NO AL DILAGANTE RAZZISMO IN ITALIA
di AIex ZanotelliNigrizia luglio-agosto 2008
È agghiacciante quello che sto avvenendo sotto i nostri occhi in questo nostro paese. I campi rom di Ponticelli (Napoli) in fiamme, il nuovo pacchetto di sicurezza del ministro Maroni, il montante razzismo e la pervasiva xenofobia, la caccia al diverso, la fobia della sicurezza, la nascita delle ronde notturne.., offrono un’agghiacciante fotografia dell’Italia 2008.
“Mi vergogno di essere italiano e cristiano”, fu Ia mia reazione da poco rientrato in Italia da Korogocho (Kenya), all’approvazione della legge Bossi-Fini (2002), Questi sei anni hanno visto un notevole peggioramento del razzismo e della xenofobia nello società italiana, cavalcati dalla Lega la vera vincitrice delle elezioni 2008 e incarnati oggi nel governo Berlusconi. Posso dire questo, perché sono stato altrettanto duro con Il governo Prodi e con i sindaci di sinistra, da Cofferati o Dominici. Oggi doppiamente mi vergogno di essere italiano e cristiano.
SUDAFRICA SEMPRE PIÙ POTENZA CONTINENTALE
L’AFRICA PRETORIANA
di Marco Leofrigio
da Nigrizia luglio-agosto 2008
Il Sudafrica, secondo il presidente Thabo Mbeki, è il motore ideologico per far uscire il continente africano dalla marginalità in cui si trova.
La dirigenza storica dell’African National Congress (Anc) considera il proprio paese un unicum, rispetto agli altri stati africani, a motivo della sua peculiare storia e della lotta di liberazione, che ha condotto alla fine de dominio dell’etnia bianca sudafricana. Dopo le prime elezioni libere del 1994, la geopolitica di Pretoria si può dividere in due fasi. La prima, con la prudente gestione di Nelson Mandela, ha consentito l’inserimento del paese nella comunità statuale africana: un passo inevitabile per una nazione reduce dall’isolamento internazionale dovuto al sistema di sanzioni applicato al precedente regime. La nomina, nel 1996, di Mandela alla presidenza della Sadc (Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe) e il contributo dato nella gestione della crisi dell’allora ex-Zaire sono stati tra i passaggi più importanti per far accettare il nuovo Sudafrica.
Secondo l’opinione di molti politici italiani si tratta di un termine improprio, possibilmente da evitare sia nel linguaggio comune che nell’informazione. Il detto, infatti, vuole che gli italiani siano brava gente. Il razzismo – sempre secondo questi politici – non è proprio della cultura e della tradizione italiana. Si può parlare, di fronte ad alcuni episodi, di maleducazione, di mancanza di valori, di bravate giovanili – ma assolutamente non si può tirare in ballo il razzismo.
Il razzismo, infatti, è un fenomeno che riguarda il sud degli Stati Uniti – ma ora che è stato eletto come presidente Barak Obama si può dire che anche per quel paese sia stato superato. Al pari del Sud Africa – anche lì l’apartheid è stato abolito da anni ormai. Il razzismo è qualcosa da leggere sui libri o sui giornali. Qualcosa che capita sempre lontano da casa nostra – che riguarda altre culture, altri popoli. Noi siamo un popolo di navigatori, di inventori, di santi… Dunque, sempre secondo queste luminose intelligenze, non è esatto parlare oggi di razzismo – non fosse altro che siamo ormai entrati nell’epoca della globalizzazione.
Italiani brava gente. Espressione tutta autoreferenziale. Siamo noi a dirci tali. Noi non ci riteniamo come gli altri. Come gli inglesi ed i francesi con il colonialismo. O come i tedeschi con i campi di sterminio. Noi ci siamo comportati bene. Sia con le colonie – vi abbiamo costruito strade e ponti. Sia durante la seconda guerra mondiale – pur essendo dalla parte dei tedeschi e dei giapponesi non abbiamo compiuto le nefandezze di cui si sono macchiati i nostri alleati. È quello che abbiamo studiato sui banchi di scuola, nei nostri libri di storia.
