«Seconda metà dell'esistenza:
senso e fecondità di una vita religiosa ritrovata»
Il tema proposto è suggestivo e ricco di interesse, perché tocca un concreto aspetto della realtà che stiamo vivendo - essere dono - e mi auguro che in ogni persona ci sia il desiderio di viverlo al meglio.
Ritengo che il punto di partenza, per poter raggiungere l'obiettivo, sia quello di aiutare ogni persona e ogni comunità a ritrovare la propria identità di donne/uomini, che hanno donato la loro vita a Cristo, per annunciare la volontà di Dio nel presente e nella situazione odierna, là dove ciascuno vive ed opera.
Siamo tutti consapevoli dell'importanza di avere il coraggio di trasformarsi, di cambiare, poiché viviamo in una situazione di smarrimento, di erranza, di incertezza, per cui diventa necessario ripensare l'intero impianto educativo-formativo sia per i giovani, sia per le persona di terza-quarta età.
Per iniziare un cammino di riappropriazione della propria vita e della propria scelta vocazionale è necessario fermarsi, guardarsi dentro, iniziare un viaggio nella vita interiore per cogliere la realtà profonda e per riprendere slancio e vigore.
Per tutti arriva il momento di lasciare le responsabilità e le situazioni di "potere" e di riconoscimento: se a parole si dice "finalmente", nel profondo si sperimenta la difficoltà di accettare che le persone della comunità facciano riferimento ad altri. È duro perdere il controllo delle situazioni e delle persone, accettare l'esperienza di morte rappresentata dalla fine di attività spesso frenetiche attraverso cui si dimostrava il proprio valore e la propria importanza.
Questo fatto crea un senso di vuoto, di abbandono e di tristezza. A volte si vivono momenti di aggressività e di collera, perché ci si sente messi da parte, sminuiti, poco riconosciuti e si diventa vittime dei nostri bisogni inconsci di centralità, di egoismo ed egocentrismo, di essere stimati, dimenticando di essere persone donate a Dio sempre, anche nei momenti di lutto e di cambiamento.
Nella terza età le forze calano, la salute è compromessa, la memoria si indebolisce: si è meno capaci di gestire i conflitti, si perdono gli amici ecc....
A volte ci si identifica ancora con le immagini archetipe, per esempio con l'immagine del salvatore e del soccorritore: si proiettano sugli altri i propri bisogni di essere soccorsi e salvati. È il periodo della crisi, della non accettazione, della ribellione: che fare? Iniziare a pensare, a riflettere sulla propria storia e ritrovare il senso di ciò che ci sta succedendo.
Il cammino verso lo spazio interiore passa attraverso la meditazione e il silenzio, ma anche attraverso le emozioni e le passioni. Posso per esempio combattere contro la paura; risveglio in me una così grande forza contraria che la paura mi preoccupa e mi assale continuamente.
Ma posso anche prendere la paura come guida verso la mia vita interiore. La paura che ho di fare figuracce mi conduce a comprendere che io tendo a definirmi a partire dalle idee che gli altri hanno di me; mi costruisco in base alle attesa degli altri.
Nel momento in cui la paura mi risveglia questo bisogno, essa mi conduce più profondamente nella profondità del mio cuore.
La mia rabbia, la mia inquietudine, il mio bisogno di riconoscimento, la mia invidia, la mia gelosia sono emozioni che possono condurmi verso l'interno di me.
Le guardo, sono dentro di me, non le reprimo, ma cerco di capire soprattutto che voglio imparare a gestirle e ad accettarle. Voglio imparare ad accogliermi con la storia della mia vita.
La prima scelta, che sta alla base della crescita umana, è quella di accettare se stessi, con i nostri doni e le nostre capacità, ma anche con i nostri limiti, le nostre ferite, i nostri sensi di colpa, le nostre nostalgie.
La crescita comincia quando superiamo il lutto di ciò che sognavamo di essere, quando accettiamo la nostra umanità, limitata, povera, ma anche bella.
A volte il rifiuto di noi stessi nasconde i nostri veri doni e le nostre vere capacità.
Un segno della maturità umana consiste nel rallegrarsi di ciò che si ha invece di lamentarsi di ciò che non si ha più e del tempo che passa inesorabilmente.
