SPESE MILITARI IN AFRICA
Giba
Nigrizia/Gennaio 2008
I numeri si prestano a qualsiasi servigio. Possono diventare anche dei tiranni. Soprattutto quando si parla di Pil, mito e ossessione della nostra economia. Ma si dovrebbero ricordare quelli pubblicati in questa tabella, tratta dal Rapporto sullo sviluppo umano 2007-8 delle Nazioni Unite. Si tratta delle percentuali delle spese militari, di ogni paese africano, in rapporto al Prodotto interno lordo, ovvero al valore di mercato di tutti i beni e i servizi finali prodotti in un paese in un anno. Dati non facili da raccogliere nel continente. Tuttavia, ci fidiamo.
Balza all’occhio il dato 2005 dell’Eritrea: circa un quarto del Pil va in armamenti e in tutte le spese legate alla difesa. Un dato esorbitante. La percentuale più alta al mondo. Il secondo paese, tanto per capirci, è il sultanato dell’Oman, con l’11,9%.
Il Sipri, l’Istituzione internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma, stima che la spesa per armamenti in Africa, nel 2006, si sia aggirata sui 15,5 miliardi di dollari, la più alta dalla fine della guerra fredda. Una piccola fetta, comunque, se paragonata a quella mondiale: 1.158 miliardi di dollari, circa 15 volte l’annuale spesa per l’aiuto internazionale. Trascurando il capitolo, assai corposo, del commercio illegale.
Armi e materiale bellico sono diventati, ormai, merci ordinarie nel mercato mondiale.
Le ong Oxfam, Safeworld e lansa hanno pubblicato Io scorso ottobre i risultati di uno studio sul danno economico, in termini di mancato Pil, che i conflitti hanno causato a 23 paesi africani, nel periodo 1990-2005. Comparando le economie di questi paesi nei periodi di conflitto con quelle di paesi con lo stesso livello di sviluppo in assenza di guerre, i ricercatori hanno ricostruito, tramite una proiezione, il Prodotto interno lordo che tali paesi avrebbero dovuto avere, se fossero stati in pace, e, calcolando la differenza, quale è stata la perdita economica. Cifra sottostimata, visto che sono stati esclusi dal calcolo i costi di aiuti internazionali e operazioni di peacekeeping, l’impatto che una guerra può avere sui paesi confinanti e quello sull’economia anche dopo la fine delle ostilità.
Tuttavia, la cifra emersa è clamorosa: 284 miliardi di dollari (circa 18 miliardi l’anno), che equivalgono alla somma degli aiuti che i maggiori paesi donatori hanno erogato ai governi africani nello stesso periodo di tempo.
Paese | 1990 | 2000 | 2005 |
Eritrea | 22,9 | 24,1 | |
Burundi | 3,4 | 5,4 | 6,2 |
Angola | 5,8 | 21,2 | 5,7 |
Marocco | 5,0 | 4,2 | 4,5 |
Gibuti | 6,3 | 4,4 | 4,2 |
Guinea-Bissau | 1,3 | 4,0 | |
Mauritania | 3,8 | 3,6 | |
Namibia | 5,7 | 3,3 | 3,2 |
Botwana | 4,1 | 3,7 | 3,0 |
Algeria | 1,5 | 3,5 | 2,9 |
Rwanda | 3,7 | 3,0 | 2,9 |
Egitto | 4,7 | 2,3 | 2,8 |
Etiopia | 8,5 | 9,4 | 2,6 |
Rd Congo | 2,4 | ||
Zimbabwe | 4,5 | 4,8 | 2,3 |
Lesotho | 4,5 | 3,1 | 2,3 |
Sudan | 3,6 | 3,0 | 2,3 |
Uganda | 3,1 | 1,8 | 2,3 |
Zambia | 3,7 | 0,6 | 2,3 |
Mali | 2,1 | 2,5 | 2,3 |
Libia | <
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Mercoledì, 04 Giugno 2008 22:39
La questione del nucleare in ItaliaLa questione del nucleare in Italia di Henry SOKOLSKI Henry Sokolski evidenzia innanzitutto che il debito pubblico italiano, il terzo al mondo, è di 1.624 miliardi di euro, con un reale rischio di cresce ancora. Per affrontare l’ascesa dei prezzi di petrolio e gas e la crescente importazione di energia elettrica dalla Francia sembra che la strada giusta sia quella di reintrodurre il nucleare, ma c’è che: “le centrali nucleari promesse da Berlusconi sono improbabili dall’essere costruite”. Le ragioni sono tre: “elevatissimi costi di costruzione; tempi di costruzione da uno a due decenni, e non identificabile comunità italiana disposta a vedere un reattore nucleare