L’Italia è l’unico paese europeo che non ha ancora fatto i conti con la propria storia coloniale L’argomento resta tuttora tabù. Sbrigativamente si afferma che siamo stati bravi. E poi ci vantiamo di aver restituito la stele di Axum agli etiopici. Ed il nostro presidente del Consiglio recentemente ha siglato con la Libia un trattato nel quale l’Italia s’impegna in vent’anni a pagare un risarcimento per il periodo coloniale di 5 miliardi di euro. Cose che non tutti sono stati capaci di fare con le loro ex-colonie…
Sono pochi quelli che finora hanno cercato di raccontare un’altra storia. Ci ha provato don Lorenzo Milani (in maniera molto veloce e succinta) in quel suo testo (che aveva scritto a sua difesa quando già era minato dal male e nell’impossibilità a presentarsi in tribunale in quanto sotto processo per essersi espresso a favore degli obiettori di coscienza) che è conosciuto con il titolo di Lettera ai giudici. Scriveva don Milani nel 1965: «Ci presentavano l'Impero come una gloria della Patria! Avevo 13 anni. Mi par oggi. Saltavo di gioia per l'Impero. I nostri maestri s'erano dimenticati di dirci che gli etiopici erano migliori di noi. Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci avevano fatto nulla. (…) [L’ordine] che ricevette Badoglio e trasmise ai suoi soldati di mirare anche agli ospedali (telegramma di Mussolini 28-3-1936). (…) Che gli italiani in Etiopia abbiano usato gas è un fatto su cui è inutile chiuder gli occhi. Il Protocollo di Ginevra del 17-5-1925 ratificato dall'Italia il 3-4-1928 fu violato dall'Italia per prima il 23-12-1935 sul Tacazz. L'Enciclopedia Britannica lo dà per pacifico. Lo denunciano oramai anche i giornali cattolici (…). Abbiamo letto i telegrammi di Mussolini a Graziani: "autorizzo impiego gas" (telegramma numero 12409 del 27-10-1935), di Mussolini a Badoglio: "rinnovo autorizzazione impiego gas qualunque specie e su qualunque scala" (29-3-1936). (…) Quegli ufficiali e quei soldati obbedienti che buttavano barili d'iprite sono criminali di guerra e non son ancora stati processati».
Recentemente si è occupato della faccenda Angelo Del Boca nel suo Italiani, brava gente? (Editore Neri Pozza 2005). Le pagine più interessanti sono quelle dedicate alla strage che seguì il tentativo di uccidere Graziani in Etiopia nel febbraio del 1937. Il quadro che ne emerge – documentato – è che non fummo migliori, ma che siamo riusciti a tenere nascoste, almeno ai nostri stessi occhi, tutte le porcherie di cui siamo stati capaci.
Ne aveva parlato anche Paolo Borruso nel suo libro L'ultimo impero cristiano. Politica e religione nell'Etiopia contemporanea (1916-1974) (Guerini e Associati, Milano 2002), che documenta la «barbarie della colonizzazione fascista in Etiopia» provocata dal generale Graziani, quando furono fucilati l'abuna Petròs, tre vescovi, abati di monasteri e barbaramente uccisi 297 monaci e oltre 150 diaconi della Chiesa ortodossa etiopica.
Pochi finora ne hanno scritto o parlato. Il quadro che emerge è impressionante. Il periodo coloniale italiano – pur se relativamente breve – è stato accompagnato da frequenti bagni di sangue. Eppure restano nell’immaginario collettivo pochi elementi. La canzone Faccetta nera, gli africani rappresentati attraverso lo stereotipo del selvaggio Bingo Bongo o i fumetti de Il Corriere dei piccoli, con la figura del bambino africano Bilbolbul (le vicende di Bilbolbul erano narrate e illustrate in linea con la cultura coloniale da diffondere: un’Africa deformata, primitiva, immaginaria e guardata in maniera molto paternalistica. Il personaggio viene creato nel 1908, tre anni appena prima della guerra in Libia).
Insomma, se appena si comincia a rileggere la recente storia dello stato unitario italiano ci possiamo rendere conto che i fenomeni di razzismo si sono manifestati in continuazione e che sarebbe ora di smetterla di ripeterci che siamo brava gente.
Eppure, nella nostra sicurezza di restare indenni al razzismo, assistiamo ad una serie di episodi che vengono diversamente qualificati - (stiamo sempre riferendoci ad alcuni dei nostri uomini politici).
La notte del 19-10-2008 a Desenzano, in provincia di Brescia, viene annegato un immigrato marocchino di quarant’anni. Le indagini successive da parte delle forze dell’ordine porteranno all’arresto di tre giovani: un ragazzo di 21 anni e due minorenni (all’epoca del fatto). L’immigrato venne spinto nelle acque del lago e tenuto sott’acqua finché non morì. Non si è trattato di un fenomeno di razzismo, ma semplicemente di una bravata da parte di ragazzi.
La notte del 31-01-2009 a Nettuno (provincia di Roma) un immigrato di origine indiana di trentacinque anni viene pestato a sangue e bruciato. Anche in questo caso sono protagonisti alcuni giovani (uno minorenne). Ci si affretta a ripetere che non si tratta di razzismo. Si deve invece parlare di mancanza di valori, di perdita di valori da parte di una generazione annoiata.
