Mondo Oggi

Giovedì, 08 Luglio 2010 21:45

Cultura la virtú locale

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di Goffredo Fofi
da Fondazione Roberto Franceschi onlus

Cultura, il difficile rapporto fra centro e periferia

Girando molto l’Italia non da turisti e tanto meno da turisti culturali, si constatano immediatamente due cose: la vitalità e la diversità e l’autonomia, molto maggiore di quel che si pensasse fino a pochi anni fa, delle nostre province, una vitalità nel bene e nel male, che riguarda anche la produzione culturale, nel bene e nel male; e di converso la povertà di proposte dei cosiddetti centri, per esempio della produzione culturale milanese e romana (la decadenza di queste che furono in molti momenti storici le città-faro in fatto di intelligenza dello stato delle cose e di novità della ricerca la si riscontra anche in altri centri che furono importanti fino a pochi anni fa, Torino, Firenze, Napoli, Palermo). I romanzi, i saggi, i film, i gruppi teatrali, perfino le case editrici più interessanti, nel senso che si occupano più seriamente del nostro presente e sanno raccontar meglio le sue contraddizioni – da dove veniamo, chi siamo e dove stiamo andando – e sono curiose del globo in modi non modaioli e para-turistici non sono appannaggio delle “capitali”, al contrario. Anche se esiste, se comincia a esistere, una marginalità romana, e non ancora una milanese, di tipo nuovo, che ha poco a che fare con il centro.


E d’altronde, se Milano ha deciso di farsi Nord-Europa, perdendo di identità e diventando, diciamo, una specie di succursale della Baviera con l’aggiunta di forme di corruzione tutte italiane, Roma ha deciso per la sua sopravvivenza e fortuna di restare importante non solo sul piano – assodato – del turismo, anche su quello della mediazione politica (che non è troppo sbagliato definire intrallazzo), che continua ad aver bisogno di un luogo d’incontro in cui tutti i poteri periferici del paese possano litigare e mettersi d’accordo sulle questioni economiche (i danè, i baiocchi), ma insieme di seguire il corso degli eventi. Diventando un esempio di caos mediterraneo che fa perno su televisione e chiesa molto più che sui ministeri e cioè sulla gestione di servizi d’interesse nazionale, da tempo in via di privatizzazione e decentramento.
Quando si parla della vitalità della provincia, si indicano due problemi: quello di un progressivo scollamento dal centro, che è anche il segno, avviato molto malamente dalla Lega, di una nuova regionalizzazione del paese, che procede sulla definizione di nuove aree o territori economici, quali più quali meno in crisi, di chi è costretto dall’insipienza del centro e della sua crisi a tener duro sulle proprie differenze. Sul piano culturale, la ricchezza drogata degli anni scorsi (il trentennio Craxi-Berlusconiano che volge al termine e che potrebbe lasciarci letteralmente nella merda, il trentennio che ha visto la morte per suicidio della sinistra e della sua cultura nell’inseguimento dei modelli e dei linguaggi vincenti della destra) ha permesso la nascita, e a volte una veloce morte ma con rapidissimo ricambio, di un sacco di iniziative culturali importanti, non solo quelle spettacolari e finto-culturali festivaliere, le “sagre dello gnocco” di felliniana memoria, ma seriamente radicate nei luoghi e nelle diversità. Volta a volta si sono fatte più avanti la Barbagia o il Friuli, le Marche o la Puglia, Rimini o Caserta ecc. Nonostante le figure degli assessori alla cultura, diventate più importanti nella società dello spettacolo che le figure stesse dei sindaci…


Il “centro” ha cercato di neutralizzare o assorbire il nuovo che esplodeva o che riteneva funzionale alle sue logiche, e in ogni caso di castrare, e bisogna pur dire, amaramente, che per la maggior parte delle volte è riuscito nell’intento. Entrare nel calderone della chiacchiera sponsorizzata da Repubblica e Corriere e dalle feste-mercato era ed è ancora considerato in Italia il segno del successo. Ma è anche stato spessissimo – e bisognerà farla, prima o poi, la storia della cultura del trentennio! – il segno del recupero e dell’evirazione.
Anche sul piano dei due giornali citati, peraltro, si assiste a un loro svuotamento da parte dei loro stessi organi locali, i supplementi cittadini che esercitano, oggi come oggi, un nefasto potere zonale, legati come sono ai clan e sette della classe dirigente del posto. Essi sono costretti, per definizione commerciale e per legami con un potere variegato, che non è quello centrale, a dare al loro territorio un rilievo che sbilancia gli equilibri stabiliti e ridimensiona di fatto il potere di quelli che si credono il centro, i centri. Anche se ancora, forse per poco, le consacrazioni di un fenomeno o di un artista avvengono quando di essi si accorgono le pagine dei due giornali maggiori (gli altri seguono a ruota, nessuno cerca di distinguersi davvero, perlomeno in fatto di cultura).
Bisognerebbe, insomma, che un giornale come l’Unità, per esempio, si occupasse di più delle culture locali dando loro più peso che a quelle dei presunti, declinanti centri.

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