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Venerdì, 26 Novembre 2010 20:32

L’uomo nuovo in Gesù (Filippo Belli)

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Ormai sembra un ritornello: per Paolo l'uomo ha senso solo in riferimento alla novità costituita da Cristo. Senza di lui la condizione umana è la schiavitù; la partecipazione alla Pasqua di Cristo è la libertà.

L’uomo nuovo in Gesù

 di Filippo Belli *

 

Non si può comprendere la concezione che Paolo ha dell’uomo se non partendo dalla novità che si è affacciata alla sua vita e alla vita del mondo: Cristo. L'Apostolo non ha pensato in modo sistematico ad un'antropologia. Nelle sue lettere troviamo piuttosto le riflessioni e implicazioni che egli ha tratto dalla sua esperienza dell'incontro con Gesù Cristo.

L'incontro sulla via di Damasco con il Signore Gesù ha radicalmente trasformato la persona di Paolo, ed è in forza di tale esperienza che egli parla dell'uomo. Così è facile trovare nel suo epistolario espressioni che indicano che a partire da questo evento la storia umana, fin nelle sue profondità, è divisa in un "prima" e in un "ora" (Rm 6,20-22; 7,5-6; 11,30-31; Gal 1,13-17;4,8-9; 1Cor 6,11; Col 1,21-22; 3,7-8; Ef 2,1-6; 2,11-13). Il momento presente è segnato da Cristo: «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2Cor 6,2).

E’ a partire dunque da questo punto preciso della "pienezza dei tempi" (Gal 4,4), che Paolo comprende la situazione dell'uomo non solo del suo tempo, ma di tutti i tempi, giacché l'evento di Cristo è al contempo puntuale e escatologico assieme, cioè storico, determinato, ma anche definitivo ed eterno. Ed è quindi dalla "soluzione" che arriva a delineare la reale condizione dell'uomo.

L'uomo senza Cristo

Qual è la situazione dell'uomo "prima" di Cristo, ovvero senza Cristo (Ef 2,12)? La terminologia più frequente in Paolo è quella della schiavitù e del dominio (cf Rm 3,9; 6,14; 6,16-17.20; 7,20; 1Cor 6,12; 9,20; Gal 3,10.22.25; 4,3.21).

L'uomo, benché creato nella semplicità dell' obbedienza a Dio, è sotto il dominio del peccato: «Giudei e Greci, tutti, sono sotto il dominio del peccato» (Rm 3,9), oppure imprigionato sotto la Legge (Gal 4,21; 5,18) o alla mercé delle potenze spirituali (1 Cor 12,2; Gal 4,8; Ef 2,20). Questo vasto dominio, di cui l'uomo non si rende nemmeno conto (Rm 6,16), ha come conseguenza la morte: «A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato» (Rm 5,12; cf anche 6,23; 7,11.13; 1Cor 15,56).

Precisiamo che certamente per Paolo i singoli peccati favoriscono e alimentano lo stato di schiavitù, ma esso è determinato da una forza che pervade l'essere umano, se non malgrado suo, in ogni caso senza che egli possa da solo liberarsene («acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra», Rm 7,22-23). E nemmeno la Legge è in grado di sciogliere le catene che lo imprigionano («Infatti ciò era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente», Rm 8,3). Per questo l'Apostolo parla al singolare di peccato, quasi personificandolo, come di una potenza che ha invaso l'uomo e che lo destina alla morte (cf Rm 5,14.17.21; 6,12-14; 7,17.20; 1Cor 15,26.54-55).

L’uomo nuovo in Cristo

Il ribaltamento nella condizione umana avviene”in Cristo”,giacché egli è l’uomo nuovo(Rm 5,12-21; Ef 2,15;4,24;Col 3,10),avendo con la sua opera redentrice,in sé stesso,sconfitto il peccato e la morte.. La sua Pasqua è il sorgere di una nuova umanità.

Ma "in Cristo" significa anche la possibilità per ogni uomo di essere rigenerato a vita nuova. Il brano più eloquente a riguardo è Rm 6,4-11: «Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti [ ... ] così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione. [ ... ] Egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù».