Sempre la mattina del 31-01-2009 a Civitavecchia (provincia di Roma) un agente di polizia (responsabile dell’Ufficio immigrazione) spara con un fucile a pompa ad un suo vicino di casa senegalese di 42 anni. Il poliziotto «non voleva vederli in giardino». L’episodio è stato liquidato come una semplice lite tra vicini di casa. Anche qui il razzismo non c’entra niente.
A Milano la mattina del 14-03-2008 un negoziante uccide a sprangate Abdoul William, un ragazzo (cittadino italiano) di origine burkinambe, reo di aver sottratto solo un pacchetto di biscotti. Anche in questo caso non si è trattato di un episodio di razzismo. Evidentemente era la prima volta che qualcuno rubava in quel negozio poiché c’è da immaginare che il proprietario, non essendo razzista, avrebbe preso a sprangate anche un cittadino italiano dalla pelle chiara qualora lo avesse colto sul fatto.
Nel giugno 2008 una coppia di veronesi uccide e brucia un operaio rumeno per incassare 900 mila euro di assicurazione sulla vita. La vittima si chiamava Adrian Komsin, di appena 28 anni e di mestiere faceva l'autostrasportatore presso una ditta della zona. Sicuramente la giovane coppia veronese era convinta che della vita di un giovane straniero (rumeno) nessuno si sarebbe mai interessato.
Potremmo ricordare tanti altri fatti. Lo scrittore francese di origine marocchina Tahar Ben Jelloun lo fa puntigliosamente, rispetto ad una serie di episodi successi in Francia negli anni ’80, nel suo libro Ospitalità francese.
Potremmo ricordare l’operaio rumeno arso vivo dal suo datore di lavoro. La vittima, quarant'anni, ingegnere, lavorava in nero in un cantiere edile. È successo a Gallarate, il 14-03-2000. Si chiamava Ion e con cinque suoi compatrioti aveva chiesto di essere almeno pagato a giornata e non per ogni metro di pavimento posato. La risposta è stata violentissima. L'ingegnere romeno stava ancora bruciando in un angolo del cucinino quando C.I. alzava il dito contro i cinque testimoni: «Chi parla, lo faccio buttare fuori dall' Italia. Chi sta zitto, becca qualche soldo». (Dal Corriere della Sera del 24-03-2000)
Oppure potremmo ricordare il marocchino di 37 anni ucciso da un vigilante in borghese a Milano, il 28-02-2006. Un colpo esploso accidentalmente durante una colluttazione. Un incidente.
Ed ancora la mattanza del 19-09-2008, compiuta dal clan dei casalesi, nel napoletano. Sei nigeriani uccisi per avvertimento – perché i loro connazionali se ne stiano lontani dal traffico dei stupefacenti. Per ricordare un po’ a tutti chi comanda nella zona.
Tahar Ben Jelloun in Il razzismo spiegato a mia figlia definisce in questo modo il razzismo: «Tra le cose che ci sono al mondo, il razzismo è la meglio distribuita. È un comportamento piuttosto diffuso, comune a tutte le società tanto da diventare, ahimè, banale. Esso consiste nel manifestare diffidenza e poi disprezzo per le persone che hanno caratteristiche fisiche e culturali diverse dalle nostre».
Diffidenza e disprezzo. Se questi sono gli elementi che fanno da base al razzismo dovremmo chiederci se la società italiana in questo momento non stia attraversando un pericoloso clima di diffidenza e di disprezzo. Se nel linguaggio e nel comportamento di tanti uomini politici italiani (gli stessi che si affrettano a proclamarsi indenni dal razzismo) non ci sia la virulenza del disprezzo e della diffidenza.
Anche i nazisti, quando presero il potere in Germania nel 1933, ritenevano di non essere razzisti. Essi volevano purificare la propria nazione dal lordume massonico-comunista-ebraico. Anzi, volevano preservare la propria razza dalla contaminazione. Avevano la soluzione al problema. Anzi, la soluzione finale.
Historia magistra vitae (La storia è maestra di vita). Ma sembra che non si abbia più memoria. Sembra che non si abbia nulla da imparare, anche dalla storia recente dell’Italia – quando gli emigranti partivano dai nostri paesi verso l’Argentina, gli Stati Uniti, il Canada, la Svizzera, il Belgio, l’Australia, il Sud Africa… - quando il razzismo si indirizzava contro i meridionali (banditi, briganti, lavativi, perenni assistiti…).
C’è da avere paura. Non degli stranieri e della diversità che portano con le loro storie di immigrazione.