realizzato nel loro territorio”. Non si tratta di posizioni antinucleari di verdi. Stime effettuate da E.On, gigante tedesco dell’energia che sta realizzando una grande centrale nucleare in Finlandia, e dalla Florida Power and Light, grande società elettrica statunitense, indicano “il costo di costruzione in 6 miliardi di euro per impianto”. Detto importo è di 10 volte superiore il costo di costruzione di un moderno impianto a gas che produce la stessa quantità di energia. Questo costo, inoltre, si riferisce esclusivamente alla costruzione dell’impianto, non sono contemplate infatti le spese gestione dei rifiuti nucleari o le spese di funzionamento. Come primo ministro Italiano del governo dal 2001 al 2006, “Berlusconi ha speso molto in progetti pubblici e ripetutamente non ha raggiunto gli obiettivi di bilancio fissati dalla Unione Europea. Egli ora afferma che mostrerà moderazione finanziaria”. Ancora, l'amministratore delegato di Enel, che con ogni probabilità potrebbe costruire e gestire l’eventuale reattore nucleare, la scorsa settimana sibillinamente ha avvertito che al fine di procedere, avrebbe bisogno di nuova regolamentazione e forte accordo sul piano all'interno del paese -- Vale a dire garanzie, crediti e sovvenzioni dal governo. Si potrebbe sostenere che l’attuale impegno di spesa per il nucleare potrebbe in futuro consentire di risparmiare. Nel caso italiano, tuttavia, queste probabilità sono basse. L'Italia non ha gestito o costruito una centrale nucleare sin dalla loro chiusura avvenuta in seguito all'incidente di Cernobyl del 1987. Difficilmente quindi si potrà attuare qualsiasi programma nucleare rapidamente o gestirlo senza incidenti. La scorsa settimana, il Ministro per lo sviluppo economico Claudio Scajola, all’assemblea di Confindustria, ha dichiarato che “il governo italiano poserà la prima pietra per la costruzione di una nuova generazione di reattori entro cinque anni”. Dirigenti dell’Enel, tuttavia, sono stati un pò più cauti. Hanno infatti rilevato che potrebbero occorrere “dai sette ai 10 anni” prima di poter effettivamente portare un reattore in linea. I loro concorrenti italiani, Edison SpA, sono stati ancora più cauti: "potrebbero esserci difficoltà a rendere la prima stazione operativa entro il 2020." Da evidenziare poi che la quarta generazione di reattori che il governo italiano si è impegnato a costruire, addirittura non è stata ancora interamente progettata e, quindi, potrebbero passare dai 20 ai 25 anni per renderla operativa. Eventuali reattori nucleari italiani non rappresenterebbero una risposta ai problemi energetici per almeno il prossimo decennio o più. Quali fonti di approvvigionamento energetico e quale sarà la domanda nei prossimi 10, 20 anni, così come quello che sarà il costo dell’energia, nessuno è in grado di stabilirlo. Certamente il governo Berlusconi avrà terminato la legislatura prima di allora. D'altro parte, gli alti costi e l’opposizione politica a qualsiasi specifica costruzione nucleare sarà politicamente significativa e immediata. Perché allora Berlusconi ha annunciato il nucleare ora? Come la riduzione delle tasse sulla benzina e sul diesel, fa apparire il governo impegnato sul fronte dell'aumento dei prezzi del petrolio e del gas. Esperti in materia energetica, però, sospettano qualcosa di più sinistro. L'annuncio potrebbe essere parte di uno sforzo a lungo termine da parte della più grande utility europea per spingere i concorrenti più piccoli ad organizzare un massiccio sostegno governativo per i grandi, costosi programmi di centrali nucleari. Italiani ed europei possono solo sperare che questa speculazione sia semplicemente sbagliata. Si suppone che l'UE incoraggi la concorrenza e l'eliminazione delle sovvenzioni pubbliche nel settore energetico, ma ciò non è mai stato