Vita nello Spirito

Martedì, 16 Marzo 2010 21:12

L'Eucaristia, Scuola della Carità (Dom Bernardo Olivera, o.c.s.o.)

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L'Eucaristia costituisce la fonte e il culmine della Scuola dell'amore cristiano e monastico. Non è possibile per noi amare come Cristo ci ha amati, se non ci alimentiamo a questa sorgente divina... Non c'è Eucaristia senza amore e non c'è amore senza Eucaristia.

Spiritualità Monastica

L'Eucaristia, Scuola della Carità

di Dom Bernardo Olivera, Abate Generale o.c.s.o.

 La misericordia del Padre ci offre un'altra opportunità perché continuiamo a conformarci al Figlio Suo Gesù Cristo. Quest'anno ha qualcosa di particolare per ciascuno di noi. Sarà l'occasione, questa volta, di valutare ed arricchire la nostra esperienza comunitaria della Schola Charitatis, scuola di carità.

L'Eucaristia costituisce la fonte e il culmine della Scuola dell'amore cristiano e monastico. Non è possibile per noi amare come Cristo ci ha amati, se non ci alimentiamo a questa sorgente divina... Non c'è Eucaristia senza amore e non c'è amore senza Eucaristia.

Ora, la Schola Charitatis si edifica sul precetto dell'amore di Dio e del prossimo e tutto in essa è orientato a questo fine. La finalità della «scuola del servizio divino» che è la Regola redatta da San Benedetto, è «la conservazione della carità» (RB, Prol. 47); o, come direbbe l'abate di Chiaravalle, «aumentare e conservare la carità» (Prae 5). Per i nostri Padri Cistercensi, la scuola della Regola è una scuola di Cristo, e in essa si impara l'amore del prossimo, effetto e prova dell'amore di Dio (cf. Bernardo, Div 121; Guglielmo, NatAm 24 26). Per questo, le nostre Costituzioni presentano la vita cenobitica come una scuola di carità fraterna (C 3,1).

Tutta la nostra formazione monastica si può sintetizzare nell'educazione dell'amore: suscitare la capacità di essere dandosi  e ricevendo, essendo soggetto ed oggetto di amore. Ogni metodo educativo presuppone una dottrina e una pratica. San Benedetto, uomo pratico, non si dilunga in teorie, ma ci insegna ad amare amando. Il capitolo 72 della sua Regola può essere compreso in questa luce: come un insieme di massime sull'amore del prossimo, da mettere in pratica.

La quarta massima dello zelo buono emerge dalle altre per un duplice motivo: la sua struttura è diversa e sembra occupare il posto centrale. Essa recita così: «Nessuno cerchi l'utilità propria, ma piuttosto l'altrui» (RB 72,7). Si tratta di un'espressione tipica dell'amore cenobitico. Essa sarà l'oggetto di questa lettera. Si impongono tuttavia alcuni preliminari.

1. Personalismo cenobitico

Ciascuno di noi possiede una teoria sull'essere umano. Poco importa se la chiamiamo antropologia, teoria della personalità o principi dello sviluppo umano e personale: che ne siamo coscienti o no, tutti abbiamo elaborato un insieme di idee sulla nostra propria realtà umana. Numerosi e vari sono i fattori che vi hanno contribuito: letture, esperienze, relazioni, persone significative, interessi personali, successi e insuccessi, lo scorrere della vita. Poco importa se la nostra «antropologia» è implicita o articolata, sia come sia, la sua influenza è onnipresente nelle nostre vite. Di più oserei quasi dire che le «antropologie» si muovono nell'aria e tutti ne respiriamo. Dubitiamo forse dell'influenza della psicologia del profondo, delle teorie del comportamento, delle concezioni umaniste ed esistenziali nelle società nord-occidentali e al di là di esse?

La spiritualità cistercense, fin dai suoi stessi inizi, si fondava su di una solida dottrina sull'essere umano come base e sostegno della ricerca di Dio e dell'unione con Lui nell'amore. Numerosi trattati De Anima provano questa affermazione.