Ma di noi stessi. Del lato oscuro che alberga in noi – dell’ombra, secondo la terminologia junghiana – che sta emergendo – prepotentemente, irrazionalmente – avvelenandoci tutti gli spazi della convivenza civile.
Grazie Silvio
di François Vidal
da Les Echos
Come si dice “enfin” in italiano? Dopo più di due anni di un feuilleton caratterizzato da sviluppi inattesi, e da progetti velleitari poi falliti, di interventi politici intempestivi e colpi di scena dell’ultimo minuto, Air France-KLM è riuscita finalmente ad entrare nel capitale di Alitalia. La tenacia del suo presidente,Jean Cyrill Spinetta, ha ottenuto lo scopo. Anche se non si tratta di un matrimonio secondo le regole, la data di tale accordo dovrà essere segnata con una pietra bianca.
Ecco in che cosa consiste l’essenziale: con questa partecipazione del 25%, la compagnia franco-olandese pone al sicuro le sue posizioni in quello che è il quinto mercato aereo europeo, e inoltre uno dei più redditizi. Essa assicura un accesso prioritario ad un vasto bacino di più di 24 milioni di passeggeri di cui, quasi 11 milioni viaggiatori internazionali. Con Roma, ottiene poi un nuovo punto di approdo sul continente, complementare alle sue piatteforme (“hubs”) di Amsterdam e di Parigi. Si trova perciò avanti di una lunghezza nei confronti dei suoi rivali, nel processo in corso, per il consolidamento dello spazio aereo europeo. Con questo accordo Air France–KLM taglia l’erba sotto i piedi di Lufthansa, che avrebbe voluto costituire per sé la dorsale Berlino-Vienna-Milano. Nella corsa alla supremazia il gruppo accorpa anche British Airways, che fa fatica a concludere la sua alleanza con la compagnia spagnola Iberia. Tanto più che, a partire dal 2013 il gruppo franco-olandese potrà accrescere la sua partecipazione in Alitalia e costituire così un vero insieme paneuropeo integrato. Non male, per un’operazione il cui prezzo, limitato a 300 milioni di euro può essere considerato del tutto ragionevole. Col senno di poi, ci si può inoltre chiedere se Silvio Berlusconi non abbia reso un servizio insigne a Air France–KLM nell’aprile 2008 quando ha mandato a monte, in nome dell’”italianità” il progetto di riscatto di Alitalia per1,5 miliardi di euro.
Dopo tutto, la compagnia con la quale si è unita il gruppo franco-olandese ha fin d’ora operato una buona parte della sua ristrutturazione. Non è più il vettore malato che perdeva 1 milione di euro al giorno, ma un gruppo che si è liberato della zavorra dei suoi debiti e si è rinforzato dopo la sua fusione con il suo rivale transalpino Air One.
Rimangono da gestirei rapporti con i sindacati e i particolarismi regionali della Botte. Ma trasformando questa sua creazione in un vero e proprio successo, il gruppo franco–olandese ha dato la prova di saper dominare anche questo genere di imponderabilità.
IL BONAPARTISMO DI BERLUSCONI, IL BERLUSCONISMO DI SARKOZY
di Christophe Ventura
Carta Settembre 2008
Christophe Ventura è un vecchio amico di Carta che ha lavorato a lungo in Attac France ed è oggi impegnato, con Bernard Cassen e lgnacio Ramonet, nella rivista Mémoire des luttes. Questo suo articolo è stato pubblicato in Francia nel sito del settimanale Marianne (www.marianne2.frl) e comparirà nelle edizioni in lingua spagnola di le Monde diplomatique. Ci è parso un utile sguado sull’Italia da un paese, la Francia, dove ci si chiede in modo sempre più allarmato in cosa Sarkozy assomigli a Berlusconi.
Come in Francia, la standardizzazione neolibèrista dello spazio politico - ormai dominato da due grandi blocchi e con la sinistra politica scomparsa dalla scena istituzionale - si traduce nell’avvento ideologico ed elettorale di una destra di nuovo genere, fenomeno che si può misurare dai decreti sulla sicurezza.
