LADRI DI CERTEZZE
da Nigrizia giugno 2008
La distanza geografica è notevole. Vicinissimi, invece, gli atteggiamenti e il clima sociale. In Italia come in Sudafrica, è sempre l’“altro” a essere percepito come un problema; peggio, come una minaccia. La chiamano xenofobia, che per Adriano Sofri (la Repubblica del 20 maggio) «è anche l’invenzione del diverso e il disprezzo, l’avversione e la persecuzione del diverso».
Le cronache italiche degli ultimi mesi ci dicono di un crescente fastidio nei confronti degli immigrati – colpevoli di venire da fuori e di portare unità culturali “altre” – e di caccia al rom, l’etnia che vive l’ambivalente (e per molti italiani, spiazzante) condizione di essere nomade ed europea. I media raccontano anche di bande giovanili che esprimono violenza (fino all’omicidio) verso chi non è considerato sufficientemente “nella norma”, perché nero o punk, portatore di capelli lunghi d codino.
A Johannesburg, capoluogo del distretto industriale per eccellenza del Sudafrica, sono finiti nel mirino gli immigrati dello Zimbabwe, un paese in preda a una profonda crisi politica ed economica. Ma chi ha ucciso e ferito decine di zimbabweani (l’ondata ha investito anche altri immigrati di origine somala, nigeriana, congolese e pachistana) non si è chiesto per quale ragione questa gente è capitata lì: è gente straniera che può consumare risorse e competere per un lavoro, e tanto basta!
È possibile rintracciare – a Napoli (e a Verona) come a Johannesburg (e a Città del Capo) – uno sfondo comune che consenta una lettura di questi accadimenti in cui l’“altro” diventa bersaglio? C’è una pista che può aiutare a comprendere e che passa attraverso due parole, che spesso intrecciano il proprio territorio: la roba e l’identità.
Il culto della roba, cioè dei beni che si possiedono, con tutto il corollario di status sociale e di consumismo, ha un peso sempre più preponderante e richiede un tale investimento di attenzioni e di energie che tutto il resto – compreso il coltivare criteri di cittadinanza che comprendano condivisione e solidarietà – passa in subordine. E ciò è vero anche in Sudafrica: sono stati, sì, i poveri a far fuori altri poveri, ma, appunto, per non condividere le briciole.
E il possesso della roba fa il paio con lo sbandieramento di identità (nazionali, regionali, etniche, religiose) che si presumono sedimentate e definitive. E che promettono stabilità per omnia secula seculorum. Tutti impegnati «a reimpacchettare il passato» (Rossana Rossanda). È il tipico sogno di un mondo che si vorrebbe immobile, mentre tutt’intorno governa la globalizzazione, con il suo turbinio di uomini e di merci, con le frontiere labili, con visioni del mondo che capitolano, con culture costrette ad annusarsi sempre più da vicino...
In questo contesto, l’“altro” diventa il ladro di certezze. Diventa quello che mette in crisi scenari consolidati. Diventa un sasso che agita la calma apparente del nostro mare di tranquillità e di civiltà.
Eppure, i cristiani non devono fare tanta strada per trovare vie d’uscita. Il Nuovo Testamento ci ammonisce sul ruolo del ladro. «Ecco, io vengo come un ladro» (Ap. 16,15). Il Cristo, una volta venuto “presso i suoi”, provoca una crisi e una divisione: rapisce ai “suoi” le loro sicurezze e i loro privilegi, ma per svelare il dono promesso e accordato a tutti.
Anche l’insegnamento sociale della chiesa – parte essenziale di ogni annuncio evangelico oggi – fornisce indicazioni nitide in tema di attenzione all’altro, di solidarietà, di coesione sociale. Ma, guardando all’Italia, dobbiamo dedurre che il Vangelo non è oggetto di sufficiente riflessione e che le parrocchie e le miriadi di associazioni cattoliche non danno adeguata eco all’insegnamento sociale della chiesa?
«Mai senza l’altro», ci ammonisce il teologo gesuita francese Michel de Certeau (1925-1986): «L’Altro è colui senza il quale vivere non è più vivere… Tragedia non è il conflitto, l’alterità, la differenza, bensì la confusione e la separazione. In questa stagione, dobbiamo imparare ad accettare il mistero e l’enigma di chi non conosciamo, di chi appare come l’estraneo, e non solo lo straniero. La sofferenza e la fatica della ricerca dell’unione nella differenza permangono, ma la tragedia incombe sull’uomo soltanto quando rinuncia all’altro e se ne separa. Gli altri non sono l’inferno: sono la nostra beatitudine su questa terra».