi strumenti fanno un uso non  consentito, finendo per armare anche la delinquenza organizzata,  formazioni terroristiche, bande paramilitari ecc.
Come avviene  già a livello europeo, ancora una volta appare necessario considerare  giuridicamente le armi comuni da sparo alla stregua delle armi leggere  ad uso militare alla luce dell’ormai accertata pericolosità della loro  presenza soprattutto nei numerosi scenari di conflitto che costellano i  cinque continenti; conflitti in cui le armi, dalle più piccole alle  più sofisticate, contribuiscono alla radicalizzazione della violenza e  delle difficili condizioni post-conflittuali con impatti devastanti  sulle popolazioni.