Una miscela di bonapartismo economico e sociale che attinge ai registri della personalizzazione nell’esercizio del potere, dell’autoritarismo, così come del nazionalismo liberaI-economico integrato nel quadro di funzionamento dell’unione europea e del capitalismo mondializzato
Un regime inedito, che prende in prestito dal neoliberismo le logiche di sottomissione della società agli imperativi del mercato, e dal patriottismo conservatore un discorso di tipo nazionalista che dovrebbe rassicurare le classi medie: qui si vedono le convergenze con il sarkozysmo francese
Alcuni media francesi si interrogano sul senso della decisione del governo di Silvio Berlusconi di dispiegare tremila soldati in diverse città del paese. Nuova facezia comunicativa? Giro di vite sulla sicurezza? Secondo il ministro degli interni italiano, Roberto Maroni, questa decisione mira a «dare ai cittadini un senso di sicurezza». In realtà, si iscrive in un progetto politico molto più ampio e inquietante. Secondo il settimanale Carta, il governo Berlusconi, alleato alle forze post-fasciste, è profondamente diverso rispetto a quello che il cavaliere guidava nel 2001, e sarebbe sul punto di condurre una «guerra-lampo» contro la società italiana. Per Pierluigi Sullo, questo governo «non impersona la faccia feroce di un neoliberismo ridanciano, come voleva presentarsi nel 2001. È peggio di così, molto peggio. Non abbiamo ancora iniziato a capire la sua vera natura».
Una vita democratica ridotta
L’analisi merita un approfondimento. La situazione italiana è caratterizzata da una doppia evoluzione politica ricca di insegnamenti per il resto dell’Europa, in particolare per la Francia. Innanzitutto, il sistema politico ha appena subito una mutazione profonda; la scomparsa dalla scena istituzionale della sinistra «di sinistra» di partito e, più oltre, il declino delle forme storiche di organizzazione del movimento operaio del diciannovesimo e ventesimo secolo, e quindi delle vecchie forme di. rapporti sociali.
Allo stesso tempo, si sta consolidando in modo durevole un bipartitismo fondato su un consenso ideologico liberista, che riduce la vita democratica in modo quantitativo - diminuzione del numero degli attori nello spazio politico a favore della costituzione di blocchi che assorbono i partiti minori - e qualitativa: restringimento delle opzioni politiche e ideologiche offerte ai cittadini.
Come in Francia, questa standardizzazione neoliberista si traduce nell’avvento ideologico ed elettorale di una destra molto particolare quanto alle sue forme di espressione e al suo programma politico, economico e sociale. Identificare il pacchetto di misure prese quest’estate con i «decreti di emergenza» permette di misurare la dimensione del fenomeno, essendo il ruolo del parlamento limitato alla ratifica delle decisioni dell’esecutivo.
Sul piano finanziario e fiscale, il ministro dell’economia Giulio Tremonti ha elaborato un piano triennale 2009-2011 che punta al ridimensionamento delle spese pubbliche, prevede una diminuzione a tutto spiano dei bilanci dello stato per la salute, le pensioni, l’ambiente (più il rilancio della scelta nucleare), l’educazione, ecc., a favore dell’aumento della partecipazione del settore privato. Prima dell’ipotetico arrivo di qualcuno in grado di rilevare Alitalia (questo articolo è scritto prima della costituzione della cordata italiana, ndt) il salvataggio della compagnia di bandiera è stato garantito grazie a tagli netti ai fondi della sicurezza stradale, della cultura, dei piani di riforestazione, ecc. Il piano Tremonti dà inoltre nuovi privilegi fiscali alle categorie sociali più agiate: abbattimenti diversi di tasse, facilitazione dell’evasione fiscale per le imprese...
Decreti in ogni campo
Sul piano sociale, il decreto 112 è un’ode alla «flessibilità» definita e promossa dall’Unione europea: smantellamento del contratto a tempo indeterminato, aumento dell’orario di lavoro, rafforzamento del diritto delle imprese a licenziare senza indennità, complicazione e limitazione delle possibilità di ricorso alla giustizia da parte dei dipendenti, ecc.
In materia di sicurezza, quattro decreti permettono alle forze armate di intervenire direttamente:
- nel campo della sicurezza civile [sorveglianza dei luoghi pubblici, aeroporti, stazioni, partecipazione alle pattuglie di polizia, ecc.];
- nel campo dell’attuazione dello «stato di emergenza in materia di immigrazione», decretato il 25 luglio in piena campagna anti-rom. Questo stato di emergenza prevede il rilancio delle politiche di quote [che equivalgono ad affidare alla Confindustria la gestione diretta dei permessi di soggiorno nel paese], il rafforzamento delle politiche di espulsione, la penalizzazione dello statuto di «clandestino» [circa un milione di persone sono interessate], e l’aumento della durata di detenzione amministrativa dei migranti a 18 mesi;
- A Napoli, nella molto mediatica vicenda dei rifiuti.
In materia di educazione, è previsto un abbassamento dei finanziamenti pubblici di 1,3 miliardi di euro in cinque anni. Il governo conta di compensare facilitando l’ingresso massiccio di fondazioni private nelle università.
Per quanto riguarda il diritto all’informazione, è stato deciso di ridurre di metà il contributo pubblico all’editoria, rafforzando così l’iper-concentramento del settore dei media italiani. Numerose pubblicazioni e giornali di informazione e di opinione non sopravviveranno a questa decisione.