facilmente attuato. La Francia sovvenziona indirettamente il suo programma nucleare. E’ altrettanto noto che la Germania sostiene il carbone. Le sovvenzioni di Germania e Francia al progetto di reattore che AREVA e Siemens stanno costruendo, nel frattempo, sono state recentemente confermate dalla Commissione europea a seguito di vari reclami. La preoccupazione è che l'Unione europea possa finire per reprimere la concorrenza di mercato nel settore energetico. L'Unione europea, dopo tutto, afferma che è impegnata a ridurre le emissioni di carbonio. La soluzione sta nell’aumentare l'efficienza per ridurre la domanda di energia e rendere più vantaggiose le tecnologie energetiche. Nessuna pianificazione può determinare in anticipo come effettuare questa operazione, riducendo le emissioni di carbonio in modo economico e veloce. Invece, l'effettiva applicazione dei meccanismi di mercato è la migliore speranza per guidare attraverso il bosco delle decisioni - come ad esempio la scelta tra impianti centralizzati e distribuiti, le nuove tecnologie contro le vecchie, diverse fonti di gas naturale, ecc E’ concepibile che detta concorrenza potrebbe favorire l'energia nucleare in futuro. Tuttavia, tenuto conto delle previsioni della UE di arresto di 145 reattori nei prossimi 17 anni, la probabilità di una qualche crescita netta nella capacità nucleare, nella migliore delle ipotesi, potrebbe essere tra molti decenni di distanza. Nel frattempo, Italia e Europa farebbero bene a stare lontane da investimenti energetici che nessuna banca privata farebbe senza aiuti statali.
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Lunedì, 02 Giugno 2008 19:27
Il ritorno al nucleare? Costerebbe 50 miliardi di euro
Il ritorno al nucleare?
Costerebbe 50 miliardi di euro di Luca Zanfei da www.vita.it
Proprio nel giorno in cui il premier Berisha mette a disposizione il territorio albanese per la costruzione delle centrali nucleari italiane, Legambiente, WWf e Greenpeacebocciano senza appello la nuova deriva nuclearista del ministro Scajola. Il problema non è solo ideologico. Il ritorno all'atomo costa troppo e non riduce la bolletta Secondo il dossier (scaricabile qui) presentato a Roma dalle tre associazioni ambientaliste, riaccendere i reattori costerebbe tra i 30 e i 50 miliardi di euro, tra istallazioni di centrali e Secondo le stime dell'Agenzia Ma allora
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Venerdì, 30 Maggio 2008 23:39
Sahara Occidentale, La sfida dei territori liberati - LA CARTA RASDSahara Occidentale, la sfida dei territori liberati - LA CARTA RASD Luciano Ardesi Nigrizia maggio 2008
Nella calma apparente del conflitto del Sahara Il Polisario ha capito da tempo che, per contrastare La scelta è stata ratificata dall’ultimo Congresso Il 27 febbraio, l’anniversario della proclamazione Il 22 marzo si è tenuta la più importante Nel frattempo, stanno partendo i primi progetti per Nell’ultratrentennale crisi del Sahara Occidentale c’è una sorta di tic nervoso che Rabat manifesta
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Martedì, 27 Maggio 2008 23:40
IL“LIBRO BIANCO” COSE FATTE, COSE DA FAREIL“LIBRO BIANCO” COSE FATTE, COSE DA FARE Francesco (direttore
Nel febbraio 2003 il Ministero del Lavoro e delle A In
INGRESSO NELLA VITA E NEL MONDO DEL Obiettivo: Favorire un armonico inserimento nella vita e
Gli interventi per alleggerire la pressione fiscale, Rispetto al superamento degli istituti per minori, Non c’è traccia, infine, di “Consiglio nazionale della gioventù” o organismi similari,
DIRITTO AI SERVIZI UNIVERSALI MEDIANTE Obiettivo: Garantire il
La promozione di una prospettiva sussidiaria ha Grave Significativo è stato infine il sostegno economico a
INCLUSIONE SOCIALE Obiettivo: Attuare