In diverse opportunità e contesti, ho richiamato l'attenzione sulla necessità di avere un modello antropologico di stampo personalista e cenobitico, sul quale poggiare la nostra vita monastica nell'oggi in cui viviamo. Alcune persone e regioni hanno già offerto risposte teoriche ed esperienziali davanti a questa necessità.

In forma più che semplice, offro anch'io un abbozzo di risposta sottoforma di guide. Forse avranno poco sapore, ma non mancheranno di senso; se volete, si possono chiamare sentenze. Si avvertirà in esse una doppia carenza: una visione più femminile della realtà e l'apporto imprescindibile della pluriculturalità. Desidero comunque fondare su di esse la dottrina evangelica e cenobitica sul buon zelo, che cerca ciò che è utile, proficuo e giova all'interesse degli altri più che al proprio.

A. Persona - personalizzazione

- È proprio di Dio essere tri-unità di persone; il fatto di essere «persona» è segno eminente dell'immagine di Dio nell'essere umano.

- Essere persona ad immagine di Dio comporta esistere in relazione agli altri, come unità di due e più persone, gli uni per gli altri.

- Solo Dio e la persona umana sono capaci di vivere in comunione. Il Noi divino è modello eterno del noi umano.

- Dio non è l'Altro senza un Tu che per noi stia a fondamento di qualsiasi altra relazione.

- La persona umana trova il proprio modello in Cristo, persona divina incarnata e umanizzata.

- La persona è:
- uno in relazione;
- autonomia per l'interdipendenza;
- autopresenza che comunica e accoglie presenza;
- coscienza e libertà per amare nella verità;
- uno per tutti e tutti per uno.

- Essere:
- padrone di sé donandosi agli altri, ricevendo e condividendo l'esistenza;
- capace di comunione e comunità con Dio e con gli altri;
- disporre di sé per rendersi disponibile e mettersi a disposizione.

- L'«io» si personalizza mediante il «tu» e il «loro» in contesti storici, sociali, culturali, politici e religiosi determinati e concreti: se non fosse per tutti, saremmo nulla e nessuno.

- Il nostro essere personale acquista densità nella distensione del dialogo intimo, la comunicazione franca e l'azione comune: l'amore, la parola e la cooperazione creano e sostengono le relazioni reciproche e personalizzanti.

- Il processo di personalizzazione si fonda sulla nostra autonomia personale aperta all'interdipendenza con gli altri.

- Siamo autonomi per la nostra individualità (un io capace di vivere con) e la nostra autenticità (poter essere se stessi vivendo con).

- Siamo interdipendenti per l’autodonazione al servizio della comunione e di un progetto comune.

- L'interdipendenza fa in modo che io e tu diventiamo noi e che ciò che è mio e ciò che è tuo diventino «nostro»; essa si irrobustisce e si arricchisce mediante:

- l'obbedienza: libera relativizzazione dell'autonomia in favore della comunione con Dio e con i fratelli, perdere se stessi per trovare se stessi;

- il mettersi in secondo piano: libero mettere da parte ciò che è proprio e individuale in favore della filiazione divina e della fraternità umana: morire per vivere.

- L'essere umano donna sembra più aperto all'interdipendenza dell'uomo; questi è più proclive all'autonomia; tale differenza di accentuazione si ritrova nelle diverse culture.

B. Libertà - liberazione

- La libertà autentica è anche un segno eminente dell'immagine divina nell'essere umano; essa affonda le radici nella nostra condizione personale e in essa si radica la nostra dignità di persone umane.

- Nessuno è più libero di Cristo, il quale visse donando la sua vita per riunire quanti erano dispersi.

- La libertà poggia sulla verità e tende verso il bene e la comunione; essa implica la capacità di disporre di noi stessi per:

- essere noi stessi e raggiungere la nostra identità
- realizzarci e costruire il nostro proprio destino;
- tendere al fine con la scelta libera del bene;
- costruire la comunione a quattro livelli diversi, reciprocamente collegati:

1. con Dio: come figli,
2. con il prossimo: come fratelli,
3. con la creazione: come padroni,
4. con la storia: come con-protagonisti.