Retorica economica patriottica [Alitalia e critiche della Banca centrale europea]; apertura di un mercato dell’educazione; mobilitazione del settore padronale; stigmatizzazione della figura del migrante; rafforzamento della liberalizzazione del lavoro e della concorrenza tra lavoratori; arricchimento delle categorie più agiate; inquadramento ideologico e sottomissione della popolazione alle logiche private e della competitività [media e educazione]; ricorso al tutto-securitario [esercito nello spazio pubblico]: questi sono gli assi di un nuovo tipo di regime politico nazionale. Questa miscela di neo-bonapartismo politico e sociale attinge ai registri della personalizzazione dell’esercizio del potere, dell’autoritarismo, della repressione e della reazione, così come del nazionalismo liberal-economico integrato nel quadro di funzionamento dell’Unione europea e nel capitalismo mondializzato.
Su quest’ultimo punto bisogna segnalare un’altra proposta, sintomatica, del ministro Tremonti, fatta il 6 luglio alla vigilia del Consiglio Ecofin [riunione dei ministri dell’economia e delle finanze dell’Ue], nell’ambito di un discorso virulento contro la speculazione finanziaria (che si appoggiava su alcune dichiarazioni di papa Benedetto XVI), il «globalismo» e l’invasione delle merci cinesi: la creazione di una tassa sui superprofitti dei giganti petroliferi, delle banche e delle assicurazioni, oramai chiamata «Robin tax» nei media - proposta poi ripresa da Silvio Berlusconi durante la riunione del G8 in Giappone. Il governo recupera così, in modo demagogico e in nome di una pretesa difesa del popolo contro gli eccessi dei mercati, il riferimento simbolico alla Tobin tax promossa dal movimento altermondialista contro il capitalismo finanziario e per il finanziamento dello sviluppo.
Silvio Berlusconi, il cui vero programma mostra a che punto si preoccupa delle categorie popolari, distrae così l’attenzione, e pratica, in modo strutturale e con la collaborazione di un enorme apparato mediatico, la politica dell’«effetto annuncio».
Una comunicazione distato privata
Questo regime è inedito. Prende in prestito dal neoliberismo le logiche di sottomissione della società agli imperativi dell’economia e dei mercati, e dal patriottismo conservatore un discorso di tipo nazionalista che dovrebbe lusingare e rassicurare le classi medie e la piccola borghesia. Dà impulso anche a una forte mobilitazione securitaria delle istituzioni dello stato che deve permettere, all’occorrenza, il controllo della società e di eventuali disordini sociali.
Infine, per mezzo di una «comunicazione di stato privata» resa possibile dall’influenza di Silvio Berlusconi sui media, sviluppa una «privatizzazione dello spazio pubblico» - secondo l’espressione di Marco Revelli - in modo da controllarlo meglio e manipolarlo. In un contesto di rallentamento economico e di esplosione delle disuguaglianze sociali - amplificate dall’onda d’urto della triplice crisi finanziaria, energetica - e alimentare mondiali - l’offensiva berlusconiana potrebbe testimoniare un’evoluzione più generale delle forme del neoliberismo in Europa: più nazionale, più intimamente gestito da uno Stato dalle tendenze repressive, e condotto da un esecutivo forte, nell’ambito di una “democrazia limitata”.
E questo accade nel momento in cui il capitalismo malato amputa - per la prima volta da decenni - i guadagni di diverse frazioni delle classi dominanti e dei dirigenti nazionali, e in cui produce sempre più povertà, malcontento sociale, rimesse in discussione intellettuali, concorrenza tra i dipendenti, i lavoratori poveri e gli esclusi dal lavoro, etc.
Le convergenze con Il sarkozysmo
Si tratta di una ricomposizione/riconfigurazione di borghesie nazionali o di interessi di classi borghesi nazionali nell’ambito della mondializzazione? Sarebbe avventuroso trarre conclusioni troppo affrettate. Tuttavia questo tipo di potere, di cui si vedono le convergenze con il sarkozysmo e con le politiche dell’Unione europea, conferma che anche se sviluppano il corso mercantile e devastatore della mondializzazione, le élites europee non si trovano più nella situazione degli anni novanta e dell’inizio degli anni 2000. Non applicheranno più esattamente lo stesso neoliberalismo, né allo stesso modo. Bisogna tornare agli anni trenta, per trovare un riferimento storico che sostiene il paragone con le dimensioni della crisi attuale del capitalismo. Non sarebbe serio vedere nell’emergenza del «sarkocapitalismo» la ripetizione dell’ascesa del fascismo in Europa. Tuttavia, questo fenomeno è significativo di una nuova tendenza autoritaria in seno alle élites europee, alle prese con un modello in crisi al quale non hanno alternative da opporre, per via del suo fallimento economico, finanziario, sociale e morale.