In questo ambito la politica complessiva dei redditi Rispetto all’immigrazione, il Libro bianco esplicitava Per quel che riguarda infine l’integrazione dei
AUTONOMIA PSICOFISICA Obiettivo: Garantire l’accesso al lavoro e all’assistenza
Non è stato varato il Piano azionale per la non
Obiettivo: Promuovere la coesione sodale degli individui e
Molto rilevante e positiva è stata l’azione Appare Risultato certamente importante è invece Significativo
MISURE DI CARATTERE ORIZZONTALE Obiettivo: Garantire la messa a punto di una serie di
L’obiettivo si presenta come trasversale alle altre In questo ambito i risultati sono molto
Molto è ancora da realizzare
Pur nella approssimazione di questa breve analisi, ci Difficile pesare, in termini qualitativi, il valore Certo occorrerebbe anche tenere conto di alcune Un
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Martedì, 27 Maggio 2008 23:38
«ASSEMBLEA PERMANENTE PER LA PACE»«ASSEMBLEA PERMANENTE PER
di Maria Longhi Vicenza
Il progetto di costruzione di una nuova base militare Attualmente l’esercito americano ha, nella città di Il progetto che aggiunge una nuova caserma e un nuovo La cittadinanza si è mobilitata e sono sorti numerosi Una di queste è la comunità cristiana di Quinto e «Tutto è cominciato il primo di novembre 2006, al Abbiamo poi organizzato una serata pubblica, alla Il consiglio pastorale ha prodotto un documento dove Dopo di questo, si è costituito un gruppo spontaneo Vogliamo stare calati nella realtà quotidiana Sullo specifico del villaggio abbiamo fatto degli Per i credenti, la militarizzazione del territorio e E noi che
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Mercoledì, 21 Maggio 2008 20:25
Intervista a Viktoria Mohacsi, eurodeputata inviata speciale in ItaliaL’eurodeputata Viktoria Mohacsi Non è con questa modalità che un Ricorda che in febbraio era stata Ritiene poi incomprensibile la La questione è all’esame dell’Agenzia dei Diritti Fondamentali, però, conclude, se il governo non cessa di alimentare l’odio non si intravede una soluzione. da www.elpais.com
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Giovedì, 27 Marzo 2008 19:47
NOI, GLI OPPRESSORI DEI POPOLI DI TUTTO IL MONDO. PARLA UN DISERTORE USANOI, GLI OPPRESSORI DEI POPOLI DI TUTTO IL MONDO. PARLA UN DISERTORE USA da Adista Obiettori di ieri, che hanno avuto il coraggio di dire no a Hitler e a Mussolini, spesso finendo i loro giorni nei lager nazisti o sui vagoni piombati che li conducevano nei vari campi della morte. Come Josef Mayr-Nusser, alto atesino che rifiutò l'arruolamento nelle SS e morì sul treno che lo stava portando da Buchenwald, dove era recluso, a Dachau (la sua storia è raccontata nel libro di uno degli organizzatori del convegno Francesco Comina, Non giuro a Hitler, San Paolo edizioni). O come l'austriaco Franz Jägerstätter che, dopo essersi opposto al nazismo, fece obiezione di coscienza al servizio militare nella Wehrmacht e per questo motivo venne condannato a morte e decapitato il 9 agosto del 1943 (su Jägerstätter è appena uscito il volumetto curato da uno dei relatori del convegno Giampiero Girardi, Il contadino contro Hitler. Una testimonizanza per l'oggi, Editrice Berti, con contributi, fra gli altri, di Enrico Peyretti e Sergio Tanzarella). Per Mayr-Nusser è stata avviata la causa di beatificazione, mentre Jägerstätter è da pochi mesi salito agli onori degli altari (v. Adista n. 69/07). Si tratta di beatificazioni importanti - dice Albert Mayr-Nusser, figlio di Josef - ma la Chiesa non compie un'operazione del tutto corretta: li celebra come "martiri della fede" e li "depoliticizza, depotenziandone la carica di opposizione politica al sistema totalitario nazista. Sicuramente sono stati martiri della fede - prosegue - ma è riduttivo esaurire la loro testimonianza a questo aspetto". Obiettore al nazismo è stato anche