Mondo Oggi

Venerdì, 14 Gennaio 2011 19:29

Per una nuova concezione di cittadinanza

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di Franco Valenti
Missione Oggi

Non è difficile riconoscere il dato di fatto che gli attuali codici della cittadinanza, in tutta Europa, siamo in grande crisi: le categorie costitutive della percezione di cittadinanza del passato non rendono la giusta ragione ai cambiamenti sopravvenuti negli ultimi quarant'anni sia in ambito culturale che sociale.

Il patriottismo, ormai relegato ai campi di calcio o alle sfilate militari, non coagula più le coscienze e le volontà dei cittadini. Semmai si sta sempre di più restringendo l'orizzonte delle appartenenze, che, dovendo confrontarsi sempre più con le dimensioni della globalità, non è in grado di rielaborare un nuovo vocabolario culturale e sociale, adatto a descrivere e a promuovere aggregazioni umane sempre più variegate e differenti, proprie del nostro tempo. Il grande bisogno di riconoscersi in quanto appartenenti ad una stessa storia e a uno stesso territorio mette in second'ordine la necessità di procurarsi degli strumenti adatti alla lettura degli eventi contemporanei.

La comunità è vissuta come una culla originaria, mitologica, in cui tutte le contraddizioni e le tensioni sociali si affievoliscono e si trasformano in una rinascita ideale. Il confine labile tra l'idealità delle appartenenze e l'ideologia identitaria si confondono continuamente suscitando più apprensione che riappacificazione, alimentando astio, insoddisfazione e repulsione per tutto ciò che avviene a dieci centimetri dal proprio corpo. Ciò che è al di fuori del nostro senso del tatto può essere ostile e generatore di diffidenza. Quindi, al di là del continuo utilizzo del vocabolo "cittadinanza", che talvolta viene pomposamente accompagnato dall'aggettivo "attiva", le relazioni cittadine vengono continuamente a mancare, e a tale lacuna si tenta di sopperire con maggiore controllo sociale, maggiore militarizzazione del territorio e delle stesse relazioni sociali: spesso, perché i "cittadini" non sono più in grado di parlarsi rispettosamente, sono i vigili urbani o i poliziotti ad assolvere alla funzione di relais sociali.

LA NECESSITÀ DI UNA RICONCILIAZIONE SOCIALE

Una modalità più appropriata per aprire uno spiraglio di continua "riconciliazione" sociale è quella di mantenere una visione democratica sostanzialmente flessibile, in modo da avere delle istituzioni aperte attraverso le quali i cittadini possano definire quale vita politica vanno cercando e scoprire fino a che punto possono effettivamente realizzarla (cfr. James G. March - Johan P. Olsen, Governare la democrazia, il Mulino, Bologna 1997).

In contrapposizione alla volontà di semplificazione o di eccessiva sintetizzazione delle istanze sociali vale ancora l'affermazione di Lewis Coser: "La comunità non esiste finché al suo interno non sono riconosciute le differenze" (in The Functions of social Conflict, Free Press, New York, 1976).

L'impegno civico profuso da molti cittadini e gruppi di solidarietà, scevro da connotati di miserabilismo o di moralismo buonista, sono espressione di un coraggioso riferimento al futuro in cui la cittadinanza degli individui sarà necessariamente dissociata dalla nazionalità e si fonderà sempre di più sulla prossimità, sul qui e adesso, sulla concreta rappresentatività partecipata. La spinta localista presente non solo nelle tribù dell’Africa, ma anche nelle società occidentali avanzate e opulente, che non ritengono più di dover assolvere ad un patto sociale di solidarietà nazionale, denota il disagio della mancanza di coerenza tra partecipazione e rappresentanza. La visibilità della propria azione e volontà, riscontrabile in interventi concreti,diviene determinante per dare credibilità e legittimità alla "politica". Oggi l'uso rimarcato del "noi" assume una dimensione autoprotettiva nei confronti di un "altro", percepito come destabilizzante.

Spesso il desiderio di comunità si esprime in termini difensivi nei confronti di chi mette continuamente a repentaglio un equilibrio già instabile. E con sempre più audacia i discorsi populisti vengono indirizzati ai più deboli, a coloro che sono diventati abituali utenti dei mercati globali del lavoro. E' altrettanto chiaro che in questo disagio peschino i braccianti della demagogia, con tutte le loro rivendicazioni di privilegi e di benessere individualista e corporativista, esaltando l'aspetto etnicizzante della propria identità di appartenenza. Tale operazione, antropologicamente infondata, oltre che storicamente falsa, rischia di far scattare dei meccanismi di lotta e di disgregazione già visti nelle democrazie oligarchiche dell'Antica Grecia. Inoltre, la buona disponibilità verso "l'altro" spesso va ad arenarsi sulle secche dei piccoli interessi di parte. E' facile essere disponibili ed accoglienti fino a quando colui che ha bisogno bussa alla porta del vicino, ma quando viene il proprio turno, sono mille le motivazioni, e tutte inesorabilmente fondate, per giustificare il rifiuto del riconoscimento dell'effettivo bisogno, nonché della dignità umana e civile dell'altro.

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