- La nostra libertà si caratterizza per il fatto di essere una realtà:
- in situazione geografica, storica, culturale, genetica, sociale, economica...
- la nostra libertà è reale, ma è situata o delimitata e non incondizionata e assoluta;
- esiste solo interpellata dalle circostanza e per questo può essere responsabile.

- Davanti a Dio: ogni atto libero si dice riferimento alfine ultimo.

- La libertà più liberata è quella che più rettamente tende alfine ultimo che è Dio.

- La libertà si riferisce al bene per se stessa e naturalmente, si riferisce al male per difetto e contro natura.

- Soltanto l'onnipotenza divina del Creatore può creare un essere capace di dire sì o no al suo Creatore.

- Verso ciò che è definitivo, ciò che è irripetibile e irrevocabile:
- per giungere ad essere «qualcuno» bisogna poter optare liberamente e definitivamente per qualcosa e per qualcuno;
- siamo solamente «qualcosa» quando non optiamo fedelmente per qualcuno;
- un impegno è tanto più umano e personale quanto più è fedele e perpetuo;
- senza impegno e senza fedeltà, non c'è libertà matura.

- Inglobante: più che esseri liberi, abbiamo delle libertà ed è necessario che tutti siano liberi e abbiano delle libertà.
- Sono libero se, anche, godo di libertà religiosa, morale, politica, economica...
- Diminuisce la libertà personale, quando diminuisce la libertà sociale.
- Siamo meno liberi quando tutti e ciascuno sono meno liberi.
- La lotta per le mie libertà è autentica, quando comporta la lotta per le libertà di tutti.
- La rinuncia a qualche libertà si giustifica per l'aumento della libertà degli altri.
- La libertà senza ordine è anarchia, e l'ordine senza libertà è dittatura.

- In tensione: costituita da coppia di tensioni.
- La libertà è un dono: è una grazia di apertura esistenziale a tutto ciò che esiste.
- Ed è anche un compito: dobbiamo giungere ad essere liberi liberandoci continuamente, superando l'opposizione tra determinismi e capacità, limiti e possibilità.
- Siamo liberi: capaci di operare per convinzione interna, sapendo e volendo ciò che facciamo.
- In più, abbiamo delle libertà: religiose, morali, politiche, economiche, come contenuto del nostro essere liberi.
- Siamo liberi da: determinismi assoluti.
- E siamo anche liberi per costruire la comunione facendo la verità nell'amore.

- La libertà piena è sempre una libertà di consenso e non di opzione: non è più libero chi sceglie di più ma chi più aderisce.

- L'essere umano donna sembra essere più consenziente dell'essere umano uomo, quest'ultimo sembra focalizzarsi di più sulla gamma delle opzioni.

C. Amore - amare

- Dio è amore perché è donazione e accoglienza totale ed eterna; creati ad immagine di Dio, siamo stati creati per amare.

- Nella morte e risurrezione di Cristo, troviamo l'esempio più completo dell'amore per il Padre e del Padre.

- Nulla è più importante di amare; è più importante amare che vivere, perché vivere senza amore non è vivere, ma morire. Si vive perché si ama e si vive per amare. L'amore è vita di chi muore e morte di chi vive.

- Amando, l'essere umano trova se stesso, nella sua identità più profonda, come Amante.

- Amare è:
- estendere i confini del proprio per rinascere come persona: io, tu, noi;
- affermare che uno più uno, è uno e che l'io e il tu non si sommano, ma si moltiplicano;
- convinzione e oblazione più che emozione;
- dare e ricevere ciò che non si compra né si vende, ma si regala e gratuitamente si riceve;
- dono si sé, darsi più che dare, darsi dando... e senza smettere di dare;
- volere il bene dell'altro e fargli del bene;
- affermare l'altro come degno e unico e irripetibile.