La partecipazione alla vita di Cristo per la fede, tramite il Battesimo, ci rende "creatura nuova", uomini rigenerati in una "novità di vita" nello Spirito (Rm 6,4; 7,6; 1Cor 5,7; 2Cor 4,16; 5,17; Gal 6,15; Ef 4,23-24; Tt 3,4-5). L'efficacia di tale nuova creazione è data dalla trasformazione interiore ad opera dello Spirito liberato e effuso nei credenti nell'evento pasquale, efficacia che nessuna opera esterna, nemmeno quella della Legge può ottenere.

Se la condizione umana senza Cristo è quella della schiavitù, l'effetto principale della partecipazione alla Pasqua di Cristo è la libertà, come conseguenza della redenzione: «Cristo ci ha liberati per la libertà» (Gal 5,1). Il dono di grazia è la liberazione dal dominio del peccato e della morte, ma anche dalla Legge e dalla sua incapacità a rendere l'uomo libero.

Tale liberazione, operata in forza dello Spirito, ha come riscontro il poter vivere da uomini liberi. L'immagine più chiara della nuova situazione è quella del figlio. Nel Figlio siamo anche noi figli, quindi non più schiavi, ma liberi (Gal 4,6). Questa libertà permette al credente di vivere veramente per Dio. La libertà ottenuta è per il servizio di Dio, siamo giustificati (per usare un' altra immagine paolina) per vivere la giustizia (Rm 7,6; Gal 2,19). La cifra più alta poi di questa libertà è la capacità di amare. Liberi per amare, e in questo si riassume anche tutta l'etica paolina, ciò che propriamente realizza l'uomo (Rm 13,8-10; Gal 5,13-14).

 

Un necessario corollario

Le categorie utilizzate da Paolo sono comprensibili in questo contesto più ampio dell'opera che Cristo ha compiuto nel generare un uomo nuovo. Così i termini utilizzati sono connotati dall’esperienza della novità cristiana. E l'Apostolo non ha problemi a utilizzare categorie ebraiche, ma anche concetti greci, senza mai piegarsi a una esatta sistematizzazione. Il corpo è un concetto greco che Paolo utilizza in modo ebraico per indicare la totalità dell'uomo nella sua individualità, è un termine comprensivo di tutta la persona, tanto da usarlo sia in senso peggiorativo (corpo del peccato) come estremamente positivo (corpo di Cristo).

Il termine carne invece, preso dalla concezione ebraica, indica la persona nella sua fragilità, l'uomo intero determinato dalle tendenze naturali, quindi facilmente dominabile dal peccato, ma è proprio questa carne che è stata visitata dalla grazia di Dio. A questa si contrappone spesso lo spirito, che invece è l'uomo che si lascia abitare dalla grazia di Dio. Il cuore e la mente sono assimilabili in Paolo a indicare la persona nel suo aspetto conoscitivo e volitivo, è l'uomo che è in grado di percepire le cose, sia intellettualmente che emotivamente, e quindi anche le cose di Dio. Il cuore in particolare è l'uomo nella sua capacità di conoscere e aderire a Dio, di accoglierlo.

Più complessa è l'idea di anima, che assume dal pensiero biblico e denota la persona nella sua vitalità, sia biologica che intellettuale e volitiva, ma in modo naturale, essa esige per vivere pienamente di accogliere lo Spirito di Dio.

Tutta la ricchezza della riflessione antropologica paolina, che ancora oggi ci stimola e interroga, è data dalla luce dell'incontro con Cristo, il quale «svela pienamente l'uomo all'uomo» (GS 22).

 

* Facoltà di Teologia dell’Italia centrale, Firenze

( da Vita Pastorale, n. 6, 2009)

 

Bibliografia

Dunn J. D. G., La teologia dell'apostolo Paolo, Paideia 1999, Brescia, pp. 74-100; 112-146; 322-452; Fitzmyer J. A., "Teologia paolina: antropologia paolina". Grande commentario biblico, Queriniana 1973, Brescia, pp. 1865-1901; Schlier H., "Chiamati alla libertà. La concezione paolina della libertà". La fine del tempo, Paideia 1974, Brescia, pp. 247-265.

 

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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