Vita nello Spirito

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 62

Sabato, 26 Giugno 2004 11:20

Separazione difficile (Marie Romanens)

Vota questo articolo
(0 Voti)

Non vi è nulla di anormale nel sentirsi tristi quando un figlio ci lascia, perché ciò significa che ci si trova a superare una nuova tappa, quella della separazione, che implica inevitabilmente una sensazione di perdita.

Elisabeth ha una famiglia numerosa, ed ora i figli più grandi cominciano ad allontanarsi. Questa nuova fase della sua vita, la scombussola, soprattutto ora che il suo figlio primogenito deve passare un anno negli Stati Uniti per un corso di perfezionamento. "L’idea che se ne vada così lontano provoca in me crisi di pianto, sono assalita dai pensieri più neri e penso di non servire più a niente! Abituata a guardare in sé stessa, grazie ad un cammino di introspezione psicologica che ha intrapreso da parecchi anni, si chiede se la sua reazione non sia eccessiva e finanche un po’ morbosa. In realtà, non vi è nulla di anormale nel sentirsi tristi quando un figlio ci lascia, perché ciò significa che ci si trova a superare una nuova tappa, quella della separazione, che implica inevitabilmente una sensazione di perdita. È finito il tempo in cui il bambino dipendeva da noi, aveva bisogno delle nostre cure e della nostra protezione, il periodo in cui la nostra vita era, almeno in parte, animata da scambi affettivi che poi, nel periodo dell’adolescenza, hanno assunto un carattere spesso tempestoso. Tutti sanno quanto un giovane possa sentirsi scombussolato e inquieto, nel momento in cui si annuncia in lui l’esigenza di diventare un essere autonomo. Questo passaggio dall’infanzia alla maturità, avviene attraverso angosce e turbamenti. Il taglio del cordone ombelicale avviene coinvolgendo in diversa misura figli e genitori, i quali ultimi, si troveranno a soffrire anch’essi per la separazione e per lo squilibrio che si creerà in seno alla famiglia.

I genitori devono dunque guardare in loro stessi e ripercorrere interiormente il loro cammino, chiedendosi se sono riusciti a metabolizzare i lutti e le separazioni, se sono venuti fuori dalla loro infanzia, stabilendo rapporti corretti con gli adulti, se sono riusciti a liberarsi del loro passato tanto da potere godere della crescita dei loro figli… Queste domande, che comportano una presa di coscienza, spesso fanno soffrire, riaprono ferite, e mettono in crisi. È questa, per i genitori, l’occasione per verificare la solidità della loro autostima e della loro identità, in un momento in cui la crescita dei figli pone fine ad una loro importante funzione. È il momento di verificare se sono capaci di essere indipendenti, non restando abbarbicati ai loro figli, cercando altri centri di interesse, intraprendendo nuovi progetti da realizzare.

Elisabeth non respinge la realtà dell’allontanamento del figlio e la prossima partenza anche degli altri, ma prova una gran pena. In questo caso, si trova a confrontarsi con la mancanza di stima verso se stessa.(non servo più a nulla, non interesso più nessuno), che le proviene dal fatto di essere stata poco considerata dai genitori nella sua infanzia. Ma nello stesso tempo la capacità di riconoscere e accettare la realtà dei fatti, le permette di non porre ostacolo alla separazione, ma addirittura le consente di provare una certa fierezza davanti alla conquista dell’autonomia dei suoi "figli grandi".

I genitori che non hanno questa capacità e che, senza rendersene conto vogliono tener legati a sé il loro figlio, ne ostacolano o addirittura ne impediscono la crescita, anche se egli, in un modo o nell’altro si allontana fisicamente.

A giudicare dal gran numero di persone che ricorrono alla psicoterapia per rimettere in cammino un processo di maturazione bloccato, il problema è più frequente di quanto non si pensi.

Un altro caso è quello di Matteo che, a quarant’anni manifesta una difficoltà persistente a vivere lontano dai genitori: ogni volta che cerca di intraprendere una sua strada e realizzare un progetto che gli sta particolarmente a cuore, è preso da angosce profonde, che lo paralizzano: una cosa è chiara, non avevo diritto di distinguermi dai miei genitori, per esempio, potevo avere un gatto, ma solo perché loro ne avevano uno; mio padre si mostrava geloso ogni volta che intraprendevo qualche cosa che lui non aveva potuto realizzare. La mia crescita si è arrestata al momento della adolescenza.

Marie Romanens

(Tradotto e adattato da M. Grazia Hamerl da Actualité des Religions n°41)

 

Letto 2245 volte Ultima modifica il Lunedì, 24 Febbraio 2014 17:25

Search