Il regime «sarkoberlusconista» conferma anche, senza volerlo, l’urgente necessità di organizzare una riposta politica e sociale progressista e democratica che può rendere le mosse sulla crisi di questo modello neoliberista. Essa è oramai evidente, al punto di dividere le classi dominanti. Si apre una nuova fase storica.
Riscaldamento globale ed informazione
COLPI DI SOLE
di Paolo Miola
MC Settembre 2008
L’Amazzonia è sempre presa come esempio di disastro ambientale inarrestabile. Ma - purtroppo - non c’è soltanto il polmone del mondo in pericolo. Secondo un recente libro fotografico dell’agenzia Onu per l’ambiente (United Nations Environment Programme, Unep), negli ultimi 30 anni l’Africa ha subito mutamenti devastanti: ghiacciai che scompaiono (ad iniziare dal Kilimangiaro in Tanzania), deforestazione selvaggia, biodiversità a rischio. Ma occorre andare lontani per vedere i disastri prodotti dal riscaldamento climatico (global warming): il Trentino, terra di montagne innevate (almeno fino a qualche anno fa) e boschi, da anni vede i propri ghiacciai (sono 83) assottigliarsi (uno per tutti, l’Adamello, il più esteso delle Alpi italiane). A tal punto che la provincia di Trento ha messo in campo iniziative di studio e ricerca per affrontare il problema.
LA RUSSIA NEGLI ANNI DI ZAR PUTIN
Bianca Maria Balestra
MC Settembre - 2008
Da anni durante i miei soggiorni moscoviti sono ospite di una coppia di amici che hanno la fortuna di abitare in una posizione invidiabile. Abitano in pieno centro, su uno dei lungofiumi, al penultimo piano di uno degli edifici più alti del quartiere: davanti alle finestre del salotto si stende mezza città.
Per anni il panorama che si presentava ai miei occhi è rimasto, visita dopo visita, pressoché invariato. Ogni tanto compariva qualche piccolo cambiamento, che però non modificava di molto il quadro d’insieme. Verso la fine degli anni ‘90, invece, questo quadro s’è messo in movimento, prima lentamente, poi con sempre maggior dinamismo. Adesso, ogni volta che torno, corro a vedere che cosa è cambiato.
Roraima: continua la lotta per la terra
TERRA INDIGENA, TERRA CONTESA
di Marco Bello
MC settembre 2008
Aprile 2005, dopo tre decenni di lotta degli indios, il presidente Ignacio Lula da Silva, firma il decreto di «omologazione» dell’area indigena nell’estremo Nord dello stato di Roraima (e del paese).
Zona di savana, di circa 17.400 chilometri quadrati, vi abitano oltre 16.000 indios di cinque gruppi principali: Macuxi, Wapichana, Taurepang, Patamona e Ingarikò. La società civile, come il Consiglio indigeno di Roraima (Cir), e gli stessi missionari della Consolata, che vi lavorano dagli anni ’50, avevano spinto, alcuni anni prima, l’allora candidato presidente a fare dell’omologazione una delle sue promesse elettorali. Ma Lula, solo durante il secondo mandato riesce a fare un colpo di mano e ad apporre la fatidica firma. Forti gruppi di potere locali, ma anche nazionali, sono contrari a questa operazione. Romero Jucà, senatore di Roraima, è rappresentante del governo al senato. Ha dichiarato di essere contro la politica indigena di Lula.
Con l’omologazione scatta anche il decreto di espulsione di tutti quelli che abitano o sfruttano la terra in zona indigena. Lo stato ha previsto un indennizzo per chi è costretto ad andarsene. Così la polizia federale inizia a mandare via i contadini e fazendeiros non indigeni.
Il crac del liberismo - Il casinò e il cantoniere
di Laurent Cordonnier
da Le Monde diplomatique – Manièr de voir
dicembre 2008/gennaio 2009
Quali che siano le misure adottate per tentare di “contenere” le malefatte della finanza, come potranno le nostre società voltare la pagina di un “modello di sviluppo” che aveva sapientemente saputo accostare la dinamica dell’economia reale (la produzione, la ripartizione degli stessi utili) alle turpitudini di una finanza sfrenata? Nello spazio di una trentina di anni le nostre economie nel loro insieme sono andate via via rassomigliando tutte a quelle città termali in cui la sopravvivenza del cantoniere dipende strettamente dalla prosperità del casinò locale la quale a sua volta dipende, attraverso le sue macchinette dispensatrici di soldi, dalla vaga malinconia provata dal cantoniere (l’eterno defraudato della storia).