- L'affermazione dell'amore differisce nelle sue forme, può essere:
- materna: è misericordiosa e naturalmente incondizionata, in essa predomina l'affettivo.
- paterna: è vera e spontaneamente condizionata, accentua ciò che è effettivo.
- fraterna: è universale e amichevole, sottolinea ciò che promuove.
- erotica: eterosessuale e tende verso ciò che è carnale, predomina l'unitivo e possessivo.
- divina: è assoluta e dono gratuito; da parte di Dio sottolinea l'aspetto oblativo e da parte nostra l'aspetto recettivo.

- L'amore fraterno è un amore fondamentalmente promozionale, nasce da tre atteggiamenti, reciprocamente collegati:
1. sollecitudine: dedizione affettiva ed effettiva in favore della vita e della crescita del prossimo;
2. responsabilità: risposta libera, generosa, diligente, di fronte alle necessità degli altri.
3. rispetto: visione attenta e delicata degli altri, così come sono e non come io vorrei che fossero.

- L'amore fraterno include anche la misericordia e l'affetto materno, il carattere veritiero ed effettivo di quello paterno e può crescere infinitamente in gratuità e incondizionalità, quasi come Dio ci ama.

- La donna rivela l'uomo, più di quanto l'uomo riveli la donna; l'uomo è umano nella misura in cui si ama ed è amato, nella misura della sua donazione e accoglienza.

2. L'interesse degli altri

Spero che le guide e le sentenze precedenti servano per inquadrare antropologicamente la dottrina dell'amore cenobitico che desidero presentarvi. Passiamo ora all'insegnamento di Benedetto: «Nessuno cerchi l'utilità propria, ma piuttosto l'altrui».

Questa massima sull'amore disinteressato e oblativo, come le altre otto massime, incarna concretamente il buon zelo o amore ferventissimo proprio di un cuore dilatato dalla dolcezza inenarrabile dell'amore. E questa permette anche che il cuore si dilati, arda e si riscaldi di fervore. Questo amore è qualcosa di molto diverso dal fervore iniziale o del novizio. Esso è inoltre compatibile con il fatto di sentirsi e giudicarsi «un povero monaco», «un numero qualsiasi della comunità», però non lo esercitano né lo esperimentano coloro che vivono vegetando e sciupando il loro giorni nella mediocrità.

La pratica di questa forma specifica di buon zelo, allo stesso modo della pratica dell'umiltà, purifica dai vizi e dai peccati e conduce anche a Dio, come la pratica dell'obbedienza e le cose dure e aspre della conversatio monastica.

Di più: dato che soltanto Cristo ci introduce nel cielo, possiamo dire che l'esercizio fervido dell'amore, che cerca solamente l'interesse altrui, ci conforma a Cristo, il quale cercò il nostro bene e non il suo proprio, e ci introduce tutti insieme nel Regno dei Cieli.

Il Patriarca del cenobitismo trova un modello anche nell'apostolo Paolo: «Vedete come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare l'utile mio ma quello di molti, perché giungano alla salvezza» (1 Cor 10,33) e lo stesso apostolo che cantò: Charitas non quaerit quae sua sunt (1 Cor 13,5) non si stanca di raccomandare: «Nessuno cerchi il proprio interesse, ma quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù ...» (Fil 2,4; cf. 2, 21).

È facile rendersi conto che a questo insegnamento soggiace anche il modello della comunità primitiva di Gerusalemme: «Stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune [...]. La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola» (At 2, 44; 4, 32).

La massima di cui ci occupiamo non trova paralleli diretti nella Regola, tuttavia possiamo dire che tutta la Regola è destinata ad educarci a vivere questo amore disinteressato.

I paralleli più significativi sarebbero: «Rinunziare interamente a se stesso per seguire Cristo» (4,10), «Odiare la propria volontà» (4,60); «Si prestino a gara obbedienza reciproca» (72, 6); «Nulla assolutamente antepongano a Cristo» (72,11; cf. 4,21). Forse si ricollega anche a ciò che viene detto a proposito dell'abate: «Sappia che è suo dovere più il giovare che il comandare» (64,8).

