Perché mio Dio?
di Philippe Julien *
Ogni essere umano è stato un bambino, che un giorno ha fatto l’esperienza dell’abbandono.
La sofferenza provocata dall’abbandono, era chiamata da Freud Hilflosigkeit, sentimento di abbandono, di separazione, di solitudine estrema.
È questa un’esperienza che può arrivare molto precocemente: coricato nel suo letto, il bambino chiama la mamma piangendo e gridando. Essa non arriva. Si chiede allora perché, ogni volta che ha gridato, di giorno e di notte la mamma è arrivata e adesso invece no, è il vuoto, l’abisso senza fondo. Che cosa egli è dunque per lei? Un nulla. Un nulla perché è di troppo? A queste domande non sa dare risposta…
La stessa cosa può accadere anche più tardi, quando il bambino sa già camminare. Il papà gli ha detto: "aspettami due minuti, arrivo subito, usciremo insieme". Il bambino aspetta, aspetta, ma il papà non arriva. Cerca in tutte le stanze della casa, non c’è nessuno. La disperazione dura a lungo e non ha risposta!
Tre vie
Come conseguenza a questa sofferenza, in età adulta, si possono aprire parecchie strade, per riuscire in qualche modo a superarla.
- Partendo da lontane esperienze di abbandono, l’essere umano si applica sempre più a colmare il vuoto che ha in sé, a fuggire l’abisso, partecipando attivamente alla vita sociale con il lavoro, con occupazioni utili che riempiono la giornata. Mettersi a servizio di se stessi e degli altri, assorbe l’essere umano in maniera completa, nel fisico e nella mente. E questa attività non si arresta mai: persino la notte, i sogni e gli incubi popolano il sonno. Come una macchina che procede senza arrestarsi mai. A volte si può trovare un qualche aiuto nel fumo e nell’alcool.
- Altra via: invece di fuggire l’abbandono, ecco che il soggetto, un certo giorno decide di affrontare sé stesso. Lascia che le sue esperienze precedenti di vuoto ritornino in lui; si apre a nuovi incontri; il lavoro non è più per lui un rifugio, e dà finalmente spazio ai piaceri, alle vacanze, alla gratuità delle cose! Non vi è più per lui, un passato da negare o un avvenire da prevedere, ma c’è solo il presente con la sua attualità. È come fare il vuoto in sé stesso: il senso di abbandono scompare, lasciando il posto ad un sentimento di pienezza. È un vuoto che dà la pace, è quello che viene definito "sentimento oceanico": ricevere ed essere ricevuti, accogliere ed essere accolti.
- Prima o poi, ecco che un giorno questo cambiamento viene meno, e si apre una nuova strada. L’accoglienza dell’Altro – ogni persona che si incontra – si apre su di un nuovo vuoto, non quello vecchio dell’infanzia, ma un vuoto diverso, questa volta da accettare, per aprirsi ad un nuovo avvenire. Questo "nulla", è in effetti creatore. È a partire dalla mancanza e dall’assenza, che un giorno il soggetto inventa e crea qualcosa di nuovo. È a partire dalla pagina bianca che la scrittura si evidenzia, con tracce e segni. Non è senso di pienezza che permette di riempire il vuoto, ma la scoperta di una alterità, che non è riconducibile a nulla, che mi sfugge e verso la quale io avanzo. Ma come è possibile avanzare, se non si trova risposta alla propria domanda: "Perché mi hai abbandonato?"
Gesù, davanti all’enigma
Nei vangeli si legge che Gesù, sulla croce, poco prima di morire, ha fatto la stessa domanda. Egli, si sente abbandonato, e non conosce né la ragione né il senso di questo abbandono, poiché sa che Dio è onnipotente e pieno d’amore. Gesù prende coscienza del suo non-sapere e chiede una risposta. Ecco la novità di questa posizione: molto spesso, quando l’altro ci abbandona, noi pretendiamo di sapere il perché e ci diamo una duplice spiegazione: o è perché lui (o lei) mi tradisce per cattiveria oppure perché, a causa di una mia colpa, ha dovuto punirmi abbandonandomi.
La posizione di Gesù è completamente differente, in quanto egli riconosce l’enigma del desiderio dell’Altro, Altro diverso da sé. Ci trasmette così il potere di essere come lui, cioè di stabilire un rapporto con Dio per mezzo dell’interrogativo "Perché?". In effetti, dinanzi all’enigma, siamo tentati di sottrarci con il silenzio. Gesù ci apre un’altra strada, quella dell’interrogazione del vuoto. "Dio mio, Dio mio, perché?" In cambio, quale risposta riceviamo? Non una risposta al "perché", ma ci viene dato il potere di entrare nel mistero del desiderio di Dio. Per esempio, se Dio ha scelto il popolo di Israele come luogo della sua Rivelazione e della sua Incarnazione, non è in ragione della grandezza delle sue opere, ma è così perché è così. Questa è la legge del desiderio.
Non discutere con Dio
San Paolo ha ben chiarito questo concetto nella sua lettera ai Romani (Rom 9, 11-12). Parlando dei due fratelli, Giacobbe e Esaù, Paolo commenta così: "[…] prima della nascita dei fanciulli, quando non avevano fatto né bene né male, affinché rimanesse fermo il disegno di Dio scelto con libera elezione, senza riguardo alle opere, ma per volere di Colui che chiama, fu detto [a Rebecca]: "Il maggiore sarà soggetto al minore" come sta scritto: "Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù". Cosa diremo dunque, che c’è ingiustizia in Dio? No certo". E Paolo conclude: "[Dio ]usa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole. Ma tu mi dirai: E perché allora muove rimproveri? Chi può resistere alla sua volontà? O uomo, piuttosto, chi sei tu che vuoi discutere con Dio? L’oggetto plasmato chiederà forse a chi l’ha plasmato: "Perché mi hai fatto così?". Così Paolo ha saputo interpretare l’invocazione di Gesù sulla croce: "Perché?".
La posta non è dunque nella disputa, ma nell’incontro con l’enigma della scelta di Dio; essa chiede che si esca dal silenzio e che si chieda: "Perché?". Questa è la strada che Gesù ci apre, quando piombiamo nella disperazione, nell’abbandono e nella desolazione.
(* psicanalista, autore di numerose pubblicazioni e membro del comitato scientifico di Biblia).
(Tradotto da M. Grazia Hamerl da Biblia n° 15).