Vita nello Spirito

Sabato, 16 Maggio 2015 09:37

Il tempo è importante. La cura del perdono (Luciano Sandrin)

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Perdonare richiede tempo, anche se il passare del tempo non è sufficiente perché il perdono avvenga. Le offese che ci feriscono hanno tre elementi in comune: sono percepite come ingiuste; sono giudicate in qualche modo atti intenzionali e provocano in chi le subisce una sofferenza che ne altera il benessere.

Nel giugno del 1942, a Leopoli, in circostanze insolite, un giovane SS che stava per morire mi confessò i suoi delitti. Voleva morire in pace, mi disse, dopo avere ottenuto il perdono da un ebreo. Ritenni di dover rifiutarglielo». Sono parole di Simon Wisenthal. Descrivono il nucleo di una vicenda che continuò a tormentarlo e che fissò per iscritto nel racconto Il girasole. Chiese ad alcune persone importanti di varia nazionalità di commentare questo suo scritto e di dirgli se aveva avuto torto o ragione a negare il perdono.

Il perdono richiede tempo

Non occorre fare riferimento ad eventi lontani. Le cronache dei giornali e della televisione riportano quotidianamente episodi di violenze di vario tipo. E il cronista, telecamera accesa e microfono puntato, pronto a porre l'indiscreta domanda ai genitori o parenti delle vittime: «Se la sente di perdonare?». Le risposte sono varie, frutto molto spesso di una presa di coscienza incerta e di un'elaborazione emotiva non ancora avvenuta.
Il perdono richiede tempo, anche se il passare del tempo non è sufficiente perché il perdono avvenga. Il primo passo è la decisione di non vendicarsi, di "non far pagare all'offensore l'offesa". Tutto ciò chiede di prendere atto delle proprie emozioni e delle ferite non ancora rimarginate, delle ombre dimenticate della propria personalità; esige uno sguardo più vero su di sé, un liberare se stessi per liberare chi ci ha offeso.
Il perdono dell'altro passa necessariamente per il perdono di sé. E un invito a immaginare un futuro diverso nei rapporti "con il colpevole" che permetta di vivere pienamente il presente e di liberarsi dai legami dolorosi con il passato. C'è bisogno, per questo, di una "nuova inquadratura" dei fatti, di cambiare la prospettiva nella quale vengono valutati, di allargare la visione dalla "figura" dell'offesa e dell'offensore, in primo piano, facendo emergere particolari rimasti sullo "sfondo" della situazione.
Antonia Custra ha circa trent'anni. Quando suo padre venne ucciso a Milano, il 14 maggio del 1977, era ancora nel ventre della mamma. Alla domanda: «Come si può smettere di odiare?», risponde: «E un percorso lungo. Ho cercato di capire chi erano gli assassini, sono riuscita a vederli, loro stessi, come vittime». Il perdono riconosce il valore di chi ci ha offeso, la dignità di chi ci ha ferito. E un liberarsi dal peso del proprio dolore ma anche liberare l'altro dalla prigione del nostro giudizio, riabilitandolo ai nostri occhi, ricreando l'immagine di lui, vincendo la paura e accettando di correre il rischio di essere ancora feriti da lui.
Il perdono riveste forme differenti a seconda che si tratti di persone intime o di estranei. Nessuno può ferirci più profondamente delle persone amate perché con esse abbiamo intessuto legami affettivi, spartito la nostra vita: le abbiamo fatte entrare nei segreti del nostro cuore. 11 nostro amore le ha idealizzate. La delusione è, quindi, più forte.
Il perdono è un processo psicologico complesso. Ce lo descrivono Camillo Regalia e Giorgia Paleari nel libro Perdonare. Si origina dalla consapevolezza di essere stati offesi.
Le offese che ci feriscono possono essere innumerevoli e differire moltissimo tra di loro. Hanno, comunque, tre elementi comuni: l'essere percepite come atti ingiusti e immorali, che violano le norme socialmente condivise e i principi ritenuti validi, e questo ci fa dire che l'altro "avrebbe dovuto agire diversamente"; l'essere giudicate azioni in qualche modo intenzionali e volontarie, attraverso un processo di attribuzione con il quale cerchiamo di identificare le responsabilità dell'altro che "avrebbe potuto comportarsi diversamente"; il provocare in chi le subisce una sofferenza persistente che ne altera il benessere psicofisico.

Il dolore dell'offesa

Nell'identificare ciò che è offensivo è presente una forte componente soggettiva. Non è l'atto in sé a trasformarsi in offesa ma l'interpretazione e il vissuto personale che ne consegue. Il dolore dell'offesa dipende da tanti fattori "soggettivamente filtrati", non ultimo il richiamo a ferite che credevamo superate e che improvvisamente fuoriescono dal più profondo della nostra psiche.
Il perdono e un processo (e il risultato di un processo) che comporta un cambio di atteggiamento affettivo e cognitivo riguardo all'offensore, implica un indebolimento della motivazione di ricambiare l'offesa o di mantenere il distacco dall'offensore. Richiede il lasciar perdere le emozioni negative nei suoi confronti rimpiazzandole con atteggiamenti positivi di empatia, compassione e benevolenza. Il perdono implica, però, anche il pieno riconoscimento che si è meritevoli di un trattamento migliore e offre all'altro l'opportunità perché questo avvenga.

Luciano Sandrin

(tratto da Missione E Salute, n. 2, 2010, p. 67)

 

Letto 3017 volte Ultima modifica il Sabato, 16 Maggio 2015 09:50
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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