Senza pretendere di fare l'esegeta, vediamo con maggior attenzione quattro parole che ci sembrano centrali nel testo di San Benedetto:

- Nullus (nessuno): Tutti vi sono inclusi, senza nessuna eccezione. Benedetto usa lo stesso termine in 3,8, dove sembra essere escluso l'abate.

- Utile: Si tratta di un bene fisico - materiale utilizzabile con profitto, ma anche di beni morali e spirituali (cf. 33,2; 42,4).

- Sequatur (seguire, cercare): Caratterizza la scelta di un valore (cf. Prol. 7,17; 3,7; 4,10; 5,8) o il non seguire, non scegliere un controvalore (3,8).

- Magis (Piuttosto): Esige un giudizio di valore e un'opzione cosciente e libera, proprio di una persona responsabile che usa la sua ragione (e non si muove solo per passione). La scuola del servizio divino è un luogo per crescere nella libertà e nella coscienza personale.

Ma diamo la parola ad un autentico interprete di S. Benedetto e della sua Regola: S. Bernardo, Abate di Chiaravalle. Ci dice Bernardo: poiché Dio è carità, proprio per questo Egli ci ama per primo e poiché ci ama per primo, ci ama gratuitamente e in modo disinteressato. Così dobbiamo amare anche noi! (Dil). Non c'è da meravigliarsi allora se Bernardo più di 90 volte cita nelle sue opere i testi paolini menzionati sopra.

Più dettagliatamente, il Chiaravallense ci insegna che la carità è la legge immacolata del Signore perché non cerca ciò che è utile per se stessi, ma per gli altri (Dil 35). Per questo stesso motivo, la carità è «luce» e «purezza» (SC 63, 8). I «puri di cuore» sono coloro che non cercano il proprio interesse, ma l'interesse di Gesù Cristo, né ciò che è utile per loro stessi, ma per gli altri (Conv 32). Di conseguenza, la purezza di cuore consiste nel:
- cercare la gloria di Dio e servire il prossimo (Mor 10 = Ep 42,10),
- piacere a Dio e salvare le anime, nel fare del bene agli altri più che nel presiederli (adAbbat 6; cf. Div 45, 5).

Tale amore gratuito e disinteressato, puro e giusto, caratterizza il terzo grado di amore, nel quale si ama Dio per Lui stesso e non per se (Dil 26): «Questa è la carità che non cerca il proprio interesse. Essa fa sì che il figlio non si preoccupi delle cose proprie, ma di amare il Padre. Il timore, invece, costringe il servo a cercare le comodità proprie, e la speranza spinge il mercenario ad un salario maggiore» (Div 3, 1).

Ma chi è prigioniero della "propria volontà», chi cerca soltanto il profitto personale, non dà gloria a Dio né è utile ai fratelli, (Pasc 3, 3), e potrà guarire soltanto con l'amore che non cerca il proprio (Asspt5,13).

Maria è il modello più sublime di questo amore. La Vergine si fece, con "carità inesauribile», «tutta a tutti» e debitrice di tutti (OAsspt 2). A nessuno più che a lei conviene ciò che Bernardo dice a proposito di coloro che sono morti a se stessi e vivi per gli altri: «Felice l'anima che si sforza di arricchirsi con abbondanza, raccogliendo questi aromi, li irriga con il balsamo della misericordia e li cuoce con il fuoco dell'amore. Chi credi che sia quest'uomo fortunato, se non colui che ha compassione e dà in prestito, incline alla compassione, sempre pronto ad aiutare, più contento di dare che di ricevere, disposto al perdono, lento all'ira, interamente incapace di vendicarsi, attento in tutto alle necessità altrui come se fossero proprie? Felice tu, chiunque tu sia, se questi sentimenti invadono la tua anima, impregnata dalla rugiada della misericordia, gonfia di compassione fino a che scoppino le sue viscere, fatta tutta a tutti, disprezzata da te stessa come un oggetto inutile, rivolta ad andare incontro agli altri per soccorrerli immediatamente in ogni circostanza, in una parola, morta a te stessa e viva per tutti» (SC 12,1).

3. Alcune Conclusioni

Spero di non avervi stancato con i paragrafi precedenti. Riconosco che sono stati densi e spero che anche siano stati ricchi, non perché sono miei, infatti non lo sono, ma perché derivano dai Padri.

Desidero ora tirare alcune conclusioni dalla dottrina esposta sopra: dico «alcune», poiché desidero che voi stessi ne tiriate le conclusioni. In sintesi, si tratta dei punti seguenti:

- La pratica dell'amore restaura l'immagine di Dio in noi e permette alla comunità di diventare icona della comunione trinitaria.

- La massima di S. Benedetto sul «cercare l'interesse o l'utilità altrui» sintetizza il senso della carità fraterna nella pratica e nell'esercizio; ma anche il senso ultimo dell'ascesi benedettino-cistercense, quale cammino verso la contemplazione di Dio.

- La visione di Dio è la ricompensa della beatitudine dei puri di cuore, cioè di coloro che non cercano il proprio interesse, ma quello di Cristo e del prossimo.

- Senza tale realtà di gratuità e disinteresse dimentico di sé per la promozione del prossimo, non è possibile una vita comune; ci troviamo alla sorgente stessa della vita cenobitica.

- Il processo di personalizzazione e liberazione personale passa attraverso un cosciente e libero mettere da parte noi stessi per servire e promuovere gli altri.

- Purtroppo, non mancano mai nei nostri cuori «mercenari e mercenarie» che commerciano in modo interessato con Dio e con il prossimo e nemmeno mancano «scapoli e zitelle» che sono diventati centri dell'universo, mettendo a parte Dio e il prossimo.

- Ancora peggio: «In ogni monastero (...) ci sono dei sarabaiti, cioè gli interessati (seipsos amantes, 2Tim 3,2) che cercano sempre il proprio» (Bernardo, 3 Sent 31).

- Cercare l'interesse degli altri è il rimedio più efficace e pratico contro la peste della spersonalizzazione e distruzione della comunità causata dall'individualismo.

- Si tratta di un amore che ci libera e decentra da noi stessi per centrarci nell'Altro e negli altri, ponendoci al loro servizio. Però, attenzione alle forme sottili che può assumere il porsi al centro: Cosa posso fare per amare gli altri? Meglio chiedersi: Di che cosa ha bisogno mio fratello e in che cosa gli posso essere utile?

- Non c'è maggior felicità del far felici gli altri. Ciò non significa tuttavia inventare delle necessità da soddisfare e auto-compiacersi.

È perdendosi che si ritrova se stessi: la propria vita si possiede... a partire dagli altri!

Sia questa la conclusione della lettera, ma non dell'amore! Voglia il Signore donarci il suo Spirito, affinché il rinnovamento del nostro spirito proclami a gran voce la novità del Vangelo, come contributo cistercense alla nuova evangelizazzione. Preghiamo dicendo: «O Signore mio Dio, “perché non annulli il mio peccato, perché non elimini la mia iniquità”, sì che, scaricatomi del grave peso della mia volontà, io possa respirare sotto il lieve peso della carità, e non sia incatenato dal timore dello schiavo, e non sia allettato dalla brama del mercenario, ma sia sospinto dal tuo Spirito, che è spirito di libertà, dal quale sono sospinti i tuoi figli, e riceva da esso testimonianza per il mio spirito, che sono anch'io uno dei figli, dato che ho la medesima legge che hai tu e anch'io esisto su questa terra come imitatore tuo». (S. Bernardo, Dil 36)

(Lettera circolare di DOM BERNARDO OLIVERA, Abate Generale o.c.s.o., 26 Gennaio 1996)

(da Vita nostra, n. 1, 2005, pp. 14-21)

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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