Franz Thaler, presente al convegno - un contadino altoatesino tuttora vivente che rifiutò la chiamata alle armi -, sopravvissuto a Dachau e poi, una volta tornato nella sua valle, emarginato dai concittadini perché la sua testimonianza li obbligava a confrontarsi con la loro connivenza con il nazismo che aveva incantato molti altoatesini con la promessa della "Grande Germania". Ci sono poi gli obiettori di oggi: giovani statunitensi arruolati si per tentare di risolvere i loro problemi economici oppure perché convinti dell'importanza della "guerra al terrorismo" di George Bush ma presto accortisi che la loro guerra più che contro i terroristi veniva combattuta contro le popolazioni inermi di Afghanistan e Iraq. Come Russel Hoitt, il primo dei cinque disertori della caserma statunitense Ederle di Vicenza, dove è tutto pronto per l'inizio dei lavori per la costruzione della nuova base militare Usa presso l'aeroporto civile Dal Molin. "'A scuola mi era stato insegnato che tutte le guerre degli Stati Uniti sono state combattute in nome della democrazia e della libertà e che le nostre Forze armate si battono per il bene del Paese e per portare i diritti nel mondo", racconta Hoitt. "E così in un momento di difficoltà economiche, mi sono arruolato". Nel 2006 Russel finisce a Vicenza, nella caserma Ederle, e scopre un'altra realtà: obbedienza assoluta nei confronti dei superiori, disprezzo per la vita degli altri popoli, esaltazione della guerra e della morte ("marciavamo e ci facevano cantare degli inni che proclamavano quanto era bello uccidere"). "Ho parlato con molti miei commilitoni che mi raccontavano delle uccisioni di donne e bambini afghani e iracheni - prosegue -, ho visto le manifestazioni dei movimenti pacifisti che venivano a Vicenza per protestare contro la nuova base e miei dubbi sono diventati certezza: il nostro compito non era quello di liberare i popoli oppressi, ma eravamo noi stessi fonte di quell'oppressione". E così, nell'aprile del 2007, Russel abbandona la caserma Ederle e diserta. Ora, al termine di un complesso iter, ha evitato il carcere ma risulta congedato con disonore. Come anche James Circello, pure lui disertore della Ederle: "Sembravo un ingenuo di 23 anni quando mi sono arruolato - scrive Circello in una lettera aperta ai cittadini di Vicenza -, ma mi sono ben presto reso conto che qualcosa non andava negli Usa e nella costante necessità di costringere altri popoli a piegarsi al nostro volere e alle nostre esigenze". Il petrolio "è il motivo per cui gli americani continuano ad occupare le terre dei poveri del Medio Oriente, instaurando governi fantoccio e emanando Costituzioni prefabbricate. Gli Usa non sono il Paese per cui voglio dare la mia vita. I pochi al potere si arricchiscono sulle spalle di tanti. E quei tanti sono i poveri". Altri tre disertori, invece, che hanno gestito male le procedure post-diserzione, sono attualmente sotto processo, come Criss Capps, che racconta la sua storia in una intervista video realizzata e distribuita dal mensile "Mosaico di Pace". Ma sono migliaia, dice Circello, "i soldati statunitensi che si stanno rifiutando di combattere" o che "si allontanano senza permesso" fuggendo all'estero, in Canada e in Europa, sostenuti dalle associazioni Usa (Veterani per la pace, Military Familiary Speak Qut e i neonati Veterani contro la guerra in Iraq) o europee, come la tedesca Mcn (Military Counseling Network) che ha messo in piedi un servizio di assistenza per i disertori. E ci si sta iniziando ad organizzare anche in Italia: il Comitato Vicenza est - aderente al movimento No Dal Molin - settimanalmente promuove volantinaggi di fronte alla caserma Ederle e sta cercando di far par partire un vero e proprio centro di consulenza per informare e aiutare coloro che vogliono disertare.