LADRI DI CERTEZZE
da Nigrizia giugno 2008
La distanza geografica è notevole. Vicinissimi, invece, gli atteggiamenti e il clima sociale. In Italia come in Sudafrica, è sempre l’“altro” a essere percepito come un problema; peggio, come una minaccia. La chiamano xenofobia, che per Adriano Sofri (la Repubblica del 20 maggio) «è anche l’invenzione del diverso e il disprezzo, l’avversione e la persecuzione del diverso».
Le cronache italiche degli ultimi mesi ci dicono di un crescente fastidio nei confronti degli immigrati – colpevoli di venire da fuori e di portare unità culturali “altre” – e di caccia al rom, l’etnia che vive l’ambivalente (e per molti italiani, spiazzante) condizione di essere nomade ed europea. I media raccontano anche di bande giovanili che esprimono violenza (fino all’omicidio) verso chi non è considerato sufficientemente “nella norma”, perché nero o punk, portatore di capelli lunghi d codino.
A Johannesburg, capoluogo del distretto industriale per eccellenza del Sudafrica, sono finiti nel mirino gli immigrati dello Zimbabwe, un paese in preda a una profonda crisi politica ed economica. Ma chi ha ucciso e ferito decine di zimbabweani (l’ondata ha investito anche altri immigrati di origine somala, nigeriana, congolese e pachistana) non si è chiesto per quale ragione questa gente è capitata lì: è gente straniera che può consumare risorse e competere per un lavoro, e tanto basta!
È possibile rintracciare – a Napoli (e a Verona) come a Johannesburg (e a Città del Capo) – uno sfondo comune che consenta una lettura di questi accadimenti in cui l’“altro” diventa bersaglio? C’è una pista che può aiutare a comprendere e che passa attraverso due parole, che spesso intrecciano il proprio territorio: la roba e l’identità.
Il culto della roba, cioè dei beni che si possiedono, con tutto il corollario di status sociale e di consumismo, ha un peso sempre più preponderante e richiede un tale investimento di attenzioni e di energie che tutto il resto – compreso il coltivare criteri di cittadinanza che comprendano condivisione e solidarietà – passa in subordine. E ciò è vero anche in Sudafrica: sono stati, sì, i poveri a far fuori altri poveri, ma, appunto, per non condividere le briciole.
E il possesso della roba fa il paio con lo sbandieramento di identità (nazionali, regionali, etniche, religiose) che si presumono sedimentate e definitive. E che promettono stabilità per omnia secula seculorum. Tutti impegnati «a reimpacchettare il passato» (Rossana Rossanda). È il tipico sogno di un mondo che si vorrebbe immobile, mentre tutt’intorno governa la globalizzazione, con il suo turbinio di uomini e di merci, con le frontiere labili, con visioni del mondo che capitolano, con culture costrette ad annusarsi sempre più da vicino...
In questo contesto, l’“altro” diventa il ladro di certezze. Diventa quello che mette in crisi scenari consolidati. Diventa un sasso che agita la calma apparente del nostro mare di tranquillità e di civiltà.
Eppure, i cristiani non devono fare tanta strada per trovare vie d’uscita. Il Nuovo Testamento ci ammonisce sul ruolo del ladro. «Ecco, io vengo come un ladro» (Ap. 16,15). Il Cristo, una volta venuto “presso i suoi”, provoca una crisi e una divisione: rapisce ai “suoi” le loro sicurezze e i loro privilegi, ma per svelare il dono promesso e accordato a tutti.
Anche l’insegnamento sociale della chiesa – parte essenziale di ogni annuncio evangelico oggi – fornisce indicazioni nitide in tema di attenzione all’altro, di solidarietà, di coesione sociale. Ma, guardando all’Italia, dobbiamo dedurre che il Vangelo non è oggetto di sufficiente riflessione e che le parrocchie e le miriadi di associazioni cattoliche non danno adeguata eco all’insegnamento sociale della chiesa?
«Mai senza l’altro», ci ammonisce il teologo gesuita francese Michel de Certeau (1925-1986): «L’Altro è colui senza il quale vivere non è più vivere… Tragedia non è il conflitto, l’alterità, la differenza, bensì la confusione e la separazione. In questa stagione, dobbiamo imparare ad accettare il mistero e l’enigma di chi non conosciamo, di chi appare come l’estraneo, e non solo lo straniero. La sofferenza e la fatica della ricerca dell’unione nella differenza permangono, ma la tragedia incombe sull’uomo soltanto quando rinuncia all’altro e se ne separa. Gli altri non sono l’inferno: sono la nostra beatitudine su questa terra».