Nelle comunità religiose facilmente si nutre risentimento e rancore per le persone giovani, che ci hanno sostituito, che svolgono i servizi, in cui eravamo riconosciuti e spesso si critica per invidia l'operato di coloro che svolgono incarichi con modalità diverse.
Penso ai Superiori di comunità che devono gestire al meglio le dinamiche relazionali, ma soprattutto aiutare ogni persona a vivere la chiamata vocazionale sino al termine dei giorni, favorendo ogni persona nel vivere al meglio la propria vocazione personale e comunitaria. È altamente formativo favorire il dialogo comunitario dove ognuno ha la possibilità di raccontarsi, soprattutto di dire come sta vivendo, offrendo anche agli altri una possibilità di confronto e di crescita insieme.
Favorire relazioni positive nella comunità diventa allora un impegno educativo ineludibile di chi ha il compito di essere guida. Aiutare i religiosi a ravvivare il dono della chiamata significa far rinascere nel cuore la motivazione profonda e il senso del vivere: cambiano indubbiamente le modalità, ma non la bellezza della vocazione.
La motivazione iniziale va in qualche modo ricuperata: è importante, perché, secondo Allport (in Psicologia della personalità, LAS Roma) "la motivazione è quella condizione interna che induce una persona ad agire e a pensare".
Credo si debba stimolare la persona a ricuperare il significato profondo dell'ESSERE COMUNIONE, che è diverso dall'essere generosi e collaborativi....
La generosità consiste nel seminare gesti di bontà, nel far del bene a qualcuno, nel dedicarsi agli altri: l'uomo generoso è forte; ha un potere: ha un compito da svolgere ed è riconosciuto. Spesso nelle comunità si privilegia la generosità dell'impegno e si diventa anche attivissimi: il senso della vocazione è fare, darsi…
Spesso l'impegno a volte frenetico è legato al carisma. Quando l'attività viene meno, si perde il senso del vivere e alcuni dicono "non vivo più il carisma". A questo punto, sollecitata anche da ciò che ho ascoltato nel recente Seminario della Commissione Mista in Roma, sostengo che c'è un carisma alto che supera i carismi particolari, che è quello della comunione-amore, che si può vivere sempre, ed è quello che ci riporta alla PAROLA, l'unico DONO che, accolto con consapevolezza e responsabilità, può ravvivare veramente la vita, anche a cento anni.
Ciò che conta è l'amore, è superamento del proprio bisogno per aprirsi al desiderio comunionale, che si deve vivere sempre: non c'è età che possa impedirmi di essere comunione, soprattutto in comunità.
In un rapporto di comunione si diventa vulnerabili, ci si lascia "toccare" dall'altro.
C'è reciprocità: una reciprocità che passa attraverso lo sguardo, la benevolenza verso l'altro, la comprensione, la circolazione dell'amore.
La comunione si fonda su una fiducia reciproca in cui ciascuno dà e riceve nella dimensione più profonda e più silenziosa del suo essere.
È stare insieme, è stima dell'altro per quello che fa, è camminare accanto e avere interesse per l'altro, è superamento della competitività, è rispetto vero della persona.
Si crea una situazione relazionale di comunione dove la comunità scopre la gioia dello stare insieme e dove ogni componente trova il suo spazio.
Il religioso della terza età spesso vive male la sua non efficienza, la presenza di uno o due giovani, che hanno idee nuove e diventano punti di riferimento, mentre gli altri scompaiono. "Con tutto quello che abbiamo fatto, adesso siamo messi da parte, non serviamo più".
È il momento di riscoprire il valore della comunione, che è il fondamento della psicologia umana ed è il valore evangelico per eccellenza.
Se la persona ha il coraggio di riscoprire il valore della sua vita donata, crescerà in lei un forte desiderio di vita e di comunione e ricupererà il senso profondo della sua vita, non legato al fare, ma all'essere.
Ricordo una frase di Grün che diceva: "I tre voti sono tre passi del diventare persone e cioè: accogliere, lasciar andare, accettare".
Non si diventa PERSONE se non si dà amore e non si è disponibili a riceverlo. Diventa allora significativo orientare se stessi verso l'altro nella sua specificità personale, l'altro come realtà misteriosa, ricca, inaccessibile in un certo senso, che reclama meraviglia, ammirazione, stupore, tenerezza, affetto, fedeltà, apertura.