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Giovedì, 27 Marzo 2008 19:46
OPPOSIZIONE ALLA GUERRA E NONVIOLENZA: "DOPO LA DELUSIONE DI PRODI SERVE UN RILANCIO"OPPOSIZIONE ALLA GUERRA E NONVIOLENZA: "DOPO LA DELUSIONE DI PRODI SERVE UN RILANCIO" da Adista "L'esperienza di governo ha prodotto magri risultati - ammette il ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero -: l'aumento dei fondi per il servizio civile volontario da 200 a 300 milioni di euro, significativo ma sempre inferiore alle reali esigenze; la costituzione, sebbene piuttosto farraginosa, del Comitato per la difesa civile nonviolenta presso il ministero della Solidarietà, che dovrebbe resistere alla caduta del governo Prodi; la creazione di un tavolo permanente presso il ministero degli Esteri per il servizio civile internazionale, che però molto probabilmente decadrà insieme al governo". Fra i risultati particolarmente negativi, Ferrero annovera il forte aumento delle spese militari (v. Adista nn. 83/06,2 e 77 /07), spiegato con la stretta interconnessione fra produzione militare e civile: la presenza e la produzione militare serve purtroppo - dice il ministro - a rilanciare anche la produzione civile, soprattutto nelle relazioni commerciali con alcuni Paesi. "Usciamo quindi sconfitti dall'esperienza di governo - aggiunge Ferrero -. Pensavamo di poter incidere in maniera significativa sul governo, ma questo non è stato possibile. Temo quindi, anche per il futuro, che non ci siano più le condizioni per governare insieme alla sinistra moderata, pesantemente condizionata da un blocco di potere che orienta molte scelte, comprese quelle del complesso militare-industriale". Un argomento ripreso da p. Alex Zanotelli, secondo il quale "oggi la politica è incapace di governare perché deve obbedire ai potentati economico-finanziari. Non bisogna quindi illuderci che quando andiamo a votare eleggiamo dei rappresentanti in grado di prendere delle decisioni", conclude Zanotelli, che vede l'unica soluzione nei movimenti della società civile che si autorganizzano dal basso e fanno pressioni per ottenere qualcosa dall'alto e che rilancia l'appello "La politica che vogliamo", sottoscritto da numerose personalità dell'associazionismo (v. Adista n. 18/08). Una proposta che però non convince Raniero La Valle, secondo cui quello che è mancato a sinistra e che ha determinato la crisi di governo non è stato tanto Mastella quanto "una proposta politica che potesse assumere e superare le ragioni e le posizioni degli avversari". Non è sufficiente dire "obiettiamo al sistema" - come fa Zanotelli - ma è necessario "porre la questione in termini politici e di progettazione politica". Altrimenti, prosegue La Valle, il rischio è quello che paventa Ferrero o che suggerisce il comboniano: rimanere sempre all'opposizione. "Forse risolveremo il nostro problema, tranquillizzeremo la nostra coscienza, ma non affronteremo mai i problemi del mondo. E il nostro obiettivo - conclude - deve invece essere il mondo". Proprio in un'ottica di progettualità politica, sono emerse dalla tre giorni di Bolzano una serie di proposte per rilanciare l'obiezione al sistema militare e la difesa popolare nonviolenta. A partire dalla riproposizione dell'obiezione di coscienza all'interno delle Forze Armate professioniste, che al momento non è prevista dalla normativa vigente, nemmeno in forme sfumate, come precisa Diego Cipriani, per anni responsabile degli obiettori della Caritas Italiana e da poco - nominato da Ferrero - direttore dell'Ufficio nazionale per il servizio civile. A tal proposito Lidia Menapace, senatrice di Rifondazione comunista, segnala la proposta presentata al Senato da Silvana Pisa (Sd) e Fosco Giannini (Rc) e ora ripresa dalla Cgil che sta raccogliendo le firme per trasformarla in legge di iniziativa popolare - di portare il sindacato nelle Forze armate. "Un sindacato vero - spiega - non come i Cocer, guidati dagli ufficiali, che si configurano quindi come un vero e proprio 'sindacato giallo' stile Fiat anni '50 e '60". La sindacalizzazione delle Forze armate, aggiunge, potrebbe essere "un grimaldello per inserire elementi di antimilitarismo nella struttura militare" e "rompere il meccanismo assoluto del signorsì". Puntare invece sui "corpi civili di pace" (cioè l'interposizione nonviolenta in zone di conflitto praticata dai civili con i "caschi bianchi") "perché abbiano un riconoscimento politico-istituzionale" è l'obiettivo suggerito da Mao Valpiana, direttore del mensile Azione Nonviolenta. "I caschi bianchi - spiega - fanno emergere l'idea del superamento dello strumento militare dal momento che contengono in sé le istanze di difesa e di sicurezza - parole di cui dovremmo riappropriarci per non lasciarle del tutto in mano alla destra - ma anche dell'antimilitarismo", che rimane sempre e comunque "la radice ideale di tutto il movimento per l'obiezione di coscienza". Una proposta di riforma viene lanciata anche alla Chiesa cattolica, che ha avuto - dice La Valle - grandi responsabilità "nell'affermazione del principio di autorità e dell'obbedienza dovuta alla stessa autorità" sia civile che religiosa, mentre - ricorda Zanotelli - "fra i cristiani dei primi secoli il battesimo era addirittura inconciliabile con il militare": la rinuncia ai cappellani militari graduati e pagati dallo Stato. "Non si vuole negare l'assistenza spirituale ai soldati - dice don Luigi Ciotti - ma va detto con chiarezza che quelle stellette sono antievangeliche, e quindi non devono appartenere alla Chiesa".