Mi rendo conto di scrivere belle parole, ma se anche nella terza, quarta età la fede rimane e persiste l'orientamento fondamentale verso di LUI, Egli restituisce la Sua presenza in modo ancora più profondo, ri-crea con il suo amore, reintroduce nell'intimità, nel perdono, nella festa.
Ci sono momenti in cui la presenza, dell'altro riempie totalmente e momenti in cui l'altro è come uno sconosciuto: è la dinamica del GIÀ e NON ANCORA, della creaturalità, ma se si comprende che l'altro non è afferrabile, conosco solo una parte di lui, ma continuamente sono teso a servire, entro nella spirale dell'amore-comunione che richiede umiltà, povertà, fedeltà, senso del mistero.
Bisogna imparare che tutti viviamo momenti di crisi e questa può essere un pericolo, ma anche una occasione di rinnovamento, una circostanza in cui si ha la possibilità di trovare un nuovo equilibrio e una nuova libertà interiore per "rinnovare il dono di Dio".
Si tratta di entrare in se stessi, riscoprire le motivazioni della vita donata e iniziare un sincero dialogo a tre: tra il ME, il SÉ e DIO: i miei bisogni, i miei desideri e LUI che ha dato e dà anche oggi senso alla mia vita.
Attraverso questo dialogo di consapevolezza ho la possibilità, se voglio, di ritrovare la gioia della fecondità, (maternità, paternità) per continuare ad essere procreativo fino al termine dei miei giorni, anche se con modalità diverse.
Rivedo allora la mia presenza nella comunità:
1. Sono persona serena, saggia, di dialogo e di accoglienza e creo armonia o continuo a lamentarmi proiettando il mio disagio sugli altri?
2. Sono consapevole che le attività di un tempo non sono più possibili per me e accetto che altri prendano il mio posto senza risentimento?
3. Sono disposto a riconoscere il positivo degli altri, cercando di scusare gli eventuali sbagli o mancanze?
4. Sono disposto ad accogliere, comprendere, servire i fratelli in comunità o sono un peso e rivendico sempre attenzione e centralità?
5. Come vivo la mia affettività? Sono possessivo o riesco a superare il mio egoismo per essere oblativo?
6. Favorisco la comunione fraterna o sono segno di divisione, di peso e di tristezza?
Le domande potrebbero continuare, ma desidero proporre tre piste vitali da favorire dal punto di vista educativo:
1. Il gusto del pensare, riflettere per entrare nella profondità del cuore. Occorre favorire la ricerca della propria identità personale, il gusto per la solitudine, evitando l'isolamento, il raccoglimento, il bisogno di andare al cuore delle persone, delle cose per leggere la realtà in modo trasparente;
2. Il gusto dell'ospitalità. L'incontro con gli altri, lo scambio gratuito, la stima e la fiducia per le persone della comunità e non solo, aiutano l'essere ad estendersi nel dialogo verso l'altro e a superare ogni forma di ostilità, di sottomissione, di strumentalizzazione. Educare ad avere un cuore ospitale.
3. Il gusto di Dio. L'incontro con la persona di Cristo attrae e affascina e diventa colloquio, preghiera, comunione silenziosa, intimità ed estende l'essere verso la profondità del cuore, dove tutto diventa, se si vuole, trasparenza.
La persona normale matura e cresce con tutte le espressioni "festive" - "feriali" - "dolorose” che si susseguono nella sua esistenza.
È importante non perdere mai il desiderio di diventare sempre più DONO DI DIO e vivere fino al termine dei nostri giorni nella fecondità e nella comunione. Impegniamoci dunque ad essere FEDELI e LIBERI in CRISTO: questo è il senso della legge dell'amore fedele, oblativo e gratuito: questo ci renderà amabili.
È questo il senso nascosto dell'alta invocazione poetica di R.Tagore:
"Con la forza allontaniamo gli ostacoli al lavoro, gli ostacoli al cammino, gli ostacoli al diritto, gli ostacoli al pensiero, e, chiusi gli occhi, uniamoci al libero e gioioso canto dei liberi uccelli".
Piera Grignolo *
* Psicologa
Relazione tenuta all'Assemblea Superiori Maggiori della Lombardia l'11 marzo 2010.
(da Vita consacrata in Lombardia, anno XXIV, n. 82, giugno 2010, pp. 7-13)