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Venerdì, 14 Marzo 2008 19:39
Stop alla «rivoluzione bolivariana»: Chávez accusa il colpoStop alla «rivoluzione bolivariana»: Chávez accusa il colpo di Alessandro Armato «Non ci siamo riusciti, per ora». Ha ammesso la sconfitta il presidente venezuelano Hugo Chávez, all'indomani del referendum che doveva trasformare il Venezuela in una repubblica socialista. Anche se per stretto margine (poco più del 50 per cento), il 2 dicembre la maggioranza dei venezuelani ha detto no alla proposta di riforma di 69 dei 350 articoli della Costituzione del 1999. Per il momento, quindi, niente rielezione indefinita del presidente, niente ridefinizione della proprietà privata, niente divieto di privatizzare le aziende statali, niente riforma della Banca centrale, niente riduzione della giornata lavorativa da otto a sei ore, niente copertura sociale per i lavoratori informali, niente ratifica della «solidarietà tra i popoli nella loro lotta per l'emancipazione», niente promozione della «Confederazione e Unione dell' America Latina e del Caribe», eccetera. La rivoluzione bolivariana subisce una battuta d'arresto. È la prima volta in nove anni che il governo viene sconfitto. Ciò però non significa che Chavez getterà la spugna. TI presidente ammette di avere perso, ma solo «per ora». Tempo e potere per ribaltare il risultato non gli mancano, visto che rimarrà in carica fino al 2012, gode di un parlamento al 100 per cento in camicia rossa, dispone di una ley ha bilitante che gli concede poteri speciali e può contare su un prezzo del petrolio alle stelle. Un primo passo per capitalizzare la sconfitta Chávez lo ha già fatto, accettandola serenamente, mostrandosi il più democratico possibile agli occhi di un' opinione pubblica che iniziava a guardarlo con sospetto. E l'opposizione, comunque, ad uscire rafforzata. Un'opposizione che ha trovato nel movimento studentesco nuova linfa vitale. Cresciuto all'ombra delle istituzioni educative più prestigiose, tradizionalmente frequentate dalle classi sociali medio-alte («riccaccioni» e «figli di papà», nel colorito linguaggio di Chávez), gli studenti antichavisti si sono imposti all'attenzione pubblica quando sono scesi in piazza per protestare contro il mancato rinnovo della concessione al canale televisivo Rctv. Uno dei suoi leader è Yon Goicoechea, studente di diritto all'Universidad Catolica Andrés Bello, ateneo gesuita. La Chiesa ha pesato nella sconfitta del «sì». Le alte gerarchie – che Chávez ha minacciato di incarcerare, definendole «il demonio» - sono state sostanzialmente compatte nel rifiutare la proposta di riforma costituzionale. Ma anche settori della Chiesa tradizionalmente non del tutto osti li al chavismo, come i gesuiti del Centro Gumilla e della rivista Sic, sono stati molto critici. Solo una base di «preti chavisti» l'ha sostenuta apertamente e acriticamente. Adesso si intravedono due possibili scenari: l'inizio di un processo di dialogo e riconciliazione, che potrebbe sfociare in una collaborazione tra chavisti e oppositori nella trasformazione del Paese; oppure un radicaIizzarsi delle posizioni. Chávez potrebbe tentare di imporre ugualmente molte delle riforme costituzionali, utilizzando i poteri speciali che gli concede la ley habilitante. E non è escluso che l'opposizione, rinvigorita dal referendum, possa premere perché Chávez abbandoni il potere prima del tempo. Il risultato del referendum apre nuovi scenari anche sul piano politico continentale. In particolare sorgono una serie di interrogativi sul futuro dei processi costituenti in corso in Bolivia ed Ecuador, due Paesi allineati politicamente con Chávez. Negli ultimi vent'anni - sia detto di passaggio - convocare assemblee costituenti è diventata una moda in America Latina. Nel 1984 è accaduto in Nicaragua, dopo la vittoria elettorale dei sandinisti; nel 1991 in Colombia, per suggellare la pace con la guerriglia dell'M19, nel 1992 in Perù, con Fujimori; nel 1994 in Argentina, con Menem; nel 1997 in Ecuador, dopo la rinuncia di Abdahi Bucaran; nel 1999 in Venezuela, in seguito all'arrivo al potere di Hugo Chávez. I casi della Bolivia, nel 2006, dopo l'arrivo al potere di Evo Morales, e nel 2007 dell'Ecuador, dopo l'elezione di Rafael Correa, sono soltanto gli ultimi di una lunga lista. In Ecuador, Alianza Pais, il movimento politico del presidente Correa, ha la maggioranza assoluta nell' Assemblea costituente e può cambiare radicalmente il modo di governare il Paese. I lavori della nuova Assemblea sono iniziati lo scorso 29 novembre nella città di Montecristi. I deputati hanno 180 giorni di tempo, con una proroga massima di 60, per redigere una bozza di Costituzione che dovrà poi essere sottoposta a referendum nel 2008 (cfr.M.M., dicembre 2005, pp. 70-73; M.M., agosto-settembre 2007, pp. 65-67). Come annunciato, dato che Alianza Pais non ha rappresentanti in parlamento, la prima mossa dell' Assemblea costituente è stata quella di sospendere l'attività del parlamento unicamerale, definito «corrotto e incompetente», le cui funzioni sono state assunte dall'Assemblea stessa. Il passo successivo dovrebbe essere aumentare il controllo dello Stato sull'economia. Correa concepisce le sue proposte come un modo per restituire potere al popolo - quella che lui chiama revolución ciudadana -, mentre l'opposizione vede in tutto questo un disegno del presidente per concentrare ulteriore potere nelle sue mani. Più complicata e drammatica, invece, appare la situazione boliviana. Il presidente Morales voleva un'Assemblea costituente che «rifondasse» il Paese. Ma l'anelito al cambiamento, duramente contrastato da un'opposizione razzista e separatista, ha portato la Bolivia sull'orlo di una guerra civile. L'Assemblea costituente boliviana, dopo mesi di paralisi dovuta alla disputa tra Sucre e La Paz su quale città dovesse essere la capitale, lo scorso 24 novembre ha approvato «in grande» - solo con la lettura dell' indice - la nuova Carta magna, in una sessione in cui l'opposizione non si è presentata. I membri della Costituente hanno lavorato asserragliati dentro il liceo militare di Sucre, mentre fuori echeggiavano vibranti proteste che hanno causato quattro morti e centinaia di feriti. L'opposizione ritiene il testo illegale e ha iniziato la «resistenza civile». «Un' Assemblea costituente in una caserma e senza la presenza dell'opposizione non sarà mai accettata dal popolo», ha avvertito Branco Marinkovic, presidente del Comitato civico di Santa Cruz, la capitale dell'opposizione. Restano comunque da approvare i singoli articoli della nuova Costituzione, che contempla una riforma della terra e la nazionalizzazione delle risorse naturali. Perché il testo venga approvato, servono i due terzi dell'Assemblea costituente. MoraIes non li ha ed è obbligato cercare accordi con l'opposizione. Ma cosa accadrà se l'opposizione si rifiuta di